Codici religiosi di parte? No: leggi civili valide per tutti

La loro storia di coppia è finita proprio male. Su un solo punto sono d’accordo: vogliono divorziare consensualmente. Ma il tribunale ha risposto loro che non è possibile.

È accaduto a due cittadini indiani che si erano sposati nel 2012 secondo le consuetudini ebraiche. Un giudice di Bombay ha pertanto stabilito che anche il divorzio deve seguire le consuetudini ebraiche. E dire che persino la sinagoga in cui si erano sposati ha sostenuto che, in questo caso, è la legge civile indiana che dovrebbe prevalere. Il divorzio ebraico, ricordiamolo, non è una boccata di aria pura: costringe infatti la donna a ottenere dall’uomo un documento, il ghet, con cui viene liberata dai vincoli matrimoniali e viene pertanto “permessa a ogni uomo”.

La notizia non è di quelle che riempiono le prime pagine dei giornali. Ma è molto istruttiva. In India, in materia di famiglia, vige infatti il diritto delle singole comunità religiose di appartenenza. Non si sa bene perché, ma gli accademici lo chiamano “diritto personale”: in realtà si tratta di un privilegio riser­vato alle comu­nità reli­giose, che di conseguenza possono ribadire la propria autorità su persone che, se fossero realmente libere di farlo, ne prescinderebbero spesso e volentieri. Perché il tipo di “giustizia” praticata dai tribunali religiosi è molto diverso da quello che conosciamo noi, e assai poco premuroso nei confronti delle donne — anche perché le autorità giudicanti sono invariabilmente di sesso maschile.

In India, al maschio musulmano, è consentito avere più mogli e disporre di alcune deroghe per sposare minorenni. Fino a due mesi fa era lecito pure il triplo talaq, il cosiddetto “divorzio istantaneo”, che si concretizza affermando per tre volte la formula “ti ripudio”. Qualunque modalità di esprimerla è considerata valida, secondo l’interpretazione della dottrina hanafita (prevalente in India): è ammesso ripudiare la moglie addirittura tramite WhatsApp. Una pratica barbara, che era stata già da tempo messa al bando persino in Arabia Saudita.

E il divorzio cattolico? Lo sappiamo, la dottrina cattolica non ammette alcuna forma di divorzio. Ammette però la nullità del matrimonio celebrato in chiesa. Lo scorso anno la corte suprema indiana lo ha dichiarato “non legale”, incassando così le immancabili critiche della Chiesa. Ne consegue quindi che, almeno in questo, i cittadini indiani godono di maggiori diritti di quelli italiani, che vivono in un paese in cui la gestione delle sentenze ecclesiastiche è così allegra da spingere numerose persone (di norma di sesso maschile) a scegliere questa strada per non pagare gli alimenti all’ex coniuge (di norma di sesso femminile). Tanto, per i tribunali ecclesiastici, le motivazioni per dichiarare un matrimonio nullo (e quindi mai esistito) possono essere le più bizzarre. Se possono farlo, però, è soltanto perché i tribunali della repubblica raramente contestano il loro operato, nonostante il nostro paese sia già stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Pare proprio che, per avere un processo equo presso un tribunale religioso, sia indispensabile un vero e proprio miracolo.

Da noi il comu­nita­rismo reli­gioso è più noto come “multi­cultu­ra­lismo”: una parola che suona indubbiamente fashion, ma che non risolve di una virgola i tanti problemi che crea. In Europa vengono a galla soprattutto nel Regno Unito (a proposito: la normativa indiana è un’eredità coloniale inglese) e nel mondo sono particolarmente evidenti in Libano: i quattro milioni di abitanti del paese dei cedri sono tutti rigidamente incasellati nelle diciotto confessioni religiose riconosciute, e sono quindi tutti soggetti ad altrettante leggi religiose. Il matrimonio civile è un’utopia, anche perché un vero e proprio codice civile nemmeno esiste.

Sono anni che, quasi in splendida solitudine, l’Uaar critica il multiculturalismo. Due anni fa, attraverso il suo progetto editoriale Nessun Dogma, ha anche pubblicato la traduzione del libro di Kenan Malik: una lettura stimolante per tutti coloro che non amano né la padella del comunitarismo, né la brace del clericalismo. Il culto del multiculturalismo è ancora praticato da numerosi adepti, specialmente tra liberal e di sinistra. Ma fa piacere che anche in quegli ambienti inizino ad apparire critiche articolate e ficcanti, come quelle di Cinzia Sciuto.

Perché la legge deve essere realmente uguale per tutti: senza differenza di convinzioni, religiose o no. Ogni diritto confessionale deve essere privato di qualunque valore legale, se costituisce una conclamata eccezione alle norme universali. Viviamo nel terzo millennio: è ora di dire basta agli effetti civili di leggi arcaiche, cascami di culture radicalmente aliene ai diritti umani.

Raffaele Carcano

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2 commenti

Frank

Definire il il triplo talaq “divorzio istantaneo” è un cavolata, provate a dire non solo “ti ripudio” ma qualsiasi cosa ad una donna per tre volte di seguito senza che vi interrompa e vede quanto tempo ci mettete.

laverdure

Teoricamente la Chiesa potrebbe quindi,per motivi suoi, annullare un matrimonio religioso anche contro la volonta di entrambi i coniugi,provocando quindi anche l’annullamento del matrimonio dal punto di vista civile,cosa a cui potrebbero rimediare con un nuovo matrimonio civile,che pero richiederebbe un certo tempo e in certe situazioni potrebbe provocargli disagi.

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