Giulio Cesare Vanini (1585-1619)

Non sapremo mai come la pensasse veramente. Ma sappiamo per certo che fu mandato al rogo perché ateo, empio e bestemmiatore. Esattamente quattro secoli fa.

Una vita breve ma intensa, la sua. Giulio Cesare Vanini nasce a Taurisano, in Puglia. Si trasferisce a Napoli, dove si fa frate carmelitano e si laurea in diritto civile e canonico. Poi se ne va a Londra, dove diventa anglicano. Ma di anglicano ha ben poco: somiglia semmai a un pensatore libero. Per evitare di cadere nelle mani degli inquisitori anglicani ridiventa cattolico, ma finisce comunque in carcere. Dopo essere stato rinchiuso per 49 giorni nella Torre di Londra, evade e fugge in Francia: ma anche l’inquisizione romana si è ormai messa sulle sue tracce. Il 2 agosto 1618 viene arrestato a Tolosa. Il parlamento locale lo condanna a morte. Il 9 febbraio, a 34 anni appena compiuti, gli tagliano la lingua. Lo strangolano. Lo bruciano.

Da quanto ha scritto non si sa se fosse ateo. Ma in quanto scrive emerge comunque il pensiero degli atei. Vanini ci ha infatti lasciato due opere in latino (Amphitheatrum aeternae providentiae e De admirandis naturae) che si presentano come confutazioni cattoliche dell’incredulità. Tuttavia, contengono argomentazioni che appaiono, diciamo così, parecchio zoppicanti. Tanto da far sospettare che l’autore simpatizzi un po’ troppo per l’oggetto della sua (presunta) critica. Per di più, quando lascia lo scrittoio, non lesina certo critiche alla chiesa romana. A complicare ulteriormente le cose, viene accusato di aver sottoposto ai censori testi diversi da quelli che sono stati poi effettivamente pubblicati, una volta ottenuto l’imprimatur. Risultato: ancora oggi gli accademici discutono su quali realmente fossero le sue idee. Ma difficilmente può essere considerato un semplice eretico. Non era riconducibile ad alcuna religione: forse era panteista, forse agnostico, forse ateo. Sicuramente pensava con la sua testa.

In ogni caso, qualunque intenzione abbia avuto, Vanini ci ha tramandato due opere fortemente naturaliste e scettiche, in cui c’è qualcuno che nega l’esistenza di Dio e della provvidenza e in cui, seguendo il “principe degli atei” Machiavelli, c’è qualcuno che sostiene che le religioni sono state inventate dalle classi dirigenti per raggirare la popolazione. Convinzioni pericolosissime. Al punto che, soltanto pochi anni dopo la sua morte, i gesuiti già predicano che Vanini era a libro-paga del diavolo. Lo fanno dopo aver constatato che le opere di Vanini cominciano a diffondersi: facendolo, però, contribuiscono a diffonderle ancora di più. Perché c’è una gran voglia di libertà, in giro per l’Europa, e sia la controriforma, sia la riforma non sono in grado di spegnerla.

È anche così che emergono gli esprit forts, gli “spiriti forti” proto-libertini. Vanini viene persino ritenuto l’autore dell’anonimo Trattato dei tre impostori, un classico dello scetticismo nei confronti della religione; all’interno di un libro olandese del 1719 con lo stesso nome viene copiata una parte del De admirandis naturae. Pierre Bayle, il primo pensatore a riconoscere la moralità degli atei, lo cita quale esempio di “ateo virtuoso”, anzi, un vero e proprio “martire dell’ateismo”. Nell’ottocento Vanini è celebrato da un poeta come Hölderlin e da due filosofi molto diversi come Hegel e Schopenhauer. Quando nel 1859 Charles Darwin diffonde l’Origine delle specie, si scopre presto che Vanini lo aveva in parte anticipato, suggerendo che gli esseri umani potrebbero discendere da “animali affini” come le scimmie.

Si narra che abbia incitato il suo esecutore dicendogli “andiamo, andiamo allegramente a morire da filosofo”. Si narra anche che sul patibolo si sia rifiutato di abiurare, anzi, che abbia affermato apertamente il proprio ateismo e l’inesistenza di Dio. Potrebbero essere soltanto fake news messe in giro da qualche apologeta anticlericale dell’ottocento. Resta il fatto che l’importanza di Vanini è enorme: oggi è considerato un padre del libertinismo — e quindi anche un nonno dell’illuminismo, e un nostro bisnonno. Vanini è forse il più noto condannato a morte per ateismo di ogni tempo. Se siamo qui, se (a parte dodici stati liberticidi) non rischiamo più la pelle per quello che diciamo e scriviamo, è anche grazie a lui. Gliene siamo debitori.

Raffaele Carcano

Anche l’Uaar gli è debitrice. In occasione dei quattrocento anni del suo supplizio ha organizzato una serie di eventi.

Una corona di fiori è stata deposta a Tolosa

Mostra e incontro a cura del referente Uaar di Lecce

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