Ma la chiesa non arriva mai gratis

Che le home page dei quotidiani italiani dedichino l’apertura al papa in fondo ci può stare, a Natale. Perché a Natale, narra la leggenda, siamo tutti un po’ più buoni. La presunta maggior bontà non dovrebbe però far venire meno il senso critico. Specialmente quando il papa, celebrando messa nella basilica più sfarzosa del mondo, dice che, “mentre qui in terra tutto pare rispondere alla logica del dare per avere, Dio arriva gratis. Il suo amore non è negoziabile: non abbiamo fatto nulla per meritarlo e non potremo mai ricompensarlo. Nasce povero di tutto, per conquistarci con la ricchezza del suo amore”.

Non c’è bisogno di essere attivisti laici per osservare che la stessa chiesa non è né particolarmente sensibile alla gratuità, né refrattaria alla logica del dare e dell’avere. Da sempre. È noto che il primo imperatore romano cristiano Costantino (tuttora venerato come santo dalla comunità ortodossa) finanziò la costruzione di numerose basiliche, tra cui san Pietro e san Giovanni in Laterano. Tuttavia, la storia non ci ha tramandato alcuna sua politica in favore dei meno abbienti. Sappiamo invece che la sua azione di governo aumentò le disuguaglianze tra ricchi e poveri: un’eredità “tramandata” al millennio successivo. Perché lasciò “sussidiaristicamente” l’attività di assistenza ai vescovi? Forse. Ma i vescovi erano, nello stesso tempo, sostenitori e beneficiari del suo espansivo programma di edilizia religiosa. Mentre la “cura dei poveri” era anche uno strumento di marketing.

Come ha evidenziato lo storico Peter Brown nel libro Potere e cristianesimo nella tarda antichità, già nel III secolo la ridistribuzione dei fondi a disposizione era ristretta ai fedeli più zelanti. Un’attività che, col tempo, divenne “una componente di grande risalto nella rappresentazione cristiana dell’autorità del vescovo”, tanto che i poveri ‘a libro paga’ erano chiamati a far parte del suo corteo. In ogni caso, era un’attività con un impatto marginale rispetto a quella edificatoria. Al punto che, nel V secolo, “la lamentela che il cibo per i poveri era divorato dalla pietra, dai marmi multicolori e dai mosaici d’oro delle nuove basiliche faceva il giro di tutto il Mediterraneo”.

Di quelle gesta si è persa traccia, nell’opinione pubblica. Quando Vittorio Sgarbi decanta (giustamente) la bellezza delle cattedrali, invariabilmente dimentica le decine e decine di milioni di esseri umani che, durante i lunghi secoli del totalitarismo cristiano (380-1648: un periodo più lungo dello stesso medioevo), le hanno dovute finanziare con un decimo del proprio scarso reddito, e hanno dunque avuto una vita più triste, hanno patito la fame, sono morti prematuramente. Quanta sofferenza è costata l’aver voluto innalzare alla gloria di Dio quelle meravigliose costruzioni?

Le analisi costi-benefici non danno sempre risultati univoci, perché il peso attribuito ai singoli costi e ai singoli benefici può essere differente. I costi pubblici della chiesa cattolica, benché impossibili da verificare al centesimo, sono però noti e quantificabili, e superano in Italia i sei miliardi di euro. A dimostrazione che la logica del dare-avere ce l’ha anche la chiesa (ma molto sbilanciata sull’avere), da parte cattolica non si è mai negata tale cifra, preferendo cercare di stimare gli assai meno quantificabili benefici. Spesso, poi, anche tali benefici hanno un’origine pubblica: la Caritas di Como ha sicuramente regalato vestiti ai bisognosi, ma erano vestiti sequestrati dalla Finanza. Controlli in entrata ma non in uscita, dunque? Come non pensarlo, quando ci tocca leggere che l’ex governatore Galan è stato condannato per aver versato 24 milioni di euro al patriarcato di Venezia affinché ristrutturasse la basilica, il seminario e la sede patriarcale. Una volta di più, ad avere è stata la chiesa e a dare sono state le istituzioni pubbliche, che inizialmente dovevano invece utilizzerei soldi dei contribuenti per interventi a salvaguardia della laguna. L’acqua alta avrà probabilmente portato via il fetore di certi accordi, ma i documenti restano.

“Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo”, ha sostenuto il papa nel corso della funzione. Nel suo mantra, la povertà è l’unico problema e la carità (cattolica) l’unica soluzione. Ma nell’epoca dei bitcoin, dell’intelligenza artificiale e dei robot che costruiscono altri robot il mondo è diventato troppo complesso per affrontarlo con una visione così spaventosamente sempliciottistica. Se lo si vuole veramente cambiare, occorre invece rendere ogni individuo capace di prendere decisioni consapevoli dettate dalla competenza e dalla ragione, non dalla paura o dalla tradizione. Le frasi a effetto a vocazione pubblicitaria non ci riusciranno mai.

Raffaele Carcano

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3 commenti

Diocleziano

Agghiacciante la foto di quei due, pare che pensino:
“Se questo non ce molla ‘na piotta da cento, lo distrugo… “

Franco Ajmar

Non si capisce bene se anche il terremoto e l’alluvione sono gratuiti. E la preghiera a che serve?

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