Le lezioni del virus

Si suole spesso dire che la storia non insegna nulla e almeno in parte questo è vero. Gli errori compiuti non si ripeteranno magari nel breve termine, ma più passano il tempo e le generazioni e meno l’esperienza acquisita risulta efficace per impedirci di ripetere gli errori del passato. Tuttavia bisogna cercare di farne tesoro, di capire dove e come intervenire per evitare di ritrovarsi a fronteggiare la stessa avversità nelle medesime condizioni. Come nel caso dell’attuale pandemia da Sars-Cov2.

Di nuovi virus ne arrivano in continuazione. La stessa influenza è causata da agenti patogeni della stessa categoria ma sempre differenti tra loro, e che proprio per questo ci colpiscono. Cambiano però la velocità e le modalità di trasmissione, i loro effetti, il tasso di mortalità. Il predecessore dell’attuale coronavirus, il Sars-Cov, aveva un tasso di letalità quasi doppio ma rimase limitato a un’area dell’estremo oriente. Anche gli Ebola sono in genere geograficamente circoscritti perché la loro propagazione è limitata, non essendo trasmissibili per via aerea, ma la mortalità dei contagiati raggiunge tassi terrificanti: in media un contagiato su due non ce la fa. Varie influenze hanno avuto ampia diffusione come l’aviaria e la suina, quest’ultima pandemica, ma hanno ucciso pochissime persone. Che dire poi del famigerato Hiv se non che non è mai stato sconfitto; quasi 40 milioni di persone nel mondo ne sono infettate, ogni anno si aggiungono più di un milione e mezzo di nuovi positivi e 700 mila decessi.

La prima lezione che si dovrebbe trarre è che bisogna attrezzarsi adeguatamente. Adesso lo si può capire meglio. Ora che il nemico non è lontano da noi, in Africa o Asia, ma ce l’abbiamo accanto. Un nemico che ci assale con estrema facilità, basta respirare la stessa aria che respira un positivo. Questo è il momento di capire che dobbiamo essere pronti in qualunque momento per il prossimo virus pandemico e che la via principale è rappresentata dall’investimento di risorse nella ricerca. Probabilmente passato questo momento le mascherine, quelle adeguate, saranno presenti in tutte le case come il termometro per la febbre, il che sarà un bene ma non basta. Bisogna investire soprattutto in ricerca per il futuro. Un profetico Bill Gates ammoniva in tal senso già cinque anni fa, ovviamente senza che nessuno tra chi di dovere ne fosse anche solo stimolato. Il concetto di prevenzione è pressoché sconosciuto a livello politico.

Secondo l’agenzia Moody’s il danno economico causato dai doverosi provvedimenti di contenimento della Covid-19 nella sola Italia sarà di circa un punto secco di Pil. Un danno enorme che quantificato in euro si traduce in 20 miliardi, miliardo più miliardo meno. L’investimento annuale in ricerca e sviluppo di tutta l’Italia – quindi non parliamo solo di investimenti pubblici ma anche e principalmente del tessuto produttivo – secondo l’ultimo rapporto del Ced è superiore solo di poco: 1,3% del Pil. Di questi appena un misero 1% è rappresentato, secondo il Cnr, da stanziamenti pubblici. In sostanza lo 0,013% del Pil, una miseria di neanche 300 milioni di euro. Per l’università invece l’Italia mette sul piatto ogni anno 5,5 miliardi di euro, cioè lo 0,3% del Pil. In compenso si continua a investire molto di più in religione visti i quasi 7 miliardi di costi ecclesiastici, tutti rigorosamente di spesa pubblica che non contribuirà certo a far crescere l’Italia e nemmeno a fronteggiare le epidemie. Più verosimile il contrario.

Altra lezione, stavolta non solo per le istituzioni ma anche per i cittadini, è quella di smettere di dare credito a teorie fantasiose che girano e si diffondono attraverso i social network con una viralità perfino superiore a quella del coronavirus, e affidarsi solo a comunicazioni ufficiali o autorevoli. Questo non vale solo per l’emergenza di questo momento, ma proprio adesso dovrebbe essere chiaro a tutti che le fandonie non lasciano il tempo che trovano; ne lasciano uno peggiore.

Purtroppo il problema è ancora più grave se a non dare credito a quanto sostenuto dalla comunità scientifica sono le istituzioni, come dimostrano le clamorose marce indietro di personalità politiche a tutti i livelli che fino a pochi giorni prima minimizzavano i rischi, giudicando esagerate le preoccupazioni, salvo poi essere in prima fila a chiedere interventi più drastici. Tardi, certo. Averlo fatto prima avrebbe potuto portare a molte meno infezioni e a qualche decesso in meno, ma è sempre meglio tardi che mai. Inutile citarli tutti per nome, italiani e non, chi ha seguito le notizie anche rapidamente li conosce già. È però importante evidenziare il diverso approccio tra nazioni a noi vicine, che seppur in ritardo stanno finalmente realizzando il rischio che si corre e provvedono a mettere in campo provvedimenti drastici, e la Gran Bretagna che invece ha deciso di scommettere sull’immunità di gregge, e quindi sulla vita dei cittadini britannici, contro le raccomandazioni dell’Oms e le richieste degli stessi cittadini. Chissà che ne pensano i bookmaker inglesi.

Non bisogna mai tenere bassa la guardia; questa potrebbe essere una terza lezione seppur parente stretta della seconda. La sottovalutazione del rischio la si paga cara. La si paga in vite umane. In particolare il premier britannico Johnson dovrebbe realizzare che le sperimentazioni non si fanno sulla pelle dei cittadini, si fanno in laboratorio e in modo controllato, ma anche tutti gli altri dovrebbero prendere atto dei loro errori di valutazione. Dovrebbero farlo le persone comuni, stigmatizzando chi si ostina ad assumere comportamenti rischiosi il cui danno sarebbe arrecato a tutti, e dovrebbe farlo chi amministra. Invece ci ritroviamo con divieti di apertura di qualunque attività commerciale non essenziale e al tempo stesso incomprensibili permessi di apertura dei luoghi di culto per la preghiera. E ci si chiede inevitabilmente: ma gli importa veramente della nostra salute?

Forse non molto. Quantomeno non abbastanza. Forse le lezioni del virus rimarranno lettera morta come tutte le altre lezioni della storia, vera Cassandra. Ci sarebbero tante domande da farsi, tante risposte da cercare. Ad esempio perché la Corea del Sud riesce a contenere le infezioni, pur essendo vicinissima al focolaio iniziale e pur essendo stata presa più a freddo, e in Italia invece queste dilagano? Ci sarebbe da indagare a vari livelli: scientifico, statistico, logistico. Ci sarebbe in altre parole da prepararsi per la prossima pandemia, magari per il Cov3. Non è il momento di pregare nelle chiese. Non foss’altro per prendere atto che la presenza sul suolo italiano del vicario di Cristo in Terra non è stata di tutela. Anzi, se non fossimo razionalisti saremmo portati a pensare che potrebbe perfino avere delle responsabilità. Fortunatamente noi lo siamo, razionalisti, e chi non lo è costruisce fantocci di paglia di tipo opposto.

Massimo Maiurana

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4 commenti

dissection

“Non foss’altro per prendere atto che la presenza sul suolo italiano del vicario di Cristo in Terra non è stata di tutela.”
E con questa, Maiurana vince Internet…

RobertoV

Osservo con piacere attualmente la riscossa degli esperti. Dopo anni in cui erano quasi scomparsi dai media a vantaggio di tuttologi, parolai, complottisti vari, anche grazie a internet, pesantemente screditati, con questa pandemia hanno riconquistato credito e la gente si aspetta soluzioni da loro non dai soliti venditori di fumo che infatti mordono il freno, tipo Sgarbi (ho apprezzato che Burioni ed un’associazione di ricercatori lo abbiano denunciato per le sue sconsiderate affermazioni) o il papa che deve fare la sua passeggiata fuori legge per far parlare di se. Sarebbe ora che riconquistassero la loro meritata considerazione e che le persone comprendessero meglio come funziona veramente il metodo scientifico (tipo le discussioni tra gli stessi esperti) e quanto sia lontano da complottismi e verità “ufficiali”.
E dopo anni di discredito della sanità pubblica a vantaggio di quella privata, con tagli sconsiderati, riduzione di personale e presunto efficientismo, osservo con piacere che recupera credito e considerazione e la gente si rende conto che è poi la sanità pubblica a dover reggere alle situazioni di emergenza per le quali è opportuno attrezzarsi. Peccato non aver fatto come in Spagna dove lo stato ha requisito la sanità privata per fronteggiare l’emergenza: magari qui in Lombardia avremmo avuto meno morti.
Quello che osservo è la notevole differenza di mortalità nei confronti degli altri paesi. Non ci avevano sempre raccontato di quanto fosse buona la nostra sanità e che quindi potevano tagliare perché c’erano sprechi? Forse avere 28000 posti letto in rianimazione in Germania contro i solo 5000 dell’Italia sarebbe stato considerato uno spreco dai nostri manager e politici. Per non parlare della questione farmaci. A causa di una malattia di mio figlio ho avuto modo di dover prendere farmaci tedeschi approvvigionandomi in Austria e Svizzera, rendendomi conto delle notevoli differenze, tra disponibilità e accesso ai farmaci, nonché di regole sanitarie volte al risparmio in Italia (per inciso mio figlio con le linee guida austriache non si sarebbe mai ammalato).
Spero che dopo resti la coscienza dell’importanza di investimenti in ricerca, istruzione e nella sanità pubblica, nella prevenzione e nell’accessibilità ai farmaci esteri e che convenga pensare al futuro non solo al presente o al passato perché come dice anche la protezione civile prevenire le emergenze costa quattro volte meno che operare in piena emergenza. Chissà se la necessità di reperire soldi farà comprendere che recuperare soldi alla chiesa non è una cattiva idea, vista anche l’utilità che ha dimostrato nella presente epidemia: ci sono almeno 5 miliardi di tasse non pagate che aspettano, per non parlare dello spreco dell’otto per mille e dei vari cappellani.

Diocleziano

Arrendiamoci all’evidenza: viviamo tra i teozombi.
Si può ancora dire che questi OCM* non siano corresponsabili?

*) Organismi Cattolicamente Modificati.

RobertoV

Ho appena visto una petizione di nostri deputati, tra i quali l’immancabile Binetti, che sostenevano entusiasticamente la camminata fuori legge del papa a favore della riapertura delle chiese, testimoniando il bisogno di fede delle persone che secondo loro devono poter andare liberamente in chiesa. Bello il paragone col tabagista cronico per il quale terrebbero aperte le tabaccherie: la fede come la dipendenza da sigarette, cioè un vizio.
Come al solito abbiamo politici che si preoccupano prima di fare gli interessi di uno stato estero e che parlano tanto di altruismo e poi dimostrano che se ne fregano degli altri non cattolici o dei cattolici più intelligenti e responsabili. Sono riusciti anche a lamentarsi del fatto che la polizia avesse impedito una messa abusiva di un sacerdote che diffondeva a tutto volume all’esterno della chiesa la messa celebrata: ma non potevano usare i mezzi elettronici moderni senza costringere tutto il vicinato a sorbirsi la messa? In nome della fede tutto deve essere permesso.

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