L’umanismo che funziona

Vi proponiamo un articolo dal N3/2020 del bimestrale dell’Uaar, Nessun Dogma – Agire laico per un mondo più umano. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquista il singolo numero di Nessun Dogma in formato digitale.


Come gli umanisti di tutto il mondo stanno facendo la differenza.

Indovinello: cosa hanno in comune le seguenti sei campagne? Una campagna nelle scuole dell’Uganda per superare il tabù attorno al ciclo mestruale e insegnare alle ragazze adolescenti come autoprodursi degli assorbenti lavabili in cotone. Una campagna per ottenere il riconoscimento legale dei matrimoni umanisti in Scozia. Una campagna per salvare dalla pena di morte un attivista condannato per blasfemia a causa del suo lavoro contro la corruzione e lo schiavismo in Mauritania. Una campagna per ottenere il riconoscimento del diritto all’apostasia legale e sicura in Italia. Una campagna nelle Filippine per insegnare ai bambini malnutriti le basi di una dieta alimentare sana. Una campagna per abolire le leggi contro la blasfemia in tutto il mondo.

La risposta a questo indovinello è presto detta. Sono infatti due le cose che accomunano queste sei iniziative così eterogenee fra loro: 1) sono tutte campagne umaniste, portate avanti da organizzazioni umaniste; 2) sono tutte campagne di successo, che stanno effettivamente ottenendo dei risultati e migliorando la vita di milioni di persone in tutto il mondo.

Intendiamoci: non tutte le campagne umaniste riescono nell’impresa, perché alle volte ci si scontra con una realtà troppo monolitica e reazionaria, refrattaria al cambiamento. Mi vengono in mente qui, a mo’ di esempio: il recente fallimento della campagna referendaria dei liberi pensatori svizzeri per un “Ticino Laico”; la ventennale fatica di Sisifo dell’Uaar nel ricercare un’intesa con lo stato italiano; il momentaneo contraccolpo della campagna My Stealthy Freedom contro il velo obbligatorio in Iran e nel mondo arabo; i fallimenti delle campagne a favore dei diritti lgbt+ in Est Europa e quelle a favore del diritto all’aborto in America Latina, come successo nel 2018 in Argentina.

Eppure tutti questi fallimenti non sono che incidenti di percorso o, meglio, battaglie perse in una guerra più ampia e duratura, che sancirà un vincitore (e degli sconfitti) solo al suo termine – anche se, a ben vedere, quella per il progresso umano sembra essere un’unica e ininterrotta guerra, perché chiuso un fronte se ne apre sempre e subito un altro.

Confrontando vittorie e sconfitte, però, il risultato è evidente: globalmente e nel lungo periodo, il bilancio dell’attivismo umanista è nettamente positivo – con buona pace di chi invece fa spallucce e vede tutto nero, arrivando persino a negare le evidenze statistiche. Perché è questo il punto: l’umanismo funziona – e vede tutto nero solo chi vuole vedere tutto nero, per partito preso, o magari per personale inclinazione al pessimismo.

Esiste infatti una tendenza cancerogena in seno allo stesso movimento umanista e progressista: la tendenza al nichilismo disfattista – o, per dirla con Pinker, alla progressofobia. L’idea, cioè, che non abbia senso darsi da fare, che l’attivismo e l’associazionismo siano inutili o ingenui perché «il mondo sta andando allo sfascio», e allora i veri “illuminati” sarebbero coloro che si mettono ai margini della storia, costruendosi un personale eremo solipsista e rifiutando ostinati l’invito all’azione e all’attivismo. Se facessero un passo indietro e si guardassero dall’esterno, i nichilisti disfattisti si accorgerebbero di essere caduti a piè pari in un circolo vizioso: perché più si ostinano nel dire che è tutto inutile, meno si danno da fare per evitare che “il mondo vada allo sfascio”; e meno si danno da fare, più il mondo stesso “va allo sfascio”. Il nichilismo disfattista è in tal senso una profezia autoavverante, che si alimenta delle stesse sconfitte che aveva già preannunciato (e intimamente auspicato). I progressi ottenuti dal movimento umanista sono invece il cuneo che può inserirsi in questo circolo vizioso, per interromperlo, dimostrando nei fatti che, da una parte, il mondo non sta andando allo sfascio; dall’altra, che è possibile cambiare le cose. Vediamo come.

Per i nichilisti più analitici, refrattari a ogni sentimentalismo, il suggerimento è la lettura di due libri “umanisti” fondamentali, da citare con tanto di sottotitolo: Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo, di Hans Rosling, e Illuminismo adesso. In difesa della ragione, della scienza, dell’umanesimo (sic!) e del progresso, di Steven Pinker. Sono due libri che aiutano a guardare al mondo e al progresso umano in prospettiva. Perché magari vi sembrano poca cosa le singole vittorie umaniste riportate in apertura dell’articolo, ma invece non potrete obiettare nulla contro l’evidenza delle statistiche lungo il corso dei decenni e dei secoli, le quali dimostrano inequivocabilmente che l’epoca in cui viviamo oggi è migliore di qualsiasi altra epoca passata – a tal riguardo lascio la parola a Pinker stesso e al suo Ted talk Il mondo sta migliorando o peggiorando? Uno sguardo ai numeri”.

Ma il mondo non migliora (o peggiora) da solo. Il vero “motore della Storia” sono infatti gli esseri umani – e questo è ancora più valido oggi, ai tempi dell’Antropocene, in cui l’umanità ha raggiunto una potenza di impatto sul pianeta tale da poter stravolgere (e distruggere) il suo stesso habitat. A tal riguardo, il “progresso umano” è “umano” in due sensi: non solo perché, una volta ottenuto, rende migliore la condizione degli esseri umani; ma anche e soprattutto perché è un progresso ottenuto dagli esseri umani stessi.

C’è poco da fare: a ognuno di noi, individualmente, è data sempre la possibilità di provare a fare la differenza, di cercare di cambiare le cose nel proprio piccolo come “nel proprio grande”. Hic Rhodus, hic salta: a noi la scelta, insomma, sempre ben consapevoli che potremmo fallire nel nostro tentativo. Ma, appunto, smettiamola di cercare scuse per non provare, e diamoci da fare, nonostante la tentazione nichilista.

Contro questa tentazione consiglio un vero e proprio “toccasana”: quella che io chiamo micro-ambiziosità umanista, ovvero il consapevole ridimensionamento dei propri obiettivi nella vita di tutti i giorni, nel tentativo di ottenere un piano d’azione ad altezza d’uomo, dando solo quello che si può dare – ma al tempo stesso, dando tutto quello che si può dare. Machiavelli consigliava al suo principe di essere grandemente ambizioso, comportandosi come un «accorto arciere» che punti il suo arco in alto per raggiungere così un obiettivo lontano. Un approccio micro-ambizioso suggerisce al contrario di trovare obiettivi a portata di mano (e ce ne sono tanti) che abbiamo più possibilità di centrare senza troppi rischi. Metaforicamente, si tratta di seminare ognuno nei limiti delle proprie capacità, e concentrarsi poi nella coltura di quei pochi semi, nella speranza che almeno qualche germoglio cresca forte e rigoglioso, e che nel lungo periodo il nostro raccolto possa essere il più fruttuoso possibile.

Un primo esempio pratico di micro-ambiziosità umanista è l’impegno a livello locale, magari proprio col vostro circolo Uaar, o con un gruppo femminista, lgbt+, di divulgazione scientifica, eccetera. Impegnarsi, beninteso, ognuno secondo le proprie capacità: se siete bravi con i numeri, datevi da fare come tesorieri; se siete bravi con la comunicazione, datevi da fare come social media manager; se siete scienziati, organizzate degli incontri di divulgazione scientifica; e se al momento non avete né tempo né energie da offrire, continuate lo stesso a tesserarvi ogni anno, perché, come le parole, anche i numeri sono importanti.

C’è poi un impegno ancora più micro-ambizioso: l’esemplarità quotidiana. Siate un esempio per i vostri parenti, amici, colleghi, consoci – per la vostra comunità insomma. Quando a cena, al pub o sul posto di lavoro si parlerà di laicità, di diritti delle donne, eccetera, non tiratevi indietro: fatevi sentire, promuovendo e difendendo i valori umanisti. Con pacatezza, calma e ragionevolezza, senza paura né disfattismo. Perché magari nel corso degli anni riuscirete a ispirare col vostro esempio altre cinque persone, il che potrà sembrarvi deludente come risultato. Ma ragionate su questo fatto: se poi quelle cinque persone faranno altrettanto, ispirando a loro volta altre cinque persone, la diffusione dell’ideale umanista sarebbe esponenziale – proprio come esponenziale è la diffusione di questo maledetto coronavirus che ha sconvolto le nostre vite in questi mesi.

Altro (ma non ultimo) esempio di micro-ambiziosità: lasciatevi ispirare. Seguite i progressi del movimento umanista internazionale. Allacciate rapporti con persone che, dall’altra parte del mondo, portano avanti le vostre stesse battaglie – i social network ce lo permettono, e allora sfruttiamoli in tal senso. Questa interconnessione umanista globale servirà a non perdere di vista la bigger picture, ovvero il fatto che, per quanto ogni umanista non possa che coltivare quei due/tre germogli che ha piantato, l’obiettivo è cambiare il mondo tutti insieme, su scala globale. Possiamo farlo. Dobbiamo farlo. Vogliamo farlo.

Giovanni Gaetani


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