Vi proponiamo un articolo dal N3/2020 del bimestrale dell’Uaar, Nessun Dogma – Agire laico per un mondo più umano. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquista il singolo numero di Nessun Dogma in formato digitale.
Tanti migranti arrivano in Europa sperando in un futuro migliore. Trovano spesso ad accoglierli le chiese cristiane, una grande rete di solidarietà che non disdegna le conversioni.
«Chiedi perché i loro dèi li hanno lasciati nelle gelide terre del nord, mentre ai cristiani è stato concesso di possedere terre ricche di vino e di olio». Questo suggerisce in una lettera Daniele di Winchester, vescovo dei sassoni occidentali, al suo collega missionario Wynfrith (Bonifacio) per convertire i pagani, nell’ottavo secolo. Bisogna «agire con calma e grande moderazione, in modo da renderli vergognosi delle stoltezze e delle follie del paganesimo», aggiunge. E domandare perché gli dèi, «se intervengono negli affari terreni, lasciano che i cristiani abbattano i loro idoli e allontanino dal loro culto praticamente gli abitanti di tutto il globo?».
Con tutti i dovuti distinguo, questi refrain dell’apologetica possono essere utili per capire meglio perché i migranti che arrivano oggi nei paesi occidentali possono essere allettati dalle conversioni al cristianesimo. Si parla di ricchezza e di miglioramento delle condizioni di vita, considerate dono provvidenziale e contrapposte a povertà e privazioni nei paesi d’origine. Si percepisce una sottile forma di benevola persuasione che sfrutta anche il senso di colpa verso la vita precedente mentre afferma la propria autorevolezza. Si allude a disgrazie che fanno vacillare la fede nei vecchi dèi, rimasti inerti. E conta la presenza costante sul campo per dare il buon esempio, teso a ispirare un cambiamento interiore.
L’Europa è da anni il punto di approdo di tante persone che fuggono dalle proprie case, in terre spesso funestate da guerre e povertà. Fanno un lungo e pericoloso viaggio sperando di trovare fortuna e tranquillità, migliorare le proprie condizioni. Spesso, trovano ad aspettarli a braccia aperte le chiese, con le tante ramificazioni caritatevoli cui le istituzioni appaltano l’assistenza, che storicamente puntano ai cosiddetti “ultimi”. E che fanno opera nemmeno troppo velata di evangelizzazione. Non si tratta di sminuire la generosità e l’empatia di tanti credenti che in buona fede e in maniera meritoria si prodigano per dare sollievo ai più sfortunati, ma un occhio laico non può ignorare l’altra faccia della medaglia.
La cronaca fornisce tanti casi anche in Italia, soprattutto tra gruppi marginali e disagiati (comunità rom, profughi, detenuti) assistiti da associazioni cattoliche o da parrocchie, che non hanno molte alternative per emanciparsi. Sicuramente a livello umano la gratitudine e il sollievo di sentirsi accolti in un contesto altrimenti freddo se non ostile giocano un ruolo importante in queste conversioni. Ma gioca anche la necessità per queste persone sradicate di trovare una strada meno tortuosa all’integrazione e alla permanenza nel nostro paese, conformandosi alla cultura percepita come dominante. Non è un mistero poi che i sacerdoti siano influenti in contesti dove gravitano queste persone (come le organizzazioni caritatevoli, le strutture di accoglienza, le carceri). Spesso sono le uniche figure percepite come autorevoli e capaci di mettere una buona parola sulla loro condotta. Il fatto che la sussidiarietà cattolica in Italia sia ampiamente foraggiata dallo stato e collabori con istituzioni come tribunali e prefetture contribuisce ad alimentare un circolo vizioso per cui un migrante potrebbe trovare allettante la professione di fede cattolica.
Difficile dare dei numeri, anche perché la propaganda cristianista tende a gonfiarli e talvolta non è chiara nemmeno la religione d’origine. Probabilmente si tratta di qualche migliaio di battezzati all’anno in Europa. Ma ci sono altri aspetti problematici sull’entità del fenomeno. Per fare un esempio che coinvolge le chiese protestanti, le autorità tedesche alle prese con l’ondata migratoria si sono trovate di fronte a numerose (e sospette) conversioni dall’islam al cristianesimo tra i richiedenti asilo, che cercavano così di evitare il rimpatrio per non subire persecuzioni in quanto apostati. Tanto che hanno stretto le maglie per tentare di separare i più sinceri dagli opportunisti, venendo criticate dalle chiese evangeliche e luterane per la difficoltà nel rilevare l’attendibilità dei racconti e i bias di chi dovrebbe verificare. Dal canto loro i religiosi, di fronte a tanta umanità disperata che senza dubbio assistono con grande impegno, si trovano anche nella situazione di poter reclutare nuovi adepti. Specie in un contesto come quello europeo dove la religione cristiana appare in declino. Un pastore luterano attivo nell’assistenza ai migranti in Germania ha affermato di aver battezzato almeno mille musulmani.
Non sono rari anche nei paesi occidentali gli atti di ostilità verso questi conversi da parte dei musulmani più integralisti, che li considerano apostati, persino dentro le strutture di accoglienza. Chiuse le porte delle comunità religiose di origine, per forza di cose intensificano i legami con i fedeli cristiani, che spesso costruiscono una rete solidale per aiutarli a trovare un impiego, un alloggio e risorse, agevolando così l’integrazione e l’uscita da situazioni di precarietà o criminalità. Indubbiamente contribuisce il fatto che nei paesi d’origine, più disagiati, spesso la religione dominante venga subita in maniera più asfittica e oppressiva, in particolare tra i migranti che hanno un’età media bassa, e che quindi il passaggio al cristianesimo in una società più aperta sia vissuto come una liberazione.
La “delicata” invadenza confessionale dei solerti battezzatori arriva però a fenomeni spiacevoli, complice il lassismo di istituzioni ancora poco attente – nonostante gli sforzi nella mediazione – a riconoscere gli specifici retaggi culturali dei migranti che arrivano nei centri di assistenza. Non è raro che i funerali in Italia siano celebrati in forma cattolica, vista la carenza di esponenti di altri culti nelle strutture di accoglienza. Come avvenuto nell’ottobre del 2019 a Lampedusa per le 13 vittime di uno dei numerosi naufragi che funestano dolorosamente questi viaggi della speranza. Tanto che il sindaco dell’isola, Totò Martello, in quell’occasione ha espresso perplessità, evitando di partecipare alle esequie: «cosa ne sappiamo noi della religione di chi è morto?», si è giustamente domandato. Questi riti vengono spesso giustificati come atti di pietà nei confronti di persone che non possono avere esequie dignitose. Nel dubbio su un’eventuale appartenenza religiosa, sarebbe però più rispettoso dare preminenza a una cerimonia civile, o spazio a esponenti di più fedi.
Il fedele di un’altra religione e (peggio ancora) il non credente trovano invece maggiori difficoltà nel dimostrare uno stato di necessità che li abbia spinti a fuggire dal proprio paese. Mentre le istituzioni italiane sembrano avere un occhio di riguardo per cristiani perseguitati. Il governo Conte l’anno scorso ha istituito con la legge di bilancio un fondo di 2 milioni di euro per ognuno degli anni 2019 e 2020 e di 4 milioni a decorrere dal 2021, da destinare esclusivamente all’assistenza di cristiani che vivono in aree di crisi. La condizione dei cristiani in diverse zone del mondo è sicuramente critica e le persecuzioni vanno denunciate, ma iniziative così impostate dimenticano ad esempio le discriminazioni e le vessazioni subite da non credenti, laici e apostati nel mondo, tristemente descritte dal Freedom of Thought Report diffuso ogni anno da Humanists International. L’aneddotica riporta persino casi come quello avvenuto in Gran Bretagna all’inizio del 2018: un ex musulmano richiedente asilo proveniente dal Pakistan, ateo dichiarato, si era visto inizialmente respingere la domanda perché per i solerti funzionari dell’Home Office non avrebbe riconosciuto Platone. Mettendo così a rischio la sua vita, dato che la legge pakistana arriva a punire la “blasfemia” (largamente intesa) con la pena capitale.
Come insegna il caso di Asia Bibi, cristiana per anni nel braccio della morte ma infine graziata anche per il clamore internazionale suscitato intorno al suo caso. Nonostante le lamentele degli integralisti su un presunto silenzio dei media, quando si parla di persecuzioni religiose i cristiani sono spesso citati (talvolta solo loro). Come denunciato dalla European Humanist Federation, gli uffici immigrazione invece sono più restii ad accettare richieste di asilo di non credenti, anche per una scarsa consapevolezza sugli effettivi pericoli che possono correre se rispediti in patria. Ma qualcosa sta cambiando. Nel 2019 Humanists UK, organizzazione laico umanista britannica, ha formatocentinaia di funzionari dell’Interno proprio sulla valutazione delle domande di asilo da parte di non credenti dichiarati.
Il pregiudizio positivo nei confronti della religione, ritenuta tendenzialmente credenza più seria e sentita rispetto all’incredulità anche in paesi relativamente secolarizzati, contribuisce a tracciare una corsia preferenziale per i convertiti alla religione maggioritaria. Ma in paesi che possano dirsi davvero civili e laici, alle persone costrette a fuggire va garantito il diritto di cambiare liberamente religione senza condizionamenti di sorta, o scegliere di non averne alcuna. Per questo è cruciale fornire assistenza e forme di socializzazione non egemonizzate in senso confessionale. Perché l’accomodamento verso la religione dominante non sia il fattore determinante nell’accoglienza.
Valentino Salvatore
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