150 milioni. A tanto ammonta l’ultimo regalo del governo alle scuole cattoliche. Un regalo che ha scatenato molte reazioni negative, alcune persino inaspettate. Che ci fanno ben sperare per il futuro.
Un esempio per tutti. L’europarlamentare Pd Pina Picierno, presentando l’ennesima concessione di fondi come “una buona notizia” e rilanciando una sua recente intervista al quotidiano dei vescovi Avvenire, pensava probabilmente di incassare il plauso dei cattolici. Ha invece riscosso quasi esclusivamente critiche – soprattutto dalla sua base, che sembra ormai esasperata dal continuo, totale appiattimento nei confronti delle assillanti richieste delle gerarchie cattoliche.
Per rispondere a tali “attacchi” è quindi sceso in campo, sull’Huffington Post, un pezzo da novanta dei cattolici del Pd: il costituzionalista e deputato Stefano Ceccanti. Il quale ha fatto a sua volta ricorso ad affermazioni discutibili, come quella secondo cui “le scuole paritarie che accettano i vincoli penetranti posti dal legislatore sono scuole pubbliche a tutti gli effetti”. A parte che di vincoli ne esistono purtroppo ben pochi, se fosse stato corretto avrebbe dovuto scrivere che “le scuole private che accettano i vincoli penetranti posti dal legislatore sono scuole paritarie”. È evidente a tutti che non sono pubbliche, perché non sono né di proprietà pubblica, né a gestione pubblica. Che i sostenitori delle scuole private si vergognino così tanto a chiamarle “private” è già di per sé significativo: sanno bene che il lettore medio non gradirebbe granché. E cercano quindi di intortarlo.
L’argomentazione principale di Ceccanti è però che la costituzione autorizza tali finanziamenti. E su questo ha (parzialmente) ragione. L’articolo 33 recita infatti: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato”. La formulazione è (volutamente?) ambigua: il “senza oneri per lo stato” è valido sempre, o soltanto al momento dell’istituzione delle scuole? Nell’incertezza, entrambe le interpretazioni sono ahinoi legittime. Ha quindi buon gioco Ceccanti a sostenere la legittimità dei finanziamenti alle scuole cattoliche, che “non solo […] il decisivo passaggio [della legge] del 2000, ma anche la giurisprudenza costituzionale hanno confermato quell’impostazione, arricchita peraltro nel 2001 dal riconoscimento nell’articolo 118 della Carta del principio di sussidiarietà orizzontale”.
‘Legittimo’ non è però sinonimo di ‘auspicabile’. E dovremmo chiederci (Ceccanti non lo fa) perché, dall’approvazione della costituzione fino al 2000, nel corso quindi di oltre mezzo secolo dominato dalla Democrazia Cristiana, l’esigenza di una legge sulla parità scolastica non veniva manifestata così insistentemente. La ragione è semplice: è cambiata la società. La secolarizzazione ha continuato ad avanzare, i genitori sono diventati un filo più moderni e non hanno più spedito i figli in ambienti ritenuti protetti, i religiosi che insegnano gratis o sottopagati sono calati vertiginosamente. Le scuole cattoliche sono semplicemente andate in crisi. Il loro è un modello economico che non può più funzionare, senza l’aiuto dei contribuenti.
Non lo sostengo io: lo affermano loro stesse. Anzi: lo affermavano già nel 1999. Nel 2000, il giorno stesso dell’approvazione della legge sulla “parità scolastica”, padre Perrone affermava di condividerne largamente il testo, ma nello stesso tempo si lamentava dei pochi soldi che avrebbe ricevuto, e già chiedeva “rimborsi alle famiglie calcolabili intorno all’80 per cento delle rette annuali”. I soldi erogati alle scuole cattoliche non sono però affatto pochi. Stando ai calcoli dell’Uaar, ogni dodici mesi ricevono infatti 430 milioni dallo stato e 500 milioni dalle amministrazioni locali. Con l’ultimo obolo si è quindi superato il miliardo in un anno.
Sono ben spesi, i nostri soldi? No. E per tante ragioni, che chiunque può approfondire: in sintesi, ne possiamo ricordare almeno dieci.
- Le scuole cattoliche non rappresentano un risparmio per la casse pubbliche.
- Troppo spesso si rivelano diplomifici.
- Discriminano verso gli insegnanti che compiono scelte di vita e hanno orientamenti sessuali non conformi alla dottrina.
- Respingono sovente anche i disabili.
- Fanno parte di un’organizzazione, la chiesa, che nega costitutivamente le pari opportunità alle donne.
- Sono scuole di parte: non sono quindi di tutti e per tutti.
- Il modello educativo è di retroguardia.
- La qualità del loro insegnamento è mediamente minore.
- Il loro insegnamento non è imparziale, ma è basato sulla dottrina cattolica.
- Creano quindi precoci cattolici, non futuri cittadini.
E dire che, in altri contesti, il Pd si batte contro discriminazioni di questo tipo. Quando il contesto è cattolico, il Pd si comporta però in maniera diametralmente opposta. Comprendiamo quindi perché Ceccanti sente la necessità di scrivere che la 62/2000 è “un’ottima legge dei governi di centrosinistra” senza nemmeno tentare di spiegarci perché lo sarebbe – come non ce lo spiega Picierno: non hanno alcuna valida argomentazione da proporci. Vogliono finanziare le scuole cattoliche soltanto perché “ce lo chiede la chiesa”. Ma, per onestà, dovrebbero allora aggiungere che “la accontentiamo volentieri perché siamo clericali”.
Si tratta purtroppo di un atteggiamento che va ben oltre il Pd. Spetta quindi a noi far capire ai parlamentari che nessun genitore laico deve essere forzato a mandare i propri figli in istituti cattolici, e che nessuno studente ateo deve essere obbligato a frequentarli. Per lo stato, finanziare le scuole cattoliche è sempre e soltanto un onere, dei più gravosi e ingiustificati. Poiché la costituzione non impone di finanziarle, la legge che lo consente va quindi abolita.
E tutti a scuola nella scuola di tutti.
Raffaele Carcano
D’accordo, con un paio di precisazioni:
-“Discriminano verso gli insegnanti che compiono scelte di vita e hanno orientamenti sessuali non conformi alla dottrina.” Aggiungerei: “e non hanno le raccomandazioni giuste per essere assunti.”
-“Creano quindi precoci cattolici, non futuri cittadini.” Su quest’ultima affermazione avrei i miei dubbi, questi istituti spesso sono semplici botteghe senza un preciso orientamento, in altri casi, quando l’impronta clericale è più accentuata, scatena delle vere e proprie reazioni di rigetto.
Quanto poi alla corretta interpretazione dell’art. 33 della Costituzione, pur non essendo un giurista, credo vi siano ottime ragioni per interpretarlo nel senso di un divieto assoluto, almeno per quanto riguarda lo Stato, mentre il discorso potrebbe essere diverso per i contributi degli enti locali (e a questo proposito osservo quanto sia grave l’inserimento nella Costituzione del principio di sussidiarietà, pericoloso quanto il famigerato art. 7).
L’inciso “senza oneri per lo stato’ ha senso chiaro e univoco, e ciò vale anche per le amministrazioni locali. Ma avendo a che fare con chi si è inventato un dio, il diavolo e la vergine partoriente è facile che più nulla sia certo. È grave che a cadere in queste fallacie siano i politici.
Anche ammettendo l’interpretazione che si possano dare dei sussidi alle paritarie, resta il problema dell’entità.
Lo stato deve assicurare l’insegnamento pubblico (e di qualità), in particolare quello obbligatorio, e, quindi, viola la costituzione quando non lo fa per favorire le scuole paritarie o addirittura firma accordi a suo favore. Se il cittadino si trova in una situazione di non poter scegliere il pubblico è un grave danno per la libertà di scelta.
Ma anche dare dei sussidi per far sopravvivere delle realtà paritarie che altrimenti fallirebbero è una violazione di questa libertà perchè decide quale deve essere l’alternativa ed impedisce l’adattamento ai cambiamenti della società. Circa 2/3 degli studenti delle paritarie vanno in scuole dichiaratamente cattoliche eredità di un passato liberticida con la religione di stato e che fanno parte del disegno di condizionamento della società da parte della chiesa cattolica che spesso non rispetta la costituzione. Se si danno troppi sussidi vengono falsate le presunte capacità manageriali e la possibilità di offrire un insegnamento valido che incontri la domanda. Cioè diventano sussidi a dei privilegiati che vogliono un mercato protetto per conservare il proprio orticello e clienti indipendentemente da ciò che vuole la società. Visto che hanno scelto in genere quello più economico e meno impegnativo degli asili e delle primarie, non mi risulta che il baby sitting e la flessibilità di orario per parcheggiare i figli siano “valori esclusivamente cattolici”.
Purtroppo esiste una sentenza della Corte Costituzionale (non ricordo esattamente numero e anno) che esclude i finanziamenti statali alle scuole private, ma ammette i finanziamenti degli enti locali. Come c’era da aspettarsi i nostri politici hanno recepito solo la seconda parte della sentenza. Comunque proprio pensando a questa sentenza sottolineavo la pericolosità dell’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione ; e non sono d’accordo con molti, soprattutto di sinistra, che distinguono tra una sussidiarietà verticale (lo stato non può fare ciò che possono già fare le regioni) positiva e una sussidiarietà orizzontale (il pubblico non può fare ciò che possono già fare i privati) negativa. In realtà, e l’esempio della scuola è eclatante, sono spesso proprio gli enti locali che preferiscono finanziare strutture private anzichè istituire strutture pubbliche, quindi le due forme di sussidiarietà sono complementari e si sostengono a vicenda.
Tutto perfetto, solo questo passaggio non mi convince (forse manca di approfondimento per i non addetti ai lavori):
Non si può, a mio modesto modo di vedere, prendere a pretesto una dimenticanza, una mera svista nella formulazione di un principio da parte dei padri costituzionali, per giustificare una palese infrazione del principio.
Questo, almeno, non si potrebbe fare in uno Stato in cui i politici non fossero genuflessi al potere ecclesiastico…
Mi riferivo al pezzo:
L’argomentazione principale di Ceccanti è però che la costituzione autorizza tali finanziamenti. E su questo ha (parzialmente) ragione. L’articolo 33 recita infatti: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato”. La formulazione è (volutamente?) ambigua: il “senza oneri per lo stato” è valido sempre, o soltanto al momento dell’istituzione delle scuole? Nell’incertezza, entrambe le interpretazioni sono ahinoi legittime.
Che non so come mai non è stata riportata nel copia e incolla…
Uno stato serio dovrebbe occuparsi prima dell’istruzione pubblica invece di favorire le scuole private. Nel confronto con altre nazioni europee le spese per l’istruzione in Italia sono decisamente inferiori e negli ultimi decenni sono calate notevolmente. In più abbiamo politici e rappresentanti delle istituzioni che si occupano più di incrementare i soldi alle private sottraendole al pubblico e fare propaganda denigratoria del pubblico a vantaggio del privato.
Ci vuole una bella faccia tosta da parte delle paritarie a lamentarsi di essere discriminate rispetto al pubblico. Ulteriori 150 milioni di Euro rispetto ad 1.5 miliardi di Euro al pubblico a cui sono state tolte continuamente risorse a vantaggio del privato sono una enormità visto che le paritarie rappresentano circa il 10 % del totale e tradiscono il disegno di utilizzare il coronavirus per conquistare sempre più spazio. Basterebbe vedere il confronto tra gli stipendi degli insegnanti in Germania ed Austria o altre nazioni europee per rendersi conto di quanto sia ostacolato il pubblico in Italia.
Strano concetto poi di privato. Piena autonomia educativa, proprie regole, propri contratti e propri sindacati, gestione propria, niente controlli da parte dello stato, ma pretesa di copertura significativa dei costi da parte del pubblico. Bello fare il privato così, bello pretendere di non fallire per incapacità o proposta educativa scadente o obsoleta. Non è un caso se quasi tutte le scuole private sono paritarie. I criteri non devono essere difficili. Non ho mai sentito di scuole paritarie cattoliche a cui sia stato tolto l’accredito da parte del governo, così come di diplomifici non accreditati. Studenti incapaci nel pubblico che diventano bravi nel privato: un vero miracolo.