Imprese miracolose: le scuole private cattoliche

Il 2020 sarà l’anno di un triste primato. Sfonderanno il tetto del miliardo di euro i soldi pubblici (le nostre tasse) incassati dagli istituti che portano avanti il progetto educativo della Chiesa. Perché la Cei non li finanzia con una piccola parte delle sue immense ricchezze?

Ci risiamo: la Conferenza episcopale italiana batte cassa perché ulteriori soldi pubblici vengano versati alle sue scuole private, e il governo di turno non solo glieli concede, ma raddoppia lo stanziamento straordinario già inserito nel decreto Rilancio, portando a 150 i milioni da girare agli istituti paritari. Il 2020 sarà così l’anno di un triste primato, quello dello sfondamento del tetto del miliardo di euro di spesa pubblica destinato a tenere in piedi le scuole private cattoliche, che da sole già ricevono annualmente 430 milioni dallo Stato e 500 milioni dalle amministrazioni locali.

È da vent’anni, dal varo della famigerata legge 62/2000 sulla parità scolastica, che ai contribuenti tocca mantenere le scuole private cattoliche. Un sistema in costante crisi i cui sostenitori, con una certa sfrontatezza, chiamano pubblico. Di pubblico, onestamente parlando, ha solo i tanti finanziamenti. Sono invece platealmente privati la proprietà, la gestione, la scelta degli insegnanti e soprattutto il progetto educativo proposto, che i genitori-clienti sono obbligati ad accettare nella domanda di iscrizione. Progetto educativo che, facendo riferimento alla dottrina cattolica, oltre che di parte è di retroguardia. Per dirne una che dovrebbe interessare il ministero per le Pari opportunità e la famiglia, la Chiesa colloca la donna in un ruolo di inferiorità nell’organizzazione ispiratrice del progetto.

Le preoccupazioni della ministra Elena Bonetti, stando a un’intervista rilasciata al Giornale il 20 maggio scorso, sono invece planate su altri fronti. Curiosamente sovrapponibili a quelli rivendicati dai vescovi: quello di dare soldi pubblici alle famiglie perché possano far frequentare ai loro figli scuole non pubbliche, quello di far intervenire lo Stato al posto dei rispettivi proprietari per ristrutturare immobili di proprietà privata adibiti a scuole
paritarie. Dopo questa rivisitazione in salsa clericale delle pari opportunità, Bonetti ha concluso l’intervista dicendosi esplicitamente d’accordo con un’altra richiesta della Cei, quella di poter utilizzare l’8×1000 a scopi educativi.

Crediateci o no, su quest’ultimo punto anche la Uaar si è detta d’accordo. Per dimostrare che noi atei non ci siamo bevuti il cervello, occorre chiarire i termini della questione. Il giorno precedente l’Ansa riportava che per il portavoce e sottosegretario della Cei, don Ivan Maffeis, «la scuola paritaria non vuole soldi dallo Stato». Fin qui si fiuta lontano un miglio la excusatio non petita, accusatio manifesta. Ma andando oltre leggiamo che la richiesta della Cei è di «usare per il sostegno alle scuole paritarie la quota del suo 8×1000». I vescovi vogliono usare fondi che giacciono nelle loro casse per finanziare le loro scuole private? Ben venga, è proprio questa la direttrice che deve governare il sostentamento delle scuole che non sono pubbliche.

È smaccatamente capziosa la lamentela di Maffeis sulla legge 222/1985, la cui formulazione impedirebbe che l’8×1000 incassato dalla Chiesa possa essere utilizzato per le scuole di sua proprietà. Davvero vuole farci credere che la Chiesa ha le mani legate? Che vorrebbe tanto finanziare il sistema educativo cattolico ma le viene impedito proprio dalla legge che, regolando il perverso meccanismo dell’8×1000, le garantisce di ricevere un miliardo l’anno alle spalle dei contribuenti? No, la Chiesa non ha affatto le mani legate: usi depositi sui suoi conti correnti, dismetta una piccola frazione del suo impero immobiliare, venda colossi di cui è proprietaria come ad esempio la Faac, quotata sul miliardo e mezzo. Finanzi le scuole private che portano avanti il suo progetto educativo utilizzando una piccola parte delle sue immense ricchezze.

Scuole private, sponsor privati. Un semplice principio che deve emergere, sgombrando il campo da imbrogli lessicali che, con termini più presentabili come “paritarie” e “sussidiarietà”, vogliono far passare per pubblico ciò che è privato, per bene comune ciò che è interesse di parte religiosamente orientato. Complementare al precedente, c’è il principio di fondo: il finanziamento pubblico deve essere destinato alla scuola aperta a tutti, per renderla più moderna, all’avanguardia e laica. Per istituirla dove, nel terzo millennio, la scuola pubblica addirittura non esiste, come nei tanti comuni in cui i genitori sono costretti a iscrivere i figli alla scuola materna parrocchiale perché la Repubblica, contravvenendo al dettato costituzionale, non garantisce la scuola dell’infanzia statale, preferendo finanziare la scuola parrocchiale.

Roberto Grendene

Articolo pubblicato su Left del 5 giugno 2020

Archiviato in: Generale

9 commenti

G. B.

Tutto condivisibile, salvo una puntualizzazione. Con la legge sull’autonomia scolastica anche la scuola statale è diventata, almeno in parte, privata: ogni istituto ha una sua specifica offerta formativa (il docente che non la condividua e non vi si adegua magari non sarà licenziato, ma di sicuro avrà i suoi bei dispiaceri), i dirigenti scolastici hanno un ampio margine di discrezionalità nell’assegnazione delle classi, con il governo Renzi si era arrivati addirittura alla chiamata nominativa degli insegnanti, poi fortunatamente rientrata. Insomma, dovrebbe essere chiaro che la battaglia contro i finanziamenti alle scuole private (e non distinguerei tanto fra clericali e non) va condotta parallelamente alla battaglia contro l’autonomia scolastica. Dispiace invece vedere che la prima ha ancora i suoi sostenitori (anche se non agguerriti come ai bei tempi in cui riuscivano a far saltare il governo proprio su questa questione), mentre la seconda ne ha molti meno, forse perchè una parte dei docenti trova il proprio tornaconto nell’autonomia (maggiore potere per i gruppi organizzati all’interno delle singole scuole, ai danni degli altri insegnanti).

mafalda

I docenti sono stanchi, sfiduciati, impegnati a districarsi tra le sigle che rappresentano i sempre continui aggiornamenti e decreti che richiedono montagne di carte da completare per avere in cambio nulla. Le maestre giovani conoscono la scuola del berlusconismo e di renzi, non provano neanche a cambiarla.

G. B.

Scuola del berlusconismo e di Renzi? Perchè non anche di Prodi e di Berlinguer? Ricordiamoci che le leggi più distruttive della scuola pubblica risalgono agli anni 1996 – 2001, quando l’Italia era governata dal centro sinistra. I governi successivi completarono l’opera. L’autonomia scolastica, la legge sulla parità e l’inserimento del principio di sussidiarietà nella Costituzione furono il prezzo pagato dai postcomunisti per essere accettati negli ambienti clericali, che infatti furono favorevolissimi a queste “belle” innovazioni, che, in particolare per la scuola, rendevano incerta la distinzione tra pubblico e privato e quindi in un certo senso legittimavano il finanziamento pubblico degli istituti privati.
Quanto alle maestre giovani purtroppo non ne conosco e non posso quindi dire niente. Conosco invece molto bene docenti di mezza età delle scuole superiori e posso affermare che, accanto a persone serie e proprio per questo amareggiate per la piega presa dalla scuola negli ultimi decenni, ci sono anche molti maneggioni ed intriganti, che amano farsi belli organizzando inutili attività extracurricolari, intrattenendo rapporti privilegiati con le famiglie “che contano”, adulando i dirigenti, spettegolando continuamente ai danni dei colleghi e sabotandone il lavoro. Siccome queste persone sono generalmente molto solidali e affiatate tra loro, riescono quasi sempre a far prevalere il loro punto di vista, o meglio il loro interesse, negli organi collegiali e a vedersi assegnata le cattedre migliori all’interno dell’istituto di appartenenza, spesso scavalcando altri insegnanti con maggiore anzianità e titoli. Naturalmente i ruffiani e gli adulatori, prima di finire nella prima e nella seconda bolgia dell’immaginario inferno dantesco, se la sono sempre passata piuttosto bene sulla terra e nella scuola in particolare, certamente meglio degli spiriti liberi e indipendenti; l’autonomia scolastica e quanto ne è seguito li hanno però favoriti ancora di più, eliminando quelle limitazioni legali che in qualche misura li tenevano a freno. Naturalmente gli studenti non sono stupidi e vedono come vanno le cose, magari qualcuno più onesto stimerà i professori indipendenti, ma la maggior parte si adegua all’andazzo, cosicchè la scuola dell’autonomia di potrebbe meglio definire scuola di diseducazione civica. E poi si parla in modo ipocrita di educazione alla legalità, mentre le ingiustizie e i favoritismi sono sotto gli occhi di tutti.

mafalda

G.B.
Mi pare che stiamo dicendo la stessa cosa. Al di là di quanto siano profonde le radici delle disgrazie della scuola italiana (non voglio difendere la sinistra, non mi interessa), resta il fatto che la scuola che favorisce i maneggioni e i leccapiedi, che dà un potere esagerato ai dirigenti, è quella di Renzi. Non conosco la realtà degli istituti superiori e il ritratto che ne fai è desolante; quello che sto vedendo alle elementari e medie è la lenta trasformazione della figura docente da esperto in didattica a burocrate tuttofare, inoltre il collegio docenti perde sempre più potere a favore di capicommissione che insieme al dirigente formano un’oligarchia a cui è difficile opporsi. Ovvio che l’oligarchia non è formata dalle persone più critiche ma da quelli che stanno zitti e obbediscono. Per fortuna ho parecchi anni di lavoro sulle spalle e posso dire quello che penso senza paura di “punizioni”, ma posso capire come si sente un giovane che vuole cambiare le cose o almeno lavorare tranquillo.

RobertoV

Sono ormai un 20/30 anni che è stata fatta passare questa idea bipartisan che il privato è bello, è più efficiente e che quindi anche il pubblico vada gestito con la logica del privato, come si vede bene anche con la sanità pubblica, di cui la Lombardia è il miglior esempio.
Pensando poi che per la scuola privata quando si va a fare i test si scopre che non è quella efficienza visto che ottiene risultati peggiori del disastrato pubblico, coperti solo propagandisticamente da qualche eccellenza (molto costosa) come specchietto per le allodole. Di che eccellenza poi si può parlare quando la copertura è per la maggior parte di asili (cioè di parcheggi per i bambini, spesso in assenza di concorrenza) e di scuola primaria, cioè dei livelli inferiori di istruzione?
E’ vero che 1/3 degli studenti delle paritarie va in scuole non apertamente cattoliche (anche se andrebbe verificato quanto da esse ispirato o di nascosto controllate), ma quelle che battono cassa sono sempre quelle cattoliche, evidentemente quelle più in difficoltà vista la vetustà dei loro programmi scolastici e della loro offerta e la difficoltà a mantenere il privilegio costruito in un passato liberticida.
Tra i vantaggi di queste scuole non ci sono solo i soldi che ricevono direttamente da stato, comuni e regioni, ma tutta una serie di agevolazioni mai monetizzate, quali stipendi mediamente del 30 % più bassi come i loro stessi sindacati dichiarano (quindi meno tasse per lo stato e meno costi), minori tutele sindacali, la possibilità di utilizzare fino al 25 % di personale volontario (cioè poco pagato o addirittura in “nero” ?) ed i minori costi per insegnanti di sostegno visto che accolgono la metà dei portatori di handicap o immigrati (alla faccia della loro tanto sbandierata accoglienza verso i bisognosi). Bello fare il privato così.
Durante la pandemia si era detto che bisognava tutelare di più il pubblico ed investire in istruzione, appena superata l’emergenza si sono rimangiati tutto ed i clericali sono ripartiti all’attacco e si tirano fuori più soldi per i privati che piangono miseria. 1.5 miliardi al pubblico a cui hanno continuamente tagliato negli ultimi decenni e ben 300 milioni al privato che rappresenta il 10 % del totale e che ha preso sempre più soldi negli ultimi anni.

Diocleziano

Gli appelli all’accoglienza a tutto campo è strumentale a zavorrare il pubblico per renderlo meno competitivo. Come faceva notare una giornalista, un po’ più sveglia della media dei suoi colleghi, i sussidi a pioggia sui genitori che mandano i figli nelle paritarie vanno a cadere su un ceto tra i maggiori evasori, essendo mediamente già più benestanti di quelli che usufruiscono delle statali.

G. B.

Mafalda.
Guarda che Renzi ha potuto fare quello che ha fatto col consenso o almeno con la benevola neutralità della sinistra che ne sosteneva il governo. In realtà quella scolastica è stata in assoluto la politica più bipartisan degli ultimi decenni, le differenze fra centrodestra e centrosinistra erano e sono minime. In entrambi si riscontra la volontà di privatizzare l’istruzione (in modo più esplicito nel centrodestra e in Renzi, in modo più ipocrita e strisciante nel centrosinistra), di svilire la funzione docente e di vanificare la libertà di insegnamento, o, più precisamente, di interpretarla come libertà della della singola istituzione scolastica e non dei singoli docenti (libertà DELLA scuola, ma non NELLA scuola). Qualche posizione più favorevole alla scuola pubblica e laica si è riscontrata solo in alcuni esponti del Movimento 5 Stelle, sui quali è peraltro calato presto il silenzio. Dalla politica dunque non si può aspettarsi niente di buono per la scuola. Quello che invece mi ha indignato e che francamente non mi sarei aspettato (forse perchè sono un ingenuo, anche se non più giovane) è stata l’acquiescenza degli insegnanti: certo non potevano fare gli eroi e andare contro la legge, ma almeno cercare, nell’ambito della legalità, di frenare gli aspetti più devastanti delle innovazioni ministeriali, questo avrebbero potuto farlo, ad esempio non prestandosi a svolgere attività extracurricolari, o elaborando piani per l’offerta formativa quanto più possibile generici, e che quindi non condizionassero più di tanto ill lavoro di ciascuno, e invece in troppi si sono dimostrati, come si dice, più realisti del re.

mafalda

G.B.
Condivido tutto quello che hai detto, anche se, ripeto, molti insegnanti sono rassegnati o abituati a questo triste andazzo. Non per fare la vittimista, ma se volessimo ci sarebbe da parlare dei sindacati, per i quali sembra che i continui attacchi alla scuola pubblica siano cosa di poco conto. In una situazione così inerte, divisa e divisiva chi va a nozze sono sempre i preti e le scuole private, dove si è da sempre abituati a tacere e obbedire. Neanche il covid è servito a far capire quanto bisogno c’è del pubblico, in ogni settore. Lo speravo davvero, che la pandemia portasse alla voglia di rinnovare creativamente rinforzando la scuola pubblica, invece non sappiamo neanche quando e come si ricomincia. Sappiamo che sono stati stanziati dei fondi consistenti per la scuola privata, quella era la priorità.

G. B.

Ho il sospetto che le scuole private laiche non chiedano finanziamenti pubblici perchè preferiscono limitare la loro clientela ai ceti medio alti, mantenendo quindi un carattere più esplicitamente classista, mentre le scuole cattoliche hanno anche velleità democratiche. Peraltro “senza oneri per lo Stato” deve comunque valere indipendentemente dalla gestione da parte di enti religiosi o da parte di altri privati.

Commenti chiusi.