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Chi sono, e come la pensano, gli atei e gli agnostici italiani?
«La religione è l’oppio dei popoli». Quest’ormai celeberrima espressione apparve per la prima volta nel 1844, nello scritto Per la critica della filosofia del diritto di Hegel di Karl Marx. Nel suo articolo, Marx sosteneva che la religione fosse allo stesso tempo espressione e protesta contro la miseria vera in cui l’uomo vive, «il sospiro della creatura oppressa», e che dunque «eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo» volesse dire «esigerne la felicità reale».
A oggi, dati alla mano, possiamo affermare con sicurezza che l’intuizione di Marx che religione e miseria sono interconnesse sia effettivamente azzeccata, tanto è vero che studi longitudinali transnazionali mostrano consistentemente (sebbene con diverse variazioni regionali) che con l’aumentare della ricchezza e del benessere il grado di religiosità dei popoli tende a diminuire – e anche che, in una sorta di circolo virtuoso, l’avanzare della secolarizzazione stessa tende poi a risultare in un aumento della ricchezza.
Partendo da questi assunti, e se consideriamo il miglioramento generale delle condizioni della vita e l’aumento della prosperità che si è verificato a livello globale specialmente negli ultimi decenni, non dovrebbe quindi sorprenderci scoprire che il numero di persone che non si identificano in alcuna confessione religiosa, e che in generale si sentono lontane dalla religione, sia andato aumentando progressivamente nel corso degli anni recenti in tutto il mondo. Secondo uno studio del Pew Research Center, infatti, oggi i non religiosi costituiscono il 16% della popolazione globale, e rappresentano la più grande “confessione religiosa” in sette paesi del mondo, e la seconda più grande in circa la metà (48%) degli altri paesi. Anche l’Italia si qualifica in questo secondo gruppo, con una percentuale di non religiosi che attualmente corrisponde al 15.3% della popolazione (9% atei e 6.3% agnostici), un dato che, in base a quanto riportato dallo studio Doxa-Uaar 2019, è aumentato quasi del 4% nel corso degli ultimi cinque anni.
Nonostante costituiscano una considerevole “minoranza religiosa” e il loro aumento sia in qualche modo uno dei segnali dell’avanzamento del progresso nei nostri paesi, i dati raccolti e gli studi fatti sui non religiosi e le caratteristiche che li contraddistinguono rispetto al resto della popolazione rimangono però per lo più limitati – specialmente in paesi come l’Italia, dove l’influenza cattolica sul contesto socioculturale e politico rimane persistente. Nondimeno, qualche dato affidabile c’è, ed è dunque possibile tracciare un profilo per lo meno approssimato, un identikit se vogliamo, dei non religiosi italiani, rivelando qualche verità su una minoranza spesso mistificata oltre che trascurata nel dibattito pubblico predominante.
Per cominciare, una prima realtà da considerare è che il gruppo dei non religiosi è un gruppo abbastanza omogeneo dal punto di vista demografico. Appare chiaro, infatti, che essi si concentrano soprattutto tra i giovani, sono per lo più uomini e appartengono alle fasce più istruite della popolazione. Secondo lo studio condotto dal sociologo Garelli nel 2017 su un campione rappresentativo di italiani tra i 18 e gli 80 anni, di tutte le fasce d’età, è in quella compresa tra i 18 e i 34 anni che si trovano la maggioranza dei non religiosi (35%). Inoltre, risultano senza religione il 35% dei laureati rispetto al 13% di coloro con la licenza elementare o senza alcun titolo e il 26% di coloro con un livello di istruzione medio. Infine gli uomini tendono ad essere meno religiosi rispetto alle donne (28% vs 20%), un dato che riflette un trend storico tipico nei paesi tradizionalmente cristiani e per cui alcuni studiosi hanno trovato giustificazione facendo riferimento alla storica divisione tra i ruoli sociali di genere, che potrebbe aver portato gli uomini – generalmente più a contatto con la vita pubblica e le idee della secolarizzazione rispetto alle donne che erano invece relegate a ruoli domestici e dunque meno a contatto con la società – a perdere interesse nella religione più in fretta rispetto alle donne. Sebbene la disparità nel livello di religiosità tra i due generi permanga anche oggi, è comunque incoraggiante notare che con il passare degli anni questo divario stia diminuendo significativamente, specialmente nella fascia più giovane della popolazione, facendo sperare che col tempo sia destinato a scomparire.
Oltre la demografia, è poi interessante osservare che i non religiosi sono un gruppo per lo più omogeneo anche dal punto di vista delle opinioni che difendono in ambiti politico-sociali. Secondo lo studio Garelli 2017, infatti, questo gruppo della popolazione è quello che si professa più a favore delle scelte libere e della sperimentazione nel campo della vita e della biogenetica: il 94% si dichiara a favore dell’aborto, il 63% supporta la fecondazione eterologa, il 60% ammette la scelta della gestazione per altri, e ben l’85% reputa ammissibile l’eutanasia. Inoltre, il 78% si dice a favore delle unioni civili per gli omosessuali (secondo un altro studio del Pew Research Center, la percentuale di coloro che approvano i matrimoni omosessuali è anche più elevata, circa l’83%), mentre sempre in maggioranza, ma in misura minore, è diffusa l’idea che gli omosessuali dovrebbero poter adottare un minore (58%). Parlando di questioni politico-sociali, è anche interessante osservare quanto emerso da uno studio accademico recente sulla fede degli italiani nelle teorie del complotto: secondo gli studiosi, la fede verso una religione ha molto in comune con la fede in queste teorie, in quanto entrambe tentano di attribuire le cause di fatti ed eventi a forze invisibili o segrete. Per questa ragione, religiosità e fede nelle teorie complottiste risultano variabili correlate, e coloro che non credono in Dio tendono anche ad essere meno convinti e a cadere meno vittime di queste ultime.
Se da un lato i non religiosi hanno generalmente caratteristiche demografiche simili e condividono simili opinioni su questioni di rilevanza sociale e politica, su altre questioni essi presentano invece profonde divergenze interne. Forse diversamente dall’aspettativa comune, infatti, i non credenti tendono ad essere un gruppo con credenze e attitudini molto variegate in ambito religioso e spirituale. Basti pensare, per esempio, che mentre in Italia più del 15% della popolazione si dichiara atea o agnostica, il numero di persone che tuttavia dice di non credere in Dio è sostanzialmente più alto. Secondo lo studio Garelli 2017, circa un quarto degli italiani appartiene alla categoria dei non credenti (24%). Questo solo dato racchiude una varietà di posizioni: da un lato, ci sono quelli che sono convinti che dio non esista (il 9,6% – una percentuale simile a quella rilevata dallo studio Doxa-Uaar 2019 relativa a quanti si definiscono atei), dall’altro ci sono quelli che si dichiarano indifferenti alla questione (8,4%), e infine c’è anche chi non crede in dio ma sostiene che operi nell’universo una qualche forza o potere superiore (6%). Bisogna poi considerare che, secondo quanto emerge dal sondaggio Doxa-Uaar 2014, molti di coloro che si definiscono agnostici allo stesso tempo riconoscono che i precetti cattolici influenzano la propria vita quotidiana ‘abbastanza’ o ‘molto’ (27%), e ciò è vero anche per il 35% degli atei. Il 49% degli agnostici e il 40% degli atei dice inoltre di aver battezzato o che farebbe battezzare i propri figli, dimostrando un legame culturale ancora molto radicato con il culto cattolico. Infine, stando a Garelli, mentre il 50,3% di coloro che si definiscono senza religione dichiarano di non avere alcuna vita spirituale, una buona minoranza del quasi 43% dice invece di vivere una non meglio specificata «vita spirituale come armonia umana».
Se questa varietà di opinioni e contraddizioni non bastasse, si potrebbe inoltre considerare anche un altro gruppo, forse più nascosto e generalmente non associato ai non credenti, che però ha spesso caratteristiche più simili alla fazione dei non religiosi che a quella dei fedeli, sia dal punto di vista demografico e delle opinioni che i suoi componenti difendono in ambiti politico-sociali, sia dal punto di vista della loro relazione con la religione. Si tratta di una buona parte di coloro che si definiscono «cattolici per tradizione e educazione», una schiera le cui file sono andate aumentando progressivamente negli ultimi anni, passando dal 27,7% nel 1994 al 43,6% nel 2017, e in cui attualmente si identificano la maggior parte dei cattolici italiani. Infatti, secondo un altro studio condotto da Garelli nel 2015, che analizza la religiosità tra i giovani italiani, dei giovani che si identificano come cattolici «per tradizione ed educazione» il 22% rivela in realtà di non credere in Dio e il 50% nega che la religione abbia alcuna rilevanza nella propria vita e dice di non avere alcuna vita spirituale. Partendo da questi dati, è possibile speculare che non solo tra i giovani, ma anche in tutto il resto della popolazione – sebbene forse in proporzione minore rispetto alla fascia 18-34 anni, che in generale tende ad essere meno religiosa delle altre – una significativa minoranza rientri nelle file di quelli che Garelli chiama «atei pratici». Anche questi ultimi, dunque, potrebbero forse considerarsi come un’ulteriore addizione alla grande varietà di sistemi di pensiero e credenze che caratterizzano il gruppo di non religiosi italiani.
In generale, quindi, il quadro che emerge dai pochi dati disponibili sui non credenti come componente sociale a sé stante in Italia è forse poco chiaro, che mostra sì i non religiosi come un gruppo giovane e progressista che sembra destinato a crescere e lascia buone speranze per il futuro, ma che allo stesso tempo riflette le contraddizioni interne del nostro paese e l’influenza che la tradizione cattolica continua ad avere persino su chi con dio non pensa né sente di avere nulla più a che fare. Non è da dimenticare, infine, che secondo quanto riportato dal Freedom of Thought report pubblicato l’anno scorso da Humanists International, l’Italia rimane 159esima su 179 paesi e l’ultima in Europa occidentale in termini di secolarismo istituzionale, politico e culturale, con i non religiosi che continuano ad essere discriminati e a subire ostracismo dalla maggioranza cattolica.
È chiaro, perciò, che dall’oppio religioso di cui parlava Marx non siamo ancora riusciti a disintossicarci, e che di strada da fare ne abbiamo ancora tanta. Un buon primo passo, sicuramente, sarebbe da parte dello stato cominciare con il riconoscere che esistiamo, noi che un dio non ce l’abbiamo e non lo vogliamo, e cercare di comprenderci invece che ignorarci. Specialmente perché il futuro non sono i cattolici, ma siamo noi.
Avilia Zavarella
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