Pessimi venti soffiano dalla Polonia. Già nota per le campagne omofobe istituzionalizzate, già in possesso di una fra le legislazioni più restrittive in tutta Europa, la ultra cattolica nazione ha affossato di fatto il diritto all’aborto per le cittadine polacche. La Corte costituzionale ha infatti parzialmente annullato la legge del 1993 che consentiva (o meglio: non considerava reato) l’aborto in limitatissimi casi: pericolo di vita per la donna o stupro le prime due. Gravi malformazioni o malattia incurabile potenzialmente letale del feto, l’ultima, che dal 22 ottobre adesso non esiste più. Dietro ricorso di 119 deputati di destra, che hanno quindi ottenuto il risultato a loro gradito senza doversi sporcare le mani nella conta parlamentare, la Corte ha ritenuto incostituzionale questo motivo abortivo perché violerebbe i principi costituzionali della vita e della dignità umana. Sarebbe quindi compito del legislatore tutelare la vita in tutte le fasi dello sviluppo e, con una nonchalance che arriva come un pugno allo stomaco arriva a sostenere che “il solo fatto della presenza di un handicap fetale o di una malattia incurabile non può autorizzare, nella prospettiva costituzionale, la decisione di interrompere la gravidanza”.
E quindi con l’idea di tutelare la vita di un feto morto prima di nascere si ignora con crudeltà deliberata la vita, già bella e formata, già pulsante ed esistente da anni e non da giorni, della donna. Che quasi fosse una passeggiata di salute si vede costretta a portare avanti una gravidanza senza scopo, se non quello di sadica tortura su di lei e su chi, malamente, sarà costretto a nascere.
Consola poco, in realtà, l’ondata di sdegno che alla notizia ha attraversato l’Europa. Consola poco le donne che questa realtà sono e saranno costrette ad affrontare. E consola poco anche chi guarda all’Europa istituzione come a un centro di progresso e tutela dei diritti umani fondamentali.
Unione Europea, vincitrice del Nobel per la pace nel 2012, che però troppo spesso sembra più solerte a controlli ed imposizioni in altri ambiti che non siano quelli della protezione di uno standard minimo di diritti civili dei suoi appartenenti. E invece vediamo l’aborto vietato a Malta, reato a San Marino (e a Città del Vaticano), rigidamente limitato o sottoposto a condizioni in moltissimi altri paesi, anche insospettabili (Gran Bretagna e Islanda, ad esempio). Oppure previsto e riconosciuto ma di fatto difficoltoso, impervio e ostacolato, quando non messo alla gogna. Come in Italia.
Solidarietà alle donne polacche, ovviamente e con forza. E solidarietà a tutte, veramente a tutte le donne che vedono il loro diritto di legittima scelta sul proprio corpo inibito, vilipeso o interdetto.
Sono, siete, siamo troppe. Ed è dovere di tutti agire e reagire al progressivo misconoscimento, di fatto e di diritto, dell’autodeterminazione come attributo irrinunciabile e decisamente no gender dell’essere umano in quanto tale. Perché tutelare la libertà di scelta altrui significa anche e innanzitutto difendere la propria. Anche quella di non scegliere.
Adele Orioli