Dai contagi di massa a quelli da messa

Di tanto in tanto capita che qualche notizia su focolai di contagio in ambiti ecclesiastici finisca tra le pagine di cronaca, in particolare quando la cosa riguarda esponenti di spicco o quando comunque si tratta di eventi notevoli. Così è stato di recente per la morte del patriarca della Chiesa serbo-ortodossa Irinej, stroncato dalla Covid-19 all’età di 90 anni. Irinej aveva contratto il virus in occasione dei funerali del metropolita montenegrino Amfilohije, anch’egli morto per le conseguenze dell’infezione da Sars-Cov-2 e noto per aver esortato in tempo di pandemia ai pellegrinaggi, che egli stesso definiva “vaccino di Dio”. Non a caso ai suoi funerali non era rispettata alcuna norma di contenimento, la folla era numerosa e con pochissime mascherine. Tra i presenti appunto il patriarca Irinej.

Altro caso emblematico è quello della folla di ebrei chassidici stretti, è proprio il caso di dirlo, l’uno vicino all’altro e senza nessuna protezione per assistere al matrimonio del nipote di un importante rabbino svoltosi a New York. Proprio i comportamenti di questi movimenti ultra ortodossi ebraici, che rifiutano qualunque forma di restrizione per i loro riti, sono stati uno dei fattori determinanti dell’escalation dei contagi nella Grande Mela, ma anche nello stato di Israele che infatti ha dovuto ricorrere a un secondo lockdown per riuscire a contenere la pandemia.

Tuttavia l’atteggiamento nei confronti di riti e celebrazioni pericolose è sempre piuttosto tiepido. Eppure il rischio di diffusione dei contagi è elevatissimo, com’è noto, proprio laddove la gente è presente numerosa. Ci si dovrebbe arrivare con un semplice ragionamento logico, ma se non bastasse lo ha certificato anche una ricerca condotta in dieci metropoli statunitensi e pubblicata su Nature. Tale ricerca compara i dati dei contagi con quelli degli spostamenti dei cellulari, arrivando così a stilare una sorta di classifica dei luoghi di interesse maggiormente esposti. Non vi sono sorprese: i contagi crescono proprio laddove è più alta la concentrazione di persone e più bassa è l’adozione di misure di contenimento. Quindi troviamo che a essere esposti sono principalmente ristoranti, palestre, bar, alberghi e chiese.

È ovvio che sia così e non a caso molte di quelle attività sono state chiuse in Italia. Ristoranti e bar sono aperti solo nelle poche regioni rimaste in area gialla e limitatamente alle ore diurne, altrove possono vendere solo per asporto perché si tratta di luoghi dove si sta necessariamente senza mascherina. Le palestre sono invece chiuse ovunque, sempre perché non è possibile allenarsi senza mascherina. Chiusi ovunque perfino luoghi meno sensibili alla diffusione del virus perché più controllabili, come cinema e musei. Al contrario, le chiese sono sempre state aperte e non si capisce perché. O meglio, si capisce benissimo che in questo caso non si è tenuto conto della necessità di limitare le attività non indispensabili e non gestibili a distanza, ma piuttosto si è cercato di stare attenti a non destare malumori tra i religiosi. Impossibile inoltre non notare che la maggior parte degli organi di informazione che hanno rilanciato lo studio delle università americane hanno omesso di citare le chiese tra i luoghi a rischio, o le hanno citate solo marginalmente. Eppure lo avrebbero meritato, proprio perché sono tra i pochi punti di interesse rischiosi tuttora aperti in Italia.

Nemmeno la cosiddetta seconda ondata è servita a persuadere il governo che sarebbe stato opportuno rivedere le limitazioni nei luoghi di culto, così com’è stato giustamente fatto per tutte le altre attività. Le norme attualmente in vigore sono ferme ai protocolli sottoscritti tra il governo e le varie comunità di fede nell’ormai lontano maggio scorso, quando la prima ondata era ormai al termine. Prendendo per esempio il protocollo siglato con la Cei ci si rende subito conto di quanto quei patti siano incompatibili – sempre ammesso che siano rispettati – con l’attuale contingenza: la valutazione della capienza della chiesa è responsabilità del solo parroco, che quindi potrebbe calibrarla a piacimento; non vi è obbligo di rilevare la temperatura corporea dei fedeli; l’accesso va genericamente “contingentato e regolato”; a carico della parrocchia si registra solo l’obbligo di installare igienizzanti e di provvedere a un minimo di sanificazione. Come ben sappiamo, le norme per tutte le altre attività, che pure garantiscono il sostentamento di chi le conduce, sono ben più rigide.

Insomma, per quanto riguarda il culto la seconda ondata di fatto non esiste, o quantomeno non esiste a livello normativo tanto nazionale quanto locale. Le uniche nuove restrizioni che in qualche modo hanno a che fare con le celebrazioni sono indirette, nel senso che hanno a che vedere solo con i festeggiamenti successivi alle celebrazioni sia civili che religiose (max 30 persone). Eppure questa ondata c’è e investe anche le chiese, che quando vengono chiuse è solo perché il parroco o i suoi collaboratori vengono contagiati. Perfino le celebrazioni per la patrona dell’arma dei Carabinieri hanno avuto luogo pressoché ovunque e in presenza, come se si trattasse di necessità imprescindibile, e già secondo indiscrezioni il governo sarebbe pronto a salvare la messa del prossimo Natale derogando al coprifuoco, che per l’occasione potrebbe slittare di alcune ore. Solo il buon senso e l’iniziativa personale dei singoli parroci, in qualche caso, pone un argine. Timorati di sicuro, anche se certo non di Dio.

Massimo Maiurana

 

 

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13 commenti

Diocleziano

Già è ridicolo che lo Stato sottoscriva protocolli con la cei, come fosse una controparte valida. Che siano cattolici o pastafariani sono tutti cittadini italiani e devono sottostare alle regole decise dal governo.
E tutto questo per andare incontro ai problemi psichici provocati dalla chiesa stessa nel suo gregge! Ma siamo poi sicuri che la gente sia così bramosa di andare a messa?
A proposito di danni psichici: si alzano molte voci allarmate sui danni, sofferti dagli adolescenti, provocati dalla chiusura delle scuole e dall’interruzione dei rapporti con i compagni. Ma perché questa sensibilità non riguarda anche il condizionamento da indottrinamento religioso? Una pausa nei contatti personali non è così devastante e a lungo termine quanto l’indottrinamento.

G. B.

Prendetela come una battuta: le chiese sono così poco frequentate che non si dovrebbero porre problemi di distanziamento sociale.

laverdure

Pensa piuttosto a quanti,spaventati dall’andazzo,hanno preferito smettere di frequentare le Messe,e una volta persa questa abitudine non la riacquisteranno piu’ perche’ si sono accorti di poterne fare a meno benissimo.
La Curia se ne rende conto benissimo,ed e’ QUESTO il motivo principale per cui vuole tenerle aperte ad ogni costo

dissection

Esatto, laverdure. Il problema è che anche non andando più a messa continueranno a comportarsi come prima, o peggio, ma almeno l’ambiente ci avrà guadagnato, un pochetto.

Franco Ajmar

Anche Enzo Bianchi (Repubblica del 23/11) lamenta che “dopo la prima ondata è tornata a messa solo la metà dei fedeli”. E attribuisce questa ridotta frequentazione ad un “virus dell’indifferenza” che si è sviluppato nei fedeli in parallelo al Covid. Forse c’è un’altra spiegazione: i fedeli hanno constatato una totale indifferenza nei confronti della loro sofferenza da parte del Dio che loro pregano. Se perfino la carne di Cristo, che erano abituati a “prendere e mangiare” (come raccomandato dai Vangeli) con l’ostia rischia di trasmettere un’infezione magari mortale, l’indifferenza o l’impotenza del loro Dio è scandalosamente manifesta. Nonostante le preghiere. Quindi l’indifferenza va ricercata non nei fedeli ma nel Dio al quale essi si rivolgono.

Diocleziano

Credo che anche gli scandali finanziari e immobiliari occorsi ultimamente
abbiano qualche riflesso sul comportamento del gregge.
La chiesa viene sorpresa un po’ troppo spesso nel letto di qualcuno…
e sua Banalità ha un bel dire “Non è come sembra!”.
È proprio come sembra e qualcuno comincia a capirlo.

RobertoV

Penso anche che si siano resi conto della pericolosità del frequentare la messa anche tenendo conto dell’età media elevata dei frequentanti la messa. Quindi non sono tornati anche perchè non si fidano e la popolazione anziana ha continuato a mantenere le precauzioni, visto che il loro dio non è in grado di proteggerli. Penso che in parecchi cattolici non credano alle protezioni di crocifissi e madonne contro la peste.
Inoltre l’andare in chiesa era anche un momento di socialità che il covid ha comunque fortemente limitato. Hanno perso, quindi, una delle motivazioni.
Bisognerà vedere al termine della pandemia se effettivamente in parecchi l’hanno abbandonata ed hanno scoperto che ne possono fare a meno.

iguanarosa

Il fanatismo religioso ha un potenziale distruttivo superiore a qualunque pandemia.

Diocleziano

E come una pandemia si trasmette da individuo a individuo.
L’unica pandemia volontariamente diffusa; all’insaputa del ricevente.

mafalda

Sarebbe interessante sapere se anche la frequentazione delle moschee o simili è diminuita da parte degli islamici.

mafalda

Significativa la definizione “non essenziali” riferita alle moschee, trattate alle stregua dei ristoranti. Questo dimostra quanto l’ateismo devoto sia diffuso anche tra gli islamici, capaci di offendersi a morte se gli toccano il profeta, ma abbastanza furbi da capire che il covid è più pericoloso di Allah.

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