Karima Bennoune, relatrice Onu: “Laicità va difesa, è precondizione dei diritti umani”

In questo periodo la Francia è di nuovo sotto attacco, non solo per le stragi della mafia islamista. A venire delegittimato, tanto dai paesi islamici integralisti con un pedigree democratico del calibro di Pakistan e Turchia quanto dalla benpensante stampa anglosassone, è il modello della laïcité: un patrimonio che invece bisogna ancora difendere, perché fondamento di uno stato pluralista, aperto ai diritti civili e alle libertà, dove l’invadenza della religione può essere arginata.

Lo spiega, in una illuminante intervista sul settimanale francese Le Point, Karima Bennoune. giurista di origine algerina che vive negli Stati Uniti, è attualmente relatrice speciale per le Nazioni Unite sui diritti culturali. Ha scritto Your Fatwa Does Not Apply Here. Untold Stories from the Fight Against Muslim Fundamentalism, che raccoglie le testimonianze di almeno 300 personalità da 30 paesi in lotta contro l’islamismo. Sa bene anche cosa significa: è figlia di un professore universitario che in Algeria, negli anni novanta, ebbe il coraggio di schierarsi contro l’ondata di fondamentalismo e fu oggetto di pesanti minacce di morte.

La laicità, ammette, non è un principio così “politicamente corretto” nell’Onu. Viene evocato poco, specie “per criticarlo, in particolare sulla questione del velo”. Bennoune insiste per ribadire invece l’importanza della laicità “come condizione preliminare per i diritti umani”. Non solo per la separazione tra stato e religione, ma per la sua importanza nella “lotta contro le ideologie estremiste e i fondamentalismi che colpiscono le donne”.

Perché la laicità è così bistrattata? Silenzi e critiche sono “il risultato logico di campagne mondiali”, specie nel contesto anglosassone e nel mondo accademico: “posizioni molto alla moda”, anche tra chi si pone a difesa dei diritti umani. Per questo, sprona, “abbiamo bisogno di una coalizione di laici nelle Nazioni Unite”. La laïcité è in pericolo, non solo a causa delle frange fondamentaliste di “tutte le grandi tradizioni monoteiste”, ma anche per l’approccio “woke” con tendenze postmoderne e “postcoloniali” che ha preso piede nelle università. Bennoune si dice “colpita dal fatto che molti di quelli che beneficiano della laicità nella loro vita quotidiana non la difendano”.

Ma c’è ancora speranza, seppure in una continua lotta. La laicità, se è bistrattata in contesti privilegiati come istituzioni, media e accademie occidentali, viene riscoperta da chi ne ha più bisogno: come le femministe del nord Africa, dell’Asia del sud, della Polonia “in prima linea” nelle lotte per i diritti e contro il fondamentalismo. Una lotta talvolta “pericolosa”: Bennoune cita le storie di due attivisti delle Maldive, Ahmed Rilwan e Yameen Rashid. Del primo viene denunciata la scomparsa nel 2014 e il secondo, che voleva fare chiarezza, viene ucciso nel 2017 dagli islamisti. In un “paradiso” famigerato per la pena di morte verso gli apostati. Bisogna lavorare in ambito internazionale “per sostenere i laici”, non far svanire nel nulla o lasciare nella solitudine le loro lotte: “abbiamo la responsabilità di ricordare il loro impegno e proseguirlo”. Anche chi si salva dalla pena capitale per “blasfemia”, come il mauritano Mohamed Cheikh Mkhaitir – che abbiamo avuto l’onore di intervistare per la rivista Nessun Dogma – rischia ancora, avverte la relatrice. Ma nemmeno lui demorde, spiega: “sta per creare un’associazione chiamata Vision laïque africaine (Vilaf) per promuovere la laicità in Africa. Bisogna sostenerlo!”.

Bennoune fa sentire la sua voce anche nelle istituzioni internazionali, per contrastare gli “argomenti relativisti” e rivalutare “l’universalismo”, oggetto di “molti attacchi”. Compresi quelli di governi “che fanno un uso improprio della cultura e dei diritti culturali come giustificazione”. Per questo, spiega, c’è bisogno di un “rinnovamento fondamentale dell’universalismo”: che non rievochi solo emancipazione e diritti già ottenuti ma coinvolga le nuove generazioni. Perché il relativismo, concetto amato dai progressisti, rischia di aprire la strada all’integralismo. Bennoune, come ha fatto nel suo rapporto sui fondamentalismi e i diritti culturali del 2017, spiega che salvaguardare i diritti culturali non significa sdoganare l’identitarismo comunitarista usato per giustificare discriminazioni, violenza, imposizioni di pratiche o stigma verso chi non si adegua. “Una delle mie maggiori preoccupazioni”, avverte, è per “i tentativi ripetuti di porre i particolarismi sopra le norme universali” tese a difendere tutti gli esseri umani.

Una tentazione trasversale da destra a sinistra: tanto i “sostenitori del colonialismo” quanto i “postcolonialisti” a volte “usano argomenti simili per giustificare il proprio relativismo culturale”. Non pochi “occidentali autoproclamatisi progressisti”, racconta, le hanno suggerito di abbandonare il concetto dei diritti umani nella lotta contro l’islamismo, perché “si tratterebbe di una ‘nozione occidentale’ che ‘non si applica ai musulmani'”. Posizione che “concorda piuttosto bene con il punto di vista dei fondamentalisti”, spiega; poi dà una stoccata: “Non è scioccante affermare che 1,5 miliardi di abitanti del pianeta non soddisfano le condizioni richieste per avere dei diritti?”.

La giurista ci tiene a ricordare il grande impegno inclusivo del suo collega Ahmed Shaheed, relatore speciale Onu sulla libertà di religione, verso i non credenti e contro i fondamentalismi. Pur precisando ovviamente che “ateismo e laicità non sono sinonimi”, Bennoune riconosce l’impegno “molto importante” di organizzazioni come Humanists International – di cui l’Uaar fa parte. “Ma, ahimè, i fondamentalisti e i sostenitori del conservatorismo religioso sono più numerosi” negli spazi Onu, avverte, e “hanno molte più risorse e sostegno”. Il movimento laico umanista, ci sentiamo quindi di dire, non deve gettare la spugna: perché rappresenta una speranza concreta per affermare laicità e diritti – un binomio inscindibile – in tutto il mondo.

Valentino Salvatore

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3 commenti

G. B.

Ottimo articolo. Vorrei solo fare una precisazione di ordine linguistico, a proposito del paragrafo iniziale, nel quale si definisce la laicità “un patrimonio che invece bisogna ancora difendere, perché fondamento di uno stato pluralista, aperto ai diritti civili e alle libertà, dove l’invadenza della religione può essere arginata”.
Attenzione all’uso improprio del termine PLURALISMO e derivati. Cito la definizione che ne danno due fra i più diffusi vocabolari della lingua italiana:
1)Indirizzo politico-sociale che, partendo dalla constatazione dell’esistenza nella società di forze e classi di diversa ispirazione e miranti ad obiettivi diversi, rivendica per le stesse il diritto a forme associative (partiti, sindacati,ecc.) e quello del loro inserimento nella conduzione dello stato (Devoto-Oli)
2)Dottrina politica che si oppone a una concezione totalitaria dello stato, dando invece rilievo ai diritti e ai compiti di comunità e associazioni intermedie fra l’individuo e la comunità statale Zingarelli)
Il principio, enunciato in forma esplicita o implicita, rientra tra i fondamenti della dottrina politico-sociale cattolica, per la quale “totalitario” è qualunque stato che non intenda abdicare ai propri compiti (naturalmente va benissimo che sia totalitaria la chiesa cattolica, come già affermato da Pio XI, per il quale, tra l’altro, Mussolini non era un despota, ma “l’uomo della Provvidenza); la valorizzazione dei corpi intermedi tra cittadino e stato, ai danni sia dell’uno che dell’altro, legata a sua volta al principio di sussidiarietà, si accorda molto bene con il multiculturalismo/comunitarismo/multiconfessionalismo oggi di moda.
Per fare un esempio, quando i clericali italiani si opposero alla legge sul divorzio, lo fecero invocando il superiore diritto della comunità famiglia contro il diritto dei singoli coniugi.
Capisco benissimo che nell’articolo (come spesso si legge oggi in svariati altri contesti) l’aggettivo “pluralista” è usato nel senso buono di “aperto ai diritti civili e alle libertà”, ma perchè noi laici dobbiamo usare termini se sanno di sacrestia? Non imitiamo i cardinali che usano il termine “laicità” (meglio se “sana” o “nuova”) per intendere cose molto diverse.

Diocleziano

Mi par di capire, dal brano che ti riporto dalla Enc. Garzanti di filosofia, che il termine sia nato con questa tara di ambiguità: plurali ma figli di un solo padre.

«…in senso più lato, il termine ‘pluralismo’ indica quelle dottrine che, pur ammettendo la derivazione della pluralità degli enti da un Ente supremo o dio, accentuano, in opposizione al monismo assoluto, il carattere di autonomia di questi enti: tali per es. il pluralismo monadologico leibniziano e molte forme di spiritualismo ottocentesco, francese e tedesco, che a Leibniz si sono ispirate…»

Mi chiedo però se l’attuale intellighenzia: politici, giornalisti e popolo degli elettori sia in grado di comprendere questi distinguo.

G. B.

@ Diocleziano
Il termine è usato sia in ambito filosofico che in ambito politico-sociale, ed è il secondo che qui ci interessa. Sull’argomento c’è anche un vecchio libro di Domenico Settembrini, La Chiesa nella politica italiana, nel quale si spiega come il termine sia stato usato dai clericali nel senso di valorizzazione delle formazioni sociali intermedie tra cittadino e Stato, ritenute ad esso preesistenti, in quanto rientranti nell’ordine naturale e quindi espressione della volontà divina. Non quindi semplici aggregazioni di cittadini liberi di entrarne e uscirne, ma entità di diritto divino alle quali lo Stato deve riconoscere tutta una serie di privilegi.
Ad esempio (non ne parla Settembrini, ma rientra in questa logica) oltre all’opposizione al divorzio in nome dei superiori diritti della famiglia, formazione presunta naturale, possiamo ricordare, nell’Ottocento, l’opposizione all’istruzione obbligatoria, in quanto anch’essa lesiva dei diritti della famiglia, fra i quali sembra che rientrasse anche il diritto dei genitori a mantenere i figli analfabeti. Oppure, venendo a tempi più recenti, si pensi all’articolo 29 della Costituzione italiana, “la più bella del mondo”, in cui è prevista l’ “uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”, in questo modo affermando che l’unità della famiglia è un valore in sè, superiore non solo ai diritti dei singoli membri che la compongono, ma anche al principio fondamentale di uguaglianza giuridica dei cittadini stabilita dall’articolo 3; e infatti il vecchio diritto di famiglia patriarcale e maschilista durò fino al 1975.
Insomma tra gli antecedenti della paccottiglia multiculturalista e comunitarista si deve senz’altro porre la dottrina sociale cattolica del pluralismo, e quindi ritengo che sia bene che noi laici evitiamo di adoperare questo termine; è probabile che fra gli illustri antecedenti si possa porre anche la dottrina olandese dei pilastri (di questo me ne intendo meno, ma non mi pare un caso che l’Olanda, magari all’avanguardia per altri aspetti, sia il paese europeo con la più alta percentuale di scuole private interamente finanziate dallo Stato) e tutta la tradizione anticentralista propria dei paesi anglosassoni.

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