Virus clericale, nazione infetta

In questi giorni il governo sta valutando ulteriori misure per arginare l’epidemia di coronavirus, ma non sono previste limitazioni particolari per i riti religiosi con i fedeli. Persino in questi mesi, nonostante l’evidenzia scientifica e diversi episodi di cronaca, le istituzioni hanno mantenuto un occhio di riguardo per la Chiesa cattolica. Si sono pure intensificati in maniera ossessiva gli atti di ossequio e sottomissione verso la religione da parte di figure pubbliche, a tutti i livelli, per invocare presunti aiuti divini.
La pandemia ha rappresentato un’ulteriore dimostrazione di confessionalismo da parte della nostra classe dirigente, come scrive Valentino Salvatore nel numero 4 di Nessun Dogma.

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L’emergenza sanitaria della Covid-19, tra le tante conseguenze nefaste sulla nostra esistenza, ci regala in Italia come strascico un montante e aggressivo confessionalismo, che si è dispiegato in vari ambiti. In maniera trasversale ha coinvolto le istituzioni, a tutti i livelli. I media si sono mostrati ossequiosi. La chiesa cattolica ha guadagnato influenza politica. Mentre a risentirne sono i diritti di tutti, a rischio.

Partiamo con i rapporti tra stato e chiesa. Il governo, con i decreti che hanno chiuso gran parte delle attività salvo quelle ritenute essenziali, si è premurato di assicurare comunque una corsia preferenziale alla chiesa cattolica, garantendo l’apertura delle chiese per la frequentazione “solitaria” e lo svolgimento di funzioni religiose ma in tal caso senza la partecipazione di fedeli. Al contrario dei comuni mortali laici, che non hanno potuto addurre slanci mistici per uscire nel periodo più restrittivo della quarantena. L’emergenza sanitaria nazionale ha visto per mesi un «intenso dialogo» tra l’esecutivo e la conferenza episcopale, come dichiarato dalla ministra dell’interno Luciana Lamorgese, che ha portato man mano a compromessi per accontentare i vescovi. Le altre confessioni (comprese diverse non firmatarie di un’intesa con lo stato) hanno seguito a ruota il solco tracciato dalla chiesa.

Ma neanche questo è bastato ai vescovi, forse indispettiti anche dai diversi interventi delle forze dell’ordine per sanzionare celebrazioni con assembramenti. Capeggiati dall’agguerrito cardinale Gualtiero Bassetti hanno fatto la voce grossa («La chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale»), atteggiandosi a paladini dei diritti costituzionali. In realtà le poche prerogative garantite sono quelle della chiesa, vista la disparità di trattamento rispetto ad altri luoghi di aggregazione e attività. Hanno così ottenuto in anticipo per il 18 maggio la riapertura delle messe ai fedeli. Nonostante le cautele espresse dal comitato tecnico-scientifico per gestire la pandemia coronavirus che ha parlato espressamente di «criticità ineliminabili» come «lo spostamento di un numero rilevante di persone e i contatti ravvicinati durante l’eucarestia», proponendo il 25 maggio come data per allentare il lockdown alle chiese. Dubbi condivisi pure da diversi parroci, vista la difficoltà oggettiva nel gestire il flusso di fedeli e il fatto di dover maneggiare e ingurgitare la sacra particola.

Il premier Giuseppe Conte si era premurato di rassicurare che «non c’è un atteggiamento materialista da parte del governo», scaricando la responsabilità su «una certa rigidità del Cts, anche sulla base della letteratura scientifica». Per inquadrare il livello della resa istituzionale: il vicariato di Roma ha chiesto la sanificazione di oltre 337 chiese parrocchiali della diocesi e la sindaca Virginia Raggi ha disposto raggiante l’intervento dell’esercito e della municipalizzata per i servizi ambientali. Le collaborazioni istituzionali con la chiesa, nel nome della sussidiarietà confessionalista, raggiungono nuove vette. Si può citare la decisione della Regione Marche di affidare il nuovo ospedale allestito a Civitanova per gestire i pazienti affetti da coronavirus e la relativa raccolta fondi al Sovrano ordine dei cavalieri di Malta.

Mentre si consumava sottotraccia il compromesso tra stato e chiesa, nei mesi scorsi scalpitava un certo malumore venato di nostalgia e revanscismo cattolico. Si è fatto strada nell’intellighenzia più conservatrice e tra i sacerdoti più bigotti. Emblematico il parere del noto storico Franco Cardini, che in un’intervista si crucciava per la chiusura delle chiese durante l’epidemia dando l’affondo all’occidente progredito che avrebbe perso il «senso del sacro». «Una volta durante le epidemie si organizzavano novene e processioni per invocare la protezione divina, oggi si chiudono le chiese», così rievoca i vecchi tempi. L’insidia infatti per il mondo cattolico, come fa intuire anche Cardini, è una «fede fragile e individualista», che invece di far professione pubblica si adegua alle cautele suggerite dalla scienza medica. Un timore condiviso anche dalla chiesa, non a caso così pressante sulle istituzioni nel voler riportare i fedeli (fisicamente) in chiesa.

L’emergenza ha alimentato anche il confessionalismo mediatico, in un contesto che già vede il monopolio cattolico sugli spazi televisivi dedicati, evidenziato negli anni dai rapporti di Critica Liberale. Se in un primo momento l’informazione era concentrata sul coronavirus, togliendo il podio a papa e prelati, la chiesa cattolica ha riguadagnato presto i riflettori. Con qualche gesto eclatante di papa Francesco, come quando andò scortato in giro nel centro di Roma per pregare un crocifisso “miracoloso”. I vescovi hanno poi esibito le offerte per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Certo la generosità si può apprezzare, ma in realtà non sono cifre così ingenti e anzi spesso semplici partite di giro fatte attingendo all’8×1000 di tutti i cittadini (atei compresi) e stanziandolo per organizzazioni e strutture che fanno già capo alla chiesa (come la Caritas). Non è mancato il ricordo del triste tributo di sacerdoti, omaggiati dai media: più di cento vittime del coronavirus almeno fino a Pasqua, di cui la metà nella sola Lombardia. Ma con l’accortezza di tacere un aspetto non trascurabile: come le pratiche religiose abbiano veicolato, soprattutto in contesti frequentati da anziani, la diffusione del morbo e come diversi focolai si siano registrati in conventi, convitti e durante riti religiosi. Oltre al danno dato dal confessionalismo mediatico, non manca la spavalderia di chi infierisce e ribalta la realtà. Ci ritroviamo persino uno scrittore affermato come Sandro Veronesi che, in un impeto indubbiamente creativo, dipinge ogni dibattito come «monopolizzato» in Italia dalla «cultura laica», lancia una tirata al «mondo laico», gli attribuisce ogni sorta di male mentre si sdilinquisce per papa e chiesa. Sulle colonne del Corriere, in teoria quotidiano “laico”.

Mentre intorno impazzano quotidiane clericalate mediatiche. Per dare l’idea, che è solo la punta dell’iceberg: Rai1, l’ammiraglia della tv pubblica, decide di mandare in diretta ogni mattina la messa celebrata da papa Francesco dalla cappella del (suo) palazzo di Santa Marta in Vaticano. Questa scelta di ossequio è stata anche qui giustificata come “servizio pubblico” essenziale, per dare la possibilità di seguire la messa ai fedeli barricati in casa. Gli stessi fedeli che hanno già a disposizione tante occasioni e numerosi canali radio e televisivi cattolici, compresi media vaticani, e con diverse parrocchie più smart che hanno ovviato con cerimonie trasmesse in streaming sui canali social, coinvolgendo così a distanza i credenti.

Senza contare un effetto collaterale della rinnovata smania missionaria dei preti e suore di tutto lo Stivale che, sempre per avvicinarsi ai pii fedeli in casa, senza alcuna remora né rispetto per le normative suonano le campane a tutto spiano, mandano da altoparlanti messe e rosari o altri siparietti, girano con automezzi per proclamare il Vangelo con le modalità dell’arrotino itinerante. Talvolta con la connivenza delle amministrazioni o della Protezione civile, che agevolano o mettono a disposizione i propri mezzi. Ma i media contribuiscono al degrado dipingendo in maniera pittoresca e soave queste pratiche moleste, che destano perplessità anche tra i credenti. In questo periodo come associazione abbiamo ricevuto numerosissime richieste di cittadini esasperati da queste forme di invadenza confessionale sonora, che chi non è interessato è costretto a subire nell’indifferenza delle autorità tenute invece a vigilare.

In queste settimane la foga confessionalista sembra essersi impossessata anche di numerose amministrazioni comunali. Non si era mai vista una tale sequela di consacrazioni, rosari, messe, penitenze, intercessioni a santi patroni e madonne di varia foggia e proclami religiosi da parte di sindaci, solerti nel partecipare con tanto di fascia tricolore, come abbiamo potuto sondare nella rubrica Clericalate sul nostro blog. A volte tali atti di ossequio clericale sono stati spacciati come partecipazione a nome della “comunità”, che non poteva presenziare alle cerimonie religiose viste le disposizioni sanitarie. Come se il primo cittadino fosse un rappresentante confessionale e come se tutta la cittadinanza si possa appiattire sul cattolicesimo anti-laico: guarda caso, questi sindaci partecipano solo a cerimonie cattoliche. Talvolta proprio gli amministratori si sono resi complici di violazioni dei decreti vigenti anti-Covid, o hanno fatto ben poco per evitare assembramenti religiosi, di fatto tollerati.

Purtroppo, nonostante le palesi incongruenze e il messaggio preoccupante che veniva dato all’opinione pubblica, ben pochi hanno contestato questa regressione tradizionalista delle amministrazioni, che appare sempre più normale e anzi è rilanciata approfittando della crisi. Lontanissimi i tempi in cui il leader della Lega Matteo Salvini veniva contestato in parlamento persino dal presidente del consiglio Giuseppe Conte per aver strumentalizzato il cuore immacolato di Maria invocandone la protezione sull’Italia, in spregio alla laicità dell’emiciclo. In quel caso si scatenò sì la polemica: purtroppo – come avviene quando si parla di laicità – aveva un forte sapore di contrapposizione politica. Mentre quando i sindaci in massa fanno lo stesso se non peggio, non si levano grida a difesa di quella laicità tanto bistrattata.

Non mancano ricadute sui diritti civili. Lo stato di emergenza e la necessità di razionalizzare le risorse sanitarie, per poter contenere meglio la diffusione del virus, rischiano di essere usati come pretesto per tagliare servizi ritenuti “non essenziali”. Tema caldo è quello dell’aborto. Sono tante le testimonianze di donne cui è stato negato l’accesso all’interruzione della gravidanza, in varie zone d’Italia. Invece di rendere meno complicato l’aborto farmacologico, come chiesto da diverse associazioni, le istituzioni sono rimaste immobili. In altri paesi, le forze integraliste hanno operato palesemente per negare i diritti. Come negli Usa, con le decisioni di diversi stati di chiudere le cliniche per aborti, arginate dai tribunali. O in Polonia, dove la decisa protesta delle donne ha saputo sventare l’ennesimo blitz parlamentare per restringere la rigida legge già vigente.

Tirando le somme: l’epidemia di coronavirus rischia di lasciare, oltre alle macerie di una crisi economica e sociale senza precedenti, anche un paese più spaventato, diffidente, ripiegato sull’identitarismo e sul confessionalismo. Troveremo un vaccino laico alla proliferazione del virus confessionale?

Valentino Salvatore


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3 commenti

Diocleziano

Nel tg di oggi non ci hanno risparmiato il testo degli auguri che Mattarella ha fatto per il compleanno di sua Banalità. Personalmente penso che ciò rientri nei rapporti personali, ma vabbé, però poteva limitarsi a generici auguri di circostanza: invece si è allargato nel dire che tutti, ANCHE GLI ATEI, pendono dalle sapienti labbra! Ahò… che stai addì?! Parla per te!

Anche la Raggi… che brutta fine! Era arrivata, chiedendo subito il pagamento di tasse evase, e oggi è ridotta a far fare le pulizie in casa del prete. Gratis.

iguanarosa

Il Veneto patisce i peggiori numeri sui contagi e dobbiamo assistere alle lacrime di coccodrillo di Zaia. I telegiornali hanno mostrato il funerale di Rossi, defunto calciatore. La religione cattolica e quella calcistica si sono sommate in un totale di stupidaggini. La chiesa piena di decine (o più) di persone tutte vicine e lo stesso fuori. Bastano un piccolo numero di queste condotte assurde per diffondere l’epidemia a dicembre.
La colpa non è solo dei cittadini, ma delle autorità che non hanno vietato queste pericolose manifestazioni di sciocchi.

dissection

Che poi non si capisce perché bisognerebbe pregare dio per far cessare la pandemia: non ci arriva da solo?

Commenti chiusi.