La difesa della libertà di scelta in tutti campi dell’agire. Intervista a Giovanni Fornero

Nella società contemporanea si contrappongono due paradigmi: disponibilità e indisponibilità della vita. Ce li illustra il filosofo Giovanni Fornero, autore di un importante libro sull’argomento, intervistato da Filippo D’Ambrogi nel numero 1/21 della rivista Nessun Dogma.

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Nel numero 5 di questa rivista è stato segnalato fra le proposte di lettura un importante libro di Giovanni Fornero dedicato alle questioni di fine vita e intitolato Indisponibilità e disponibilità della vita. Una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria (Utet 2020).
Al suo autore, che è un filosofo, chiediamo innanzitutto di illustrarci brevemente la sua idea della filosofia e del suo possibile ruolo nel mondo d’oggi.

Contro il pregiudizio del sapere filosofico come di una attività lontana dalla vita e dai suoi bisogni ho sempre difeso l’idea di una stretta connessione fra vita e filosofia, dovuta al fatto che quest’ultima nasce dalla vita e dai suoi problemi.
Al punto, come voleva Platone, che non si può essere uomini senza essere, in qualche modo, filosofi, cioè senza interrogarsi criticamente su una serie di questioni di fondo che riguardano la nostra esistenza.
Come scriveva il mio maestro Nicola Abbagnano: «non ci sarebbe la filosofia dei filosofi se l’uomo non fosse condotto a filosofare dalla sua vita stessa di uomo».
Di conseguenza, più che ai filosofi che hanno insistito su una visione “contemplativa” della filosofia, mi sento vicino a quelli che ne hanno sottolineato la funzione “attiva”.
In particolare, mi sento vicino al modello della filosofia come uso del sapere a vantaggio dell’uomo, ossia alla concezione secondo cui il compito del filosofo non si esaurisce nell’attività puramente teorica, ma implica nel contempo un impegno nella trasformazione del mondo umano e quindi un proficuo mettere a disposizione della comunità il risultato delle proprie riflessioni.
Impegno che oggi trova una delle maggiori applicazioni nella difesa della libertà di scelta in tutti campi dell’agire.

Premessa questa idea della filosofia come attività al servizio della polis, che cosa lo ha spinto a occuparsi delle questioni giuridiche – e non più solo etiche – del fine vita?

Come argomento nel mio libro, ritengo che oggigiorno non sia più̀ possibile tematizzare in modo soddisfacente i problemi del fine vita senza soffermarsi a riflettere a fondo anche sugli aspetti legali della questione e quindi senza incontrarsi e scontrarsi con i concetti, passati e presenti, del sapere giuridico.
In altri termini penso che oggigiorno non solo non sia più̀ possibile riflettere sulle decisioni del fine vita senza tenere presenti le categorie che il diritto ha storicamente elaborato per gestire questa controversa tematica, ma che il nucleo attualmente più̀ vivo e “strategico” del dibattito in materia avvenga ormai a livello giuridico.
Del resto chi crede davvero nella libertà di scelta di fronte alla propria morte non può̀ fare a meno di porsi il problema della sua “traducibilità” pratico-giuridica e socio-istituzionale.

In che senso la questione della indisponibilità e disponibilità della propria vita ha una portata esistenziale che non condiziona unicamente il fine vita?

Indisponibilità e disponibilità della propria vita sono espressioni chiave della cultura contemporanea che alludono a due diversi modelli o paradigmi di pensiero.
Il primo modello sostiene che l’individuo non può legittimamente decidere in merito alla propria permanenza o meno in vita, il secondo ritiene invece che l’individuo può legittimamente decidere se rimanere in vita o meno.
In altri termini, se il primo paradigma nega la libertà della persona di fronte alla morte, il secondo difende sino in fondo l’autonomia e l’autodeterminazione dell’individuo che si accompagna alla rivendicazione del diritto di morire “nei tempi e nei modi” liberamente scelti.
Principi, questi ultimi, che costituiscono dei pilastri della società moderna, su cui poggiano i vari diritti civili.
La libertà di decidere se vivere infatti si riverbera sull’intera costellazione dei diritti civili in quanto la difesa di quelli acquisiti e la rivendicazione di quelli nuovi, in mancanza di un esplicito riconoscimento della sovranità su di sé di ogni soggetto capace, rischia di poggiare su un terreno friabile.

Il volume si conclude con una frase sulla auspicabilità di una umanità “adulta”. Che cosa intende con questa espressione?

Intendo un tipo di umanità̀ che, nello sforzo di uscire da una lunga condizione di minorità e di eterodipendenza (comunque giustificata, in maniera religiosa, filosofica, giuridica, politica, ecc.), si reputa ormai pronta ad assumersi in toto la responsabilità̀ non solo della propria vita, ma anche della propria morte.

Si può dire che gli agnostici e gli atei incarnino in modo emblematico un’umanità di questo tipo?

Gli agnostici e gli atei, proprio perché pensano e agiscono etsi deus non daretur (come se dio non fosse) prescindono programmaticamente da ogni riferimento ontologico ed etico al divino e quindi incarnano una prospettiva che, partendo dalla completa autonomia dell’umano, non si fonda né su una possibile esistenza e “volontà” di dio, né su una ipotetica “creaturalità” dell’uomo né su un eventuale “progetto” di dio sulla vita.
Infatti, ciò che distingue la prospettiva agnostica e atea non è solo il rifiuto dell’ipotesi-dio ma, più specificamente, l’assenza di quell’ottica creaturale che informa invece, in modo paradigmatico, il pensiero religioso dell’occidente (soprattutto di matrice cattolica).
Basandosi sul postulato della non creaturalità dell’uomo e del mondo il pensiero agnostico e ateo si inscrive quindi nel processo moderno di desacralizzazione del reale e incarna una forma di umanesimo che si può sintetizzare con la celebre frase di Sartre secondo cui «siamo su un piano dove ci sono solamente degli uomini».
Ora, proprio perché solo e costretto a progettare sé stesso senza l’aiuto di forze extra-umane e provvidenziali l’individuo agnostico e ateo, anziché rappresentare un tipo di umanità senza doveri e senza regole – secondo la falsa immagine fornita da taluni denigratori – si trova investito di una grande responsabilità morale e sociale.
“Responsabilità”, bisogna dire, che costituisce un aspetto integrante di quella rivendicata autonomia dell’umano che accompagna ogni matura professione di agnosticismo e ateismo.

Filippo D’Ambrogi


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