«Ci stiamo perdendo la voce delle persone che hanno abortito»

Crescono le intimidazioni contro le donne che vogliono abortire. Nei Paesi Bassi è stato avviato un progetto per aiutarle descritto nell’Intervista a Eva De Goeij pubblicata il 31/03/20 sul sito di European Humanist Federation, tradotto da Leila Vismara sul numero 4/2020 della rivista Nessun Dogma.
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In questi tempi difficili, l’accesso alla contraccezione e all’aborto sono tra i diritti più vulnerabili. Carenza nella produzione di forniture e scorte, ritardi nelle spedizioni, limitazione dei servizi di aborto da parte del governo, nessun accesso ai servizi di telemedicina… Questi problemi rivelano come la salute e i diritti sessuali e riproduttivi siano influenzati dalla crisi globale. Emerge un’esigenza urgente: l’aborto è un’assistenza sanitaria essenziale e dovrebbe essere messo al centro della risposta alla pandemia. Ma nei Paesi Bassi, l’accesso libero e legale all’aborto era diventato un diritto contestato prima che Covid-19 attirasse l’attenzione politica e dei media.

Il nostro membro olandese Humanistisch Verbond (Hv) ha fatto una lunga campagna contro le molestie e le intimidazioni nei confronti delle donne davanti alle cliniche per l’aborto. Di recente, hanno lanciato il “progetto buddy”, un’iniziativa per mettere in contatto le donne che vorrebbero ricevere supporto quando si recano alla clinica per l’aborto e le persone che sono disponibili ad accompagnarle. In questa occasione, intervistiamo la coordinatrice del progetto Eva De Goeij, che ci racconta di più sui bisogni latenti alla base del successo del “progetto buddy”.

Per un po’ di tempo, lei ha condotto una campagna per stabilire, intorno alle cliniche per l’aborto, “zone cuscinetto” o zone di esclusione cui i manifestanti contro l’aborto non possono accedere. Perché questo è un problema e perché è una priorità?

Negli ultimi anni, c’è stato un aumento delle manifestazioni antiabortiste di fronte alle cliniche abortive in tutti i Paesi Bassi. Nella primavera del 2019, i direttori di queste cliniche e i coordinatori medici hanno contattato Hv dicendo che queste manifestazioni sono aggressive e le persone che entrano nelle cliniche sono spesso turbate, arrabbiate o in lacrime. Il problema principale per noi è che il libero accesso all’assistenza sanitaria per l’aborto è messo a rischio.

Di recente, abbiamo effettuato un sondaggio tra le cliniche per l’aborto e i comuni con cliniche per l’aborto, al fine di valutare la situazione. Hanno risposto 11 delle 14 cliniche per l’aborto. Cinque di queste cliniche hanno manifestanti più volte alla settimana e sei li hanno più volte al mese. Se pensi a quante persone accedono alle cliniche per l’aborto ogni giorno, significa che queste manifestazioni toccano un sacco di gente.

Così l’anno scorso, Hv ha avviato una petizione per creare «zone cuscinetto» basate su esempi di altri paesi, come Australia, Regno Unito e Canada. Ad esempio, il Regno Unito ha istituito con successo zone cuscinetto e hanno davvero funzionato piuttosto bene, il che significa che le persone che vogliono entrare in clinica non sono più disturbate dai manifestanti. Nei Paesi Bassi, chiediamo zone cuscinetto nelle cliniche dove sia necessario.

Può descrivere la sua esperienza nella realizzazione della campagna finora?

L’anno scorso ci siamo concentrati sulla portata nazionale del problema. Insieme all’organizzazione femminista De Bovengrondse, Hv ha fatto pressione sui decisori nazionali affinché lo inserissero nell’agenda politica. Hugo de Jonge, ministro olandese della sanità, ha ricevuto molte domande al riguardo e ha dovuto inventare qualcosa. È andata piuttosto bene perché, pur essendo un cristiano democratico, ha concordato sul fatto che queste manifestazioni erano intimidazioni nei confronti delle donne e si è impegnato a intervenire.

Ma a un certo punto ha affermato che la questione ricade sotto la giurisdizione locale e non sotto quella nazionale, quindi avrebbe avviato un processo di consultazione con le autorità locali. Questa è stata la fine dell’impegno politico. Quindi ora la nostra attività si sta spostando verso gli attori locali.

Un nostro recente sondaggio ha mostrato che nulla è cambiato dallo scorso anno. Questo ha avuto molto risalto nei media due settimane fa e ha dato un grande impulso alla petizione, finora 32.000 persone l’hanno firmata, che non è poco. Ciò è accaduto contemporaneamente al lancio del “progetto buddy”.

In effetti, il “progetto buddy” è una delle sue iniziative di maggior successo. Può dirci di più al riguardo?

L’anno scorso, mentre lavoravo per De Bovengrondse, ho sperimentato personalmente cosa vuol dire andare ad abortire dovendo passare tra i manifestanti. Poi ho scoperto che non era solo la mia esperienza, ma un fenomeno in realtà più ampio. Quindi insieme a Hv e De Bovengrondse, abbiamo avviato il “progetto buddy”. Per prima cosa abbiamo lanciato un appello alle persone che vivevano nei Paesi Bassi, chiedendo chi volesse diventare un “buddy nell’aborto”. Ci aspettavamo una cinquantina di risposte. Ma in due giorni abbiamo ricevuto 600 e-mail, in una settimana c’erano un migliaio di persone interessate, e in due mesi abbiamo avuto più di 3.500 persone che volevano diventare un accompagnatore all’aborto.

È stato travolgente e molto positivo. Così tante persone che hanno detto «Voglio aiutare» hanno dimostrato che il progetto era necessario. Per me, essendo io a favore della libera scelta, è stato entusiasmante. Così abbiamo deciso di avviare un programma pilota a Rotterdam e L’Aia, città dove le manifestazioni degli antiabortisti sono frequenti, giusto per iniziare con un gruppo di persone gestibile.

Anche concentrandosi su due città, deve essere stata una sfida riunire così tante persone. Qual è stata la cosa successiva che ha fatto?

Abbiamo collaborato con l’Associazione olandese degli specialisti dell’aborto per organizzare una formazione per le persone interessate. Abbiamo selezionato le persone in base alla loro motivazione e disponibilità. Alla fine, abbiamo formato 22 persone. Sono state istruite sull’assistenza sanitaria di base all’aborto e sui suoi aspetti legali. Abbiamo anche realizzato un podcast con persone che ci hanno detto in maniera anonima che vorrebbero avere un supporto per l’aborto e che cosa gradirebbero al riguardo. Insieme a dei consulenti legali, abbiamo lavorato a un protocollo da seguire in termini di privacy e dati personali, ad esempio eliminando il numero di telefono della persona dopo che gli eventi avevano avuto luogo.

Abbiamo lavorato insieme con i formatori e simulato alcune possibili situazioni, ad esempio cosa fare se incontri un manifestante molto aggressivo o una persona che ha molta esitazione a sottoporsi all’aborto. La conclusione più importante della formazione è stata che, come accompagnatore, non devi mai assumere il ruolo di un operatore sanitario.

Come accompagnatore nell’aborto, sei lì solo per sostenere la persona, non per risolvere i suoi dubbi. Sei lì come qualcuno che rispetta la scelta della persona e la sostiene. Anche se qualcuna non vuole entrare in clinica, il tuo ruolo non è quello di convincerla ad entrare. Questa è una cosa importante.

La sua esperienza evidenzia l’importanza di “lavorare in rete” per il benessere delle persone coinvolte ma anche per favorire il nostro lavoro di organizzazioni della società civile. Lei è d’accordo con questo?

Sì, sono completamente d’accordo e penso che sia molto bello e potente. Ed è molto necessario ora. In un momento in cui il dibattito è piuttosto polarizzato, iniziative come questa stanno collegando le persone tra loro. Uno degli accompagnatori, che è anche un assistente morale umanista, lo ha formulato in modo molto bello: «non si tratta di ciò che penso, che io sia a favore o contro l’aborto. Si tratta di sostenere qualcun altro. La mia opinione sull’aborto non ha importanza». E penso che sia per questo motivo che questo progetto è così attraente per così tante persone.

Non siamo stati in grado di ottenere feedback dalle persone che sono state accompagnate. Ho ricevuto un sacco di consigli da diversi operatori sanitari, che ci hanno detto di stare attenti nella valutazione del progetto. Chi ha appena subito un aborto non è pronto a compilare immediatamente un modulo di valutazione. Ma riceviamo reazioni del tipo: «è fantastico che voi ragazzi esistiate e che io sia in grado di chiedervi supporto». Questo è davvero bello.

Nello spirito di lavorare in rete stiamo anche creando gruppi di discussione di donne che hanno abortito. Questi gruppi sono moderati da professionisti umanisti e il primo ha avuto luogo in gennaio. Stiamo studiando come il “progetto buddy” e i gruppi di discussione potrebbero lavorare insieme. Entrambi i progetti saranno al centro della nostra attenzione quest’anno, al fine di far sentire la voce di queste persone. Il movimento antiabortista ha così tanto peso perché ci stiamo perdendo le voci delle persone che hanno abortito. Adesso vogliamo concentrarci su questo.

In alcuni paesi, come il Belgio, i sostenitori dell’aborto promuovono una campagna per rimuoverlo dal codice penale. Ma nei Paesi Bassi il dibattito sembra essere focalizzato sull’opinione pubblica piuttosto che sul quadro giuridico. Come spiega questo fenomeno?

Il fatto che il quadro giuridico di un paese limiti l’aborto e che esista un tabù sociale al riguardo sono molto interconnessi. Entrambi rendono più facile per certi gruppi della società essere antiabortisti, perché le voci delle persone che vi si sono sottoposte non vengono ascoltate. Ecco perché i movimenti antiabortisti possono dire liberamente ogni genere di cose.

In Olanda penso che siamo diventati un po’ pigri. E questo si sta rivelando un boomerang per diverse questioni nella società. Riteniamo di essere super progressisti e quindi di non aver bisogno di lottare o mobilitarci, di non avere alcun motivo per alzare la voce.

Eppure è estremamente importante attirare l’attenzione su questo problema. Le persone sono ancora davvero convinte che questo tipo di vessazioni avvenga solo negli Stati Uniti. Quasi ogni nuova persona a cui parlo delle manifestazioni risponde: «Sta succedendo nel nostro paese?». Nei Paesi Bassi, il movimento antiabortista sta crescendo. Ogni anno, le persone che partecipano alla marcia contro l’aborto sono in aumento. Inoltre, il Ministero della salute che lavora su questioni mediche ed etiche è composto da membri del partito cristiano. Questo è pericoloso. Nell’accordo di coalizione, non sono stati fatti riferimenti a questioni mediche ed etiche.

Secondo lei, perché ci vuole così tanto tempo per stabilire le “zone cuscinetto”?

Per alcuni motivi. In primo luogo, quando dici la parola aborto, le persone hanno paura. È un argomento delicato. Poi, la libertà di riunione e la libertà di parola sono molto importanti nei Paesi Bassi, e ovviamente Hv li difende fermamente. Ma le autorità locali utilizzano questi diritti per giustificare il fatto di non poter stabilire zone cuscinetto. «Queste persone hanno il diritto di manifestare», dicono.

Nel Regno Unito è andata bene perché la Corte ha deciso che il diritto fondamentale alla privacy è in questo caso più importante della libertà di parola o di riunione. Sto collaborando con avvocati e ogni genere di esperti per vedere cosa possiamo fare, nel rispetto del diritto alla libertà di riunione. Questa è una procedura molto interessante, nuova per noi. La nostra argomentazione finora è che queste proteste non sono solo manifestazioni, ma intimidazioni nello spazio personale di qualcuno.

Le autorità locali hanno la possibilità di porre delle condizioni alle manifestazioni. Ad esempio, in passato un tribunale ha stabilito che i gruppi islamofobi non potevano riunirsi per cucinare carne di maiale all’aperto a una distanza a cui i visitatori di una moschea potevano avvertire l’odore della carne di maiale. Questo è un caso interessante, indicativo per la creazione di zone cuscinetto.

In tutta Europa, stiamo notando una tendenza a tornare indietro su alcuni diritti fondamentali, in particolare i diritti sessuali e riproduttivi e i diritti dei bambini. Sembra che ciò che state vivendo nei Paesi Bassi non sia un caso isolato. Avete considerato di collaborare con organizzazioni di altri paesi per una campagna paneuropea?

Da una prospettiva femminista, i diritti delle donne e l’aborto sono come il canarino nella miniera, come si suol dire. Si può vedere se un paese sta diventando più conservatore perché le prime cose che vengono abbattute sono i diritti delle donne. Questo è spaventoso ed è una delle priorità di Hv. In effetti, stiamo pianificando di lanciare una campagna per attirare maggiormente l’attenzione su questi temi in tutta Europa.

Penso che dare alla nostra campagna sull’aborto una portata europea sarebbe estremamente interessante, anche data la dimensione internazionale delle questioni relative all’aborto nei Paesi Bassi. Abortion Network Amsterdamè un’organizzazione che lavora principalmente con persone polacche che stanno valutando di sottoporsi a un aborto nei Paesi Bassi. Il 30% degli aborti praticati qui è rivolto a persone che non vivono nel nostro paese. Anche questo è molto rilevante.

Eva de Goeij è neuroscienziata, femminista e umanista. È program manager dell’organizzazione olandese Humanistisch Verbond, vale a dire che sostiene la causa del libero accesso all’assistenza sanitaria per l’aborto. Prima del lavoro con Hv, ha condotto ricerche in Belgio sugli effetti del trattamento ormonale per la transizione nelle persone con disforia di genere, e a Londra sulle differenze sessuali nel microbiota intestinale. Lavora anche per un partner di Hv, l’organizzazione femminista olandese De Bovengrondse, dove coordina il progetto del “buddy per l’aborto”. Ha anche esperienza di lavoro nelle norme e politiche pubbliche e ha lavorato per il Ministero della salute nei Paesi Bassi.

Intervista a Eva De Goeij pubblicata il 31/03/20 sul sito di European Humanist Federation.

Traduzione di Leila Vismara

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