Contro il concordato, fin dall’inizio

L’Uaar è stata fondata per reagire agli accordi con la chiesa cattolica del 1984. Da allora, le iniziative messe in campo per superarli sono state veramente tante. Ne parla Adele Orioli nel n. 3/2020 della rivista Nessun Dogma.
Per leggere tutti i numeri della rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Se è pacifico che con concordato si intende un accordo bilaterale fra stato e chiesa cattolica, uno strumento negoziale che disciplina le materie di interesse comune (le cosiddette res mixtae), meno omogenea è la riflessione sul suo inquadramento all’interno del diritto contemporaneo e soprattutto sulla definizione minima del suo contenuto.

In punta di diritto si dovrebbe dire che il concordato rappresenta un sistema neutro nel senso cioè che a differenza del regime di semplice subordinazione più o meno indifferenziata e di quello di netta separazione, per sapere quale sia il ruolo e l’eventuale preminenza della chiesa all’interno dello stato concordatario è comunque necessario analizzarne il contenuto.

In realtà se si guarda ai riverberi pratici si può dire che fin dal primo esempio nella storia, il Pactum Calixtinum del 1122 stipulato a Worms che pose fine alla lotta per le investiture, il semplice fatto che si debba in qualche modo scendere a compromessi reciproci con una entità religiosa per quanto riguarda la disciplina di molteplici aspetti della vita civile lascia intendere che il contenuto si concreti in un sostanziale privilegio per la parte confessionale.

E a secoli di distanza infatti ancora pienamente così è, come il seppur non unico (San Marino, Spagna e Polonia fra gli altri) ma senz’altro fulgido esempio del nostro paese dimostra – dai patti lateranensi del 1929 stipulati nell’anniversario dell’apparizione della madonna di Lourdes, giusto per far capire bene e da subito da che parte pendeva il favor legisall’accordo di Palazzo Madama del 1984, che dopo anni di furiosi dibattiti nella dottrina parrebbe certo aver fatto perdere alla disciplina qualsivoglia copertura costituzionale, data la esplicita menzione dei non più vigenti patti nel pessimo articolo 7 della nostra carta fondamentale.

In ogni caso, per esplicita definizione della Consulta nell’atto di respingere un referendum abrogativo, siamo di fronte a un trattato con uno stato estero. Che in una sola passata, pur eliminando la dicitura di religione di stato, conferma l’indipendenza e la sovranità degli ordinamenti, introduce il meccanismo dell’Otto per mille sostituendo la vecchia e ben più ridotta congrua, rende facoltativo l’insegnamento della dottrina cattolica negli istituti pubblici ma la impone fin dalle scuole per l’infanzia, disciplina un sistema facilitato per il riconoscimento delle sentenze di nullità del matrimonio e un altrettanto accurato sistema di impunità e immunità per le gerarchie ecclesiastiche.

Non proprio poco per una fonte di diritto internazionale: chissà se i sovranisti ci hanno mai pensato.

Ed è proprio dal novellato accordo del 1984, o meglio ancora dal silenzio accondiscendente che ne è seguito che è nata la spinta a formare il primo gruppo, il primo “manipolo di eroi” che nel 1987 a Padova nientemeno fonderà l’Uaar. Uaar che a più di trent’anni di distanza prosegue, non sempre e non del tutto inascoltata, il suo impegno di denuncia del privilegio accordato al fenomeno religioso e in particolare a quello cattolico in Italia.

D’altronde per una associazione che si batte per la pari dignità dei cittadini non credenti è giocoforza necessario e necessitato scontrarsi contro il mare magnum di preferenze e di discriminazioni positive che hanno, anche se non tutte, in buona parte la loro origine, il loro fondamento e il loro supporto nella normativa concordataria.

Dalle campagne informative e di contrasto alle singole distorsioni che questo “atto bilaterale” comporta (il Progetto ora alternativa, la promozione di Occhiopermille fra queste) alle settimane anticoncordatarie a cavallo fra i due nefasti anniversari dell’11 e del 18 febbraio, per fortuna inframmezzate dalla nascita di Darwin. Ma, ancora, è del 2014 la petizione “Aboliamo il concordato” che l’Uaar ha lanciato su change.org. Rivolta a deputati e senatori, ha raccolto oltre 22 mila firme consegnate in parlamento, senza però che l’appello sia stato raccolto, nonostante la gravità della perdurante crisi economica e nonostante i costi esorbitanti che la vigente disciplina concordataria comporta. Degli oltre sei miliardi di esborso statale annuo a favore della chiesa cattolica, all’incirca tre sono di derivazione concordataria diretta e indiretta, di cui un miliardo di solo Otto per mille, ovviamente comprensivo delle quote derivanti dalle scelte inespresse. Miliardo al quale vanno aggiunte le esenzioni fiscali e doganali, l’obbligo a carico dello stato di garantire la sicurezza tra le mura del Vaticano (altro che guardie svizzere), lo stipendio degli insegnanti di religione scelti annualmente dal vescovo di turno ma pagati da tutti noi.

Cifre indecorose, come anche nell’occasione del novantesimo anniversario dei patti si è avuto modo di sottolineare, tanto con un appello congiunto condiviso da innumerevoli personalità del mondo accademico quanto con un partecipato convegno, Oltre il concordato, organizzato con l’Associazione libero pensiero Giordano Bruno e la Fondazione critica liberale, ospitato dalla facoltà valdese di teologia – e no, non è un ossimoro, anzi. È la dimostrazione di come tutte le minoranze siano equamente discriminate e posposte, persino quelle confessioni stipulatrici di intese con lo stato in base all’articolo 8 della costituzione.

Anche quest’anno l’Uaar non è mancata al triste anniversario e ha avuto modo di sottolineare ulteriormente – e con ancor maggior veemenza in seguito all’emergenza sanitaria data dal Covid-19 – quanto risorse agognate sarebbero immediatamente reperibili anche semplicemente ritoccando, figuriamoci annullando, determinate regalie ecclesiastiche frutto di altri tempi e di ormai inaccettabili concezioni del diritto di libertà religiosa.

Nonostante la progressiva secolarizzazione e vieppiù pluralistica composizione della nostra società, retaggi fascisti vivificati ogni giorno nella quotidianità di ciascuno di noi comportano privilegi ingiustificati ed esborsi diretti anche per i cittadini non o diversamente credenti.

Tutto insomma fuorché un sistema neutro. Un sistema al contrario in re ipsa discriminatorio, ingiusto, imbarazzante. E non solo alla luce della stessa costituzione che ci vorrebbe all’articolo 3 tutti uguali e con pari dignità.

Un sistema che non obbedisce, nonostante la definizione autorevole, ai due principi supremi del diritto internazionale. Pacta sunt servanda, i patti vanno rispettati, sì, ma rebus sic stantibus. Finché le cose non cambiano. E ci sembra che di cose in questi decenni ne siano cambiate parecchie. A cominciare, nel nostro forse piccolo, ma sicuramente significativamente rappresentativo, dall’esistenza dell’Uaar.

Che, sia chiaro, non concorda.

Adele Orioli


Consulta il sommario Acquista a €2 il numero in pdf Abbonati

Sei già socio? Entra nell’area riservata per scaricare gratis il numero in digitale!

Un commento

RobertoV

La strada per l’abolizione del concordato sarà molto lunga, sia perchè i padri costituenti clericali hanno fatto la furbata di inserire un trattato all’interno della costituzione, blindandolo rispetto ai cambiamenti futuri, sia per non aver inserito una durata temporale o delle condizioni di validità, sia perchè non mi risulta che in altre nazioni i concordati esistenti siano stati abrogati.
Ho letto che le costituzioni degli USA e della Francia vietano la stipula di concordati: sagge nazioni.
Mentre posso ancora comprendere che la creazione dello stato del Vaticano sia un trattato vincolante, come altri trattati territoriali storici, sono tutti gli altri aspetti di privilegi che nel tempo diventano inaccettabili ed anacronistici, tenendo conto che tutti quei privilegi non sono stati costruiti in modo democratico, ma con la logica liberticida della religione di stato e con accordi con regimi dittatoriali, anche se poi legittimati dalla costituente. Siamo all’assurdità che se anche il cattolicesimo dovesse ridursi ai minimi termini o scomparire come numero di fedeli, le gerarchie continueranno a godere di quei privilegi e delle clausole del concordato, formalmente in eterno visto che non c’è un scadenza temporale e le modifiche richiedono la partecipazione della stessa parte in causa, cioè la chiesa cattolica che mai rinuncerà ai suoi privilegi storici.
Penso ci siano più margini per l’eliminazione progressiva di alcuni privilegi per via legale, quali i vari cappellani, l’organo di propaganda Rai Vaticano, l’ora di religione, l’abolizione dell’otto per mille, i vantaggi fiscali. Un passo significativo dovrebbe essere l’eliminazione dell’articolo 7 in modo da portare tale trattato al di fuori della costituzione, inserimento che penso violi anche le regole internazionali e della tolleranza religiosa.

Commenti chiusi.