Immaginavamo che la nostra campagna Aborto farmacologico. Una conquista da difendere avrebbe suscitato reazioni. E infatti, puntuali come un orologio, sono arrivate. E con esse i biechi attacchi personali ai danni di Alice, donna che con determinazione e coraggio ha accettato di essere testimonial di questa campagna informativa sulla Ru486.
Quasi tutti coloro che si sono presi la briga di prendere carta e penna per commentare (non facciamo nomi, loro spesso non fanno il nostro) l’hanno fatto proprio all’insegna di quel paternalismo che la nostra campagna stigmatizza: quel paternalismo che pretende di dire cosa ogni singola donna prova veramente al momento di un aborto, come non sia possibile narrazione diversa dall’aborto vissuto come dramma. Quel paternalismo, insomma, che di fatto pretende di sapere e di affermare cosa una donna è: una madre in potenza. Punto. E chi, come Alice e come sempre più donne nel nostro Paese, non si inscrive in quel disegno sarà segnata per sempre. Deve esserlo. E se non lo è, e se addirittura non sta zitta, bisogna pur pensarci a farla sentire tale.
Alice è stata coraggiosa, lo ribadiamo all’indirizzo di chi esprime perplessità rispetto a questa definizione. Perché, come dimostrano gli attacchi sferrati nei suoi confronti, in questo Paese prestare il proprio volto e la propria storia a una campagna per il diritto delle donne a una vita riproduttiva libera e consapevole è un rischio. E lo è a maggior ragione se a promuovere quella campagna è l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, perché dire di esistere vivendo bene senza D è un’altra di quelle cose che ai moralisti benpensanti non va proprio giù. Ma dicano pure. L’Uaar ringrazia Alice, è al fianco di tutte e tutti coloro che si impegnano per un mondo più umano e dopo Testa o croce? Non affidarti al caso! porterà in tutta Italia la campagna Aborto farmacologico. Una conquista da difendere.
Roberto Grendene