Se Ratzinger era l’idolo della destra, Bergoglio lo è dei progressisti. Ma è tutto oro quello che luccica? Di sicuro, tanti intellettuali e politici hanno preso abbagli. Ne parla Valentino Salvatore sul n. 5/2020 della rivista Nessun Dogma.
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Dopo l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio con il nome di Francesco nel marzo del 2013, montò una papolatria mai vista nel mondo contemporaneo. In contrapposizione all’austero Benedetto XVI, che di simpatie non ne aveva mai attirate molte per il suo intellettualismo e la scarsa empatia. Molti cattolici riponevano nel papa venuto «dalla fine del mondo» enormi speranze. Un entusiasmo comprensibile per i fedeli, ma che raggiunse livelli parossistici e punte di propaganda ridicole.
All’inizio del pontificato bergogliano, con la grancassa dei giornali, lo sdilinquimento fu generale. Tra le vette del collasso dell’intellighenzia nostrana basti citare Eugenio Scalfari. Il decano del giornalismo italiano che, oltre a sperticati elogi-fiume sul quotidiano “laico” La Repubblica, nella foga apologetica confeziona, come un novello compilatore di Vangeli, interviste apocrife di Bergoglio, smentite dal Vaticano. Lo storico giornale comunista Il manifesto pubblica un librettino con i discorsi del papa «ai movimenti popolari», elogiando la sua supposta capacità di spronare i poveri «ad alzare la testa e combattere qui e oggi».
Bergoglio talvolta rivendica misericordia per categorie disagiate, che siano migranti, meno abbienti, reclusi. Tutto ciò può essere apprezzabile e genera consensi. Ma non significa che egli sia un faro dei diritti. Gesuita potente in Argentina, ebbe rapporti ambigui con la dittatura militare di Jorge Rafael Videla. Da papa in linea con il magistero attacca la presunta «ideologia gender»: una forma di «colonizzazione ideologica». Spauracchio complottista che ha la responsabilità di aver gonfiato dando linfa ai movimenti integralisti anti-gay di paesi a forte tradizione cattolica come Italia o Polonia. Da arcivescovo di Buenos Aires nel 2010 si distinse per l’ingerenza contro la legge sulle unioni gay, mobilitando le sue truppe in tonaca e vergando una lugubre missiva in cui parlava di «invidia del demonio». Nel 2015 durante il viaggio negli Usa ha incontrato (e avrebbe incoraggiato) persino Kim Davis, funzionaria statale del Kentucky protagonista di un contenzioso finito alla Corte suprema per essersi rifiutata di rilasciare licenze matrimoniali a coppie omosessuali in nome della “libertà religiosa”. L’episodio imbarazzante presto è anestetizzato dall’apparato vaticano. La laicità professata da Francesco è simile a quella dei predecessori: il solito confessionalismo, con tono mellifluo e vittimista. Emblematica l’invettiva bergogliana alla via crucis del 2016 contro chi vuole togliere il crocifisso dai luoghi pubblici, «nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza» che Gesù avrebbe insegnato.
L’anatema papale si scaglia contro l’autodeterminazione fuori dalla morale cattolica: nessuno si aspetta o pretende che l’impostazione cambi. L’aborto rimane un tabù anche per questo pontefice. Con scarsa sensibilità verso le donne e insultando i medici non obiettori, ha sostenuto che abortire è «come affittare un sicario». Anche per l’autodeterminazione sul fine vita, nessuna concessione. Bergoglio ha persino velatamente contestato la sentenza della Corte costituzionale che ha scagionato Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio sul caso di Dj Fabo, bollando il diritto di morire come «privo di qualsiasi fondamento giuridico».
Il presunto anticapitalismo di Bergoglio, idealizzato o demonizzato, si riduce di fatto a liriche dichiarazioni d’intenti con una corposa dose di senso comune. Quello che dà fastidio a molti cattolici è piuttosto la frequenza con cui tocca temi che li fanno sentire in colpa e le strizzate d’occhio ad ambienti ritenuti di sinistra. Chi è contro un’economia più umana, attenta ai diritti delle persone, rispettosa dell’ambiente, caratterizzata da una equa distribuzione delle risorse? Ma il Vaticano rimane una ricchissima multinazionale, ben addentro ai meccanismi economici e finanziari globali. Non stupisce che Mario Draghi, già allievo di un collegio gesuita e poi a capo di Bce e Banca d’Italia, sia stato nominato membro della Pontificia accademia delle scienze sociali. O che Peter Sutherland, fervente cattolico irlandese già direttore di Goldman Sachs e dell’Organizzazione mondiale del commercio, fosse stato posto da Bergoglio a capo della Commissione internazionale cattolica per le migrazioni. I tempi del cardinale Marcinkus sono passati, ma si trascina da anni l’incompiuta riforma bergogliana delle finanze vaticane. Riforma sollecitata dalle istituzioni sovranazionali per criticità persistenti sul fronte del riciclaggio e della trasparenza non del tutto sanate. Esplodono tutt’oggi gli scandali finanziari, pure sotto il regno “illuminato” di Bergoglio.
La povertà ecclesiastica tanto proclamata dal papa si riduce a una bella metafora. La chiesa, nelle sue tante ramificazioni, gestirebbe il 20% del patrimonio immobiliare italiano e una marea di attività. Per tacere dei benefici sull’ordine di miliardi di euro solo in Italia, tra finanziamenti ed esenzioni, e la connivenza di molti politici che apparecchiano leggi per garantire privilegi. Rimane tuttora inevaso il punto dolente delle imposte sugli immobili ecclesiastici a uso commerciale. La sindaca di Roma Virginia Raggi aveva parlato nel 2017 di una presunta disponibilità del papa, mai concretizzata. Per accreditarsi come sostenitore delle rivendicazioni per il diritto alla casa, al papa è bastato mandare il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski a riallacciare la corrente in un palazzo occupato a Roma, abitato da centinaia di persone. Così cala il sipario sugli enormi interessi del Vaticano nel settore (capaci di orientare il mercato a scapito dei meno abbienti magari spinti a occupare) e sui tanti sfratti da immobili ecclesiastici. Contro cui gli stessi movimenti protestavano, un tempo.
La piaga degli abusi sessuali su minori, uno dei temi che ha più minato la credibilità della chiesa, è ancora endemica. Bergoglio non è riuscito, nonostante gli sforzi e le commissioni formate alla bisogna, a dare una svolta: le denunce continuano a fioccare. Perché rimangono intatte le prerogative che la chiesa si arroga in quanto ente parastatale, corroborate da concordati, e che Francesco non ha intenzione di intaccare seguendo la linea ratzingeriana: nessun obbligo di denuncia alle autorità “terrene” e risoluzione delle beghe in famiglia tramite i tribunali ecclesiastici, che condannano a pene come il confino in preghiera in convento o la sospensione a divinis.
Le condivisibili ma fumose posizioni per la tutela dell’ambiente dell’enciclica Laudato si’, che hanno entusiasmato l’ideologa no global Naomi Klein? Vanificate dalla prassi di una chiesa che propaganda il natalismo, veicolo di sovrappopolazione: una delle cause principali della distruzione ecologica del pianeta. Con Francesco d’Assisi tramutato oggi in ecologista ante litteram.
Nonostante tutte queste contraddizioni, Bergoglio raccoglie simpatie tra i progressisti. E ultimamente viene giocato a sproposito come jolly contro la deriva populista, sovranista e identitaria. Il papato di Francesco è caratterizzato da manifestazioni ambigue ma da sostanziale immobilismo, come ha sottolineato il sociologo Marco Marzano. Le enunciazioni roboanti del pontefice, esaltate acriticamente dai sostenitori o interpretate in maniera cervellotica e sofferta, spesso si traducono in gaffe ridimensionate dagli spin doctor vaticani. Mancano cambiamenti strutturali, come ben raccontano i libri corali Il falso mito di Bergoglio (edito dal settimanale Left) e Potere Vaticano. La finta rivoluzione di papa Bergoglio (albo della rivista MicroMega) cui ha fornito contributi anche l’Uaar.
I principi di giustizia sociale enunciati ora da Bergoglio erano patrimonio comune delle correnti progressiste da tempo, ben prima che se ne appropriasse il Vaticano. Che anzi tradizionalmente si è schierato contro movimenti socialisti, liberali o ecologisti. Vuoi per sudditanza intellettuale vuoi per speranze e illusioni suscitate dal papa empatico, sfugge come la chiesa da secoli arrivi sistematicamente in ritardo rispetto all’evoluzione delle sensibilità sociali. Quando lo fa, è per rifarsi un’immagine davanti all’opinione pubblica, pescando nella sua sterminata e contraddittoria tradizione per una autoreferenziale mitopoietica. Potremmo chiamare “church-washing” questo ricorrente fenomeno.
Antonio Gramsci, figura di riferimento a sinistra, nei Quaderni del carcere sintetizzava con straordinario acume quello che oggi definiremmo un “generatore automatico” di dichiarazioni papali. Così sezionava impietosamente le encicliche: «sono per il 90% un centone di citazioni generiche e vaghe» per «affermare in ogni occasione la continuità della dottrina ecclesiastica dagli Evangeli a oggi». Immaginava che in Vaticano avessero «uno schedario formidabile di citazioni per ogni argomento». «Si parla della carità», aggiungeva, «non perché ci sia un tal sentimento verso gli uomini attuali, ma perché così ha detto Matteo, e Agostino» e altri. «Solo quando il papa scrive [o parla] di politica immediata», concedeva, «si sente un certo calore». Ecco, con una buona dose di intelligente ironia, alcuni artifici retorici abusati anche dall’attuale papa.
Nella visione romanzata di giornali, best seller e scandali come Vatileaks, sarebbe vivo dentro il Vaticano lo scontro manicheo tra il povero papa che vorrebbe tanto fare la rivoluzione e una burocrazia curiale che lo ostacola per mantenere ricchezza e corruzione. Una prospettiva esagerata con venature cospirazioniste, anche di tanti laici che rincorrono il mito del “vero” cristianesimo. La realtà è più sfumata: il papa, attuale sovrano assoluto, è perfettamente inserito nei gangli vaticani. Non è un parvenu, ma in pista da decenni: già tra i papabili del conclave che nel 2005 elesse Ratzinger. Arrivato al soglio, potrebbe trasformare i proclami in atti concreti. Ma non lo fa. Invece la pia narrazione ricorda – ci sia permesso un paragone forse blasfemo – l’esaltazione del “puro” Mussolini rispetto agli esponenti rapaci del suo partito. In realtà stiamo parlando dello stesso regime totalitario, fatto di violenze e malaffare, con il duce saldamente a capo.
Una discreta fetta di ciò che rimane della sinistra, orfana di una ideologia totalizzante dopo il crollo del comunismo, per mancanza di prospettive e sbandamento culturale è riverente nei confronti della religione e dei suoi rappresentanti quando manifestano comportamenti compassionevoli. Tra parentesi, da razionalisti bisognerebbe riflettere sui danni che comporta l’abuso dell’empatia, largamente strumentalizzata dalla religione: può portare a decisioni sbagliate a livello tanto individuale quanto politico. Altro elemento in gioco è la delusione nei confronti dei partiti di centro-sinistra istituzionali, scesi a troppi compromessi. Ma, guarda caso, anche perché annacquati dalle frange cattoliche e dalle loro pretese confessionali. Gioca anche la suggestione data da un papa che incontra esponenti della sinistra sudamericana, come Fidel Castro o Evo Morales, mostrando freddezza verso leader di destra come Donald Trump.
Se tante persone di sinistra non sono indifferenti alle sirene bergogliane (e d’altri papi) nonostante la storica crociata contro il socialismo, probabilmente dipende da sensibilità affini. Ciò spiegherebbe anche i diversi esperimenti, tollerati se non osteggiati dalla chiesa mainstream, di cattolicesimo sociale e socialista. Bertrand Russell, eminente filosofo laico del liberalismo “borghese”, parlava nella Storia della filosofia occidentale di uno «schema ebraico della storia» che avvicina cristianesimo e comunismo. Entrambi rappresentano un «potente appello agli oppressi e agli infelici di ogni tempo» per l’anelito di rivalsa che può sfociare in concezioni millenaristiche. Come il cristianesimo predica l’elevazione al regno dei cieli dei puri fedeli della chiesa con punizione infernale dei peccatori, così il comunismo secondo Russell punta alla rivoluzione del proletariato che spazza via i capitalisti per instaurare una società utopica. Un parallelismo le cui dinamiche contraddittorie riecheggiano nel suggestivo romanzo Q del collettivo Luther Blissett. La religione cristiana agli inizi era considerata aliena, attirava fasce sociali basse (ma non solo) e dava un senso profondo di comunione settaria: da questa genesi rimane quell’allure anti-sistema talvolta rispolverata, che crea tanti fraintendimenti e illusioni. Quella stessa religione cancella poi violentemente la concorrenza e si fa autorità millenaria per «scambiarsi la veste» – direbbe Gustavo Zagrebelsky – con il potere politico.
Ma il “bergoglismo reale”, con il costante tira e molla tra rivoluzioni enunciate e accomodamenti effettivi, contribuisce a sgonfiare il fenomeno Francesco. Lascia spazio alla delusione dei cattolici ostili a posizioni troppo ecumeniche come l’accoglienza dei migranti. Anche tra laici e non credenti, nonostante l’epidermica simpatia, l’apostolato bergogliano non ha funzionato come veicolo di evangelizzazione. Pure l’attuale crisi causata dal coronavirus, che costringe a contenere lo strabordante presenzialismo papale (con il corollario di ingerenze politiche e riflettori mediatici), sembra danneggiare Francesco, come ha evidenziato il Wall Street Journal.
Bergoglio potrà anche essere simpatico per la sua fisicità gioconda e apparire meno retrivo dell’inquietante Ratzinger. Potrà essere un idealista e manifestare calore sincero per le persone. Ma esaltarlo come argine all’estremismo o veicolo di avanzamento sociale rischia di essere un abbaglio colossale. Perché è il sovrano di una struttura che promuove un’ideologia anti-laica con venature populiste e una dose più massiccia di paternalismo. Mischia slanci di umanità verso categorie disagiate a un granitico impianto dottrinario e un’agenda politica e sociale conservatrice. Difficile capire come la sinistra possa renderlo un feticcio e pretendere di cambiare i rapporti di forza nella società e nell’economia a favore dei reietti senza sottoporre a una serrata critica la religione e il suo potere, come aveva enunciato Karl Marx. Francesco invece, con il suo sorriso, diventa il volto umano dietro cui si nascondono le schiere confessionaliste al contrattacco. La carità esentasse con i soldi altrui non può sostituire diritti, stipendi dignitosi e rivendicazioni, ma spesso anzi è un palliativo. Appaltare servizi pubblici a enti religiosi nel nome di sussidiarietà e “convenienza” restringe le possibilità di accesso al welfare e ne mina la neutralità. Esaltare la religione come soluzione a tutti i problemi e metterla su un piedistallo sottrae spazio nel discorso pubblico al pensiero razionale e scientifico. Tributare ossequi istituzionali alla chiesa cattolica perché il papa è affettuoso con i fan rosicchia la già malconcia laicità, che sarà freddina ma è uno dei presupposti per uno stato liberale, egualitario e democratico.
Se una certa satira accostava Ratzinger al malvagio imperatore Palpatine di Star Wars, Bergoglio per i nostri cuori non toccati dalla grazia somiglia più al Megadirettore Galattico di Fantozzi, che ostenta povertà francescana, modi affettati e serafico si proclama “medio-progressista”. Una parte di progressisti, laici e non credenti rischia di fare la fine del povero Ugo Fantozzi, che adorante ringrazia mentre è inginocchiato, finendo nel suo acquario personale.
Valentino Salvatore
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Su la Repubblica (per chi ancora non lo sapesse è un quotidiano fondato da Eugenio Scalfari) del 11/12/2020 un’intera pagina (avviso a pagamento) riporta una supplica al Santo Padre Francesco perché intervenga contro gli abusi sessuali da parte di religiosi a New Orleans, Louisiana. Forse mi sarà sfuggita una risposta di eguale evidenza giornalistica, e un eventuale commento del fondatore di Repubblica. Sarò grato a chi me li segnalerà.
Tutto vero, ma discorsi come questo non sono comprensibili a molti atei inconsapevoli, e anche se capissero ci sarebbe la classica scusa: il papa vorrebbe rimodernare la chiesa ma sono i cattivi in Vaticano che glielo impediscono.
Jorge Bergoglio, in arte Francesco i, mi pare altrettanto autentico quanto il dio di cui si proclama portavoce.
Mi sembra che grandi entusiasmi vi furono anche per il papa GP II, il “santo subito”, sia da parte dei politici che dei media per un papa “mediatico e simpatico”. Cosa resta di quegli entusiasmi?
Evidentemente il popolo dei cortigiani è numeroso ed i papi sono abituati a recitare e comunicare per il popolo, come qualsiasi sovrano. D’altronde pur intrallazzando con re ed aristocrazia, pur arricchendosi, riuscivano a far credere di essere dalla parte dei poveri e non parte del sistema che li rendeva tali. Ci sanno fare e conoscono bene i loro “fedeli”. Sono 2000 anni che vivono di propaganda.
La Treccani riporta: “propaganda s. f. [tratto dalla denominazione della Sacra congregazione pontificia De propaganda Fide, che significa «della propagazione della fede»; …..”
In altre parole, non solo ci vivono, ma l’hanno inventata loro, la propaganda!