La serie tv Unorthodox racconta di un’ebrea ultraortodossa in fuga dalla comunità d’origine. Ne parla Micaela Grosso sul n. 4/2020 della rivista Nessun Dogma.
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Alla fine di marzo 2020 Netflix ha reso disponibile Unorthodox, una miniserie a firma di due donne, Anna Winger e Alexa Karolinski, tratta da una vicenda realmente accaduta.
La storia è ispirata alla vita di Deborah Feldman, che faceva parte della comunità ebraica ortodossa chassidica Satmar e che nel 2012 ha raccontato la sua fuga nel libro Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche.
Nella riduzione cinematografica, Deborah Feldman è Ester Shapiro (Esty), la giovane protagonista che vive la sua infanzia nel distretto di Williamsburg, a Brooklyn, insieme ai nonni, ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Sta con loro dal momento che la madre, ribellatasi alle regole della comunità, è stata allontanata anni prima per comportamenti definiti “empi” e poiché il padre, alcolista mentalmente instabile, non è in grado di badare alla figlia.
Nella sinossi presente sul sito del servizio di streaming, si legge: «Una donna ebrea chassidica di Brooklyn va a Berlino per fuggire da un matrimonio combinato e viene accolta da un gruppo di musicisti. Ma il suo passato la raggiunge». In realtà, nei quattro episodi che compongono la serie, molto, moltissimo spazio è dedicato al presente. Si tratta di una licenza registica, giacché lo sviluppo della vita a Berlino è frutto della fantasia delle ideatrici. Al di là di chi concorda o meno con la scelta di inventare di sana pianta la seconda e importante parte della vita di una ragazza che non ha quasi vissuto un’infanzia, è qui molto significativa l’enfasi attribuita all’elemento del viaggio, che consente alla protagonista di dismettere i panni religiosi, spogliarsi simbolicamente (e fisicamente) dei vessilli di una fede coercitiva e limitante, cominciando a scrivere la propria storia di realizzazione personale.
Il viaggio intrapreso le consente, gradatamente e non senza difficoltà, di avviare un percorso di elaborazione del distacco dalla comunità che un tempo costituiva l’unica dimensione possibile e desiderabile, accostandosi alla lenta e dolorosa guarigione dal trauma religioso. Quest’ultimo, nelle parole della terapista Kathryn Keller, specializzata nel campo dell’abuso spirituale, ha luogo «[…] quando la religione o la spiritualità sono usate per infliggere danno a qualcuno, intenzionalmente o meno. Implica un abuso di potere e spesso provoca vergogna. Potrebbe essere perpetrato da un individuo, una famiglia o un gruppo religioso. Si verifica in un continuum che va dalla lieve manipolazione o da norme culturali svalutanti alla coercizione estrema che depriva la persona di un vero senso di sé».
Nella comunità Satmar di lingua yiddish, in cui Deborah/Ester cresce, la coercizione dell’individuo, specialmente se di sesso femminile, è una delle basi della vita religiosa. Ai componenti sono preclusi la televisione, il cinema, la lettura dei quotidiani non religiosi e internet; lo stile di vita è interamente regolato dalla Torah. La donna, in particolare, frequenta scuole diverse dagli uomini e segue un comportamento caratterizzato da tzniut (modestia, riservatezza), portando pertanto gonne lunghe fin sotto le ginocchia e vestiti accollati. In prossimità del matrimonio (combinato e vincolante), è obbligata a radersi la testa e ad adottare una parrucca (sheitel) o un turbante che per la vita la proteggerà dagli sguardi, dedica ogni minuto della propria esistenza al tentativo di concepire figli per l’uomo, abbandona ogni velleità artistica o creativa in favore di una rigida osservanza.
Nella comunità da cui proviene Esty la libertà individuale, sia per gli uomini sia per le donne, è estremamente ridotta, e l’emancipazione personale non è presa nemmeno in lontana considerazione. Le tradizioni, spesso asfissianti, esercitano infatti una fortissima pressione psicologica anche sul marito della ragazza, il giovane Yanky, che le offre il suo amore con la stessa, rigida visione della vita ereditata dalla sua famiglia.
Quando lo lascia per fuggire, Esty non lo fa a causa sua: è solo arrivata al punto di rottura. Si organizza, si procura dei soldi e parte, per la disperazione. Sceglie tra le destinazioni Berlino per via di sua madre, ma non va alla sua immediata ricerca, anzi: in un primo momento la evita. Non sapere ancora, a diciannove anni, chi è e che cosa vuole, le rende impossibile capire che tipo di aiuto chiedere. La sua esitazione si concretizza anche sul piano linguistico: sono molto frequenti i passaggi dalla lingua yiddish all’inglese e al tedesco.
Come sua madre, che vive ormai da anni a Berlino con la compagna di vita, Esty con la fuga rinuncia al nido che l’ha cresciuta, ai legami affettivi, alle lezioni di piano che prende clandestinamente, all’amore dei nonni e, non da ultimo, del giovane e devoto marito. È consapevole di andare incontro a un grande dolore, e lo affronta con coraggio: non ci sarà più alcun rituale a rassicurarla, dovrà cercarsi un lavoro, cambiare lingua e abbandonare la sua comunità, l’onnipotente bolla protettiva. Sa bene che il prezzo dell’allontanamento è la frattura dei rapporti familiari, ma è l’unica via d’uscita verso la guarigione dal trauma. Lo fa per la sua felicità futura, per dare spazio alle aspirazioni che non ha mai potuto coltivare. Così strappa il cerotto e parte, iniziando la convalescenza.
Micaela Grosso
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Poco tempo fa,come avrete letto,durante una festa religiosa di ebrei ortodossi a Gerusalemme si e’ verificato un gravissimo incidente,con una quarantina di morti,provocato non da attentati ma semplicemente dalla pressione della folla.
E interessante leggere che in quella festa si cantava e si ballava.
Con tutti i suoi pregiudizi si direbbe comunque che l’integralismo ebraico si differenzi da quello islamico,che proibisce perfino la musica.
Sarà anche più gioioso, ma di certo non si è dimostrato più intelligente: in piena pandemia si sono assembrati e comportati come se non ci fosse il covid, nessuno ha defezionato. Ed anzichè prendersela con loro stessi o interpretarlo come un segnale negativo del loro dio, se la sono presi con la sicurezza che gli ha messo delle restrizioni non permettendo loro di muoversi come sempre. Chissà cosa diranno per i focolai che si svilupperanno per la loro follia religiosa. Direi che anche questo dimostra gli effetti del fanatismo religioso, come quello del Gange.
Se e’ per questo qui un sacco di gente si assembra e balla,beve e mangia a
frotte in assoluta laicita.
Caro laverdure,
stavolta mi trovi d’accordo. Israele deve annettere Efraim e Giuda (intesi come territori) ed espellerne la maggior parte degli attuali abitanti abusivi, che potrebbero essere accolti in paesi
ospitali come l’Italia. Sono anche convinto che gli edifici abusivi che ingombrano il Monte del Tempio debbano essere fatti sloggiare. Non dico abbattere: in virtù del loro pregio artistico, che alcuni loro riconoscono, o dell’affezione, rivolta loro da altri, si può smontarli per rimontarli in un luogo più acconcio. Il Monte del Tempio, come dice il nome, deve essere il luogo del Tempio e basta. Al più presto.
Per dirlo chiaramente, la religione ebraica è indiscutibilmente il primo carnefice delle libertà che si sono date, liberamente, una etnia umana.
Gli inventori –quindi scittori- di questa ignobile mitologia (Torah) sono la causa di tremende disfunzioni sociali, odio accanito e guerre a non finire, che stiamo tuttora pagando !
Aggiungo che sul piano della vita personale, il giudeo-cristianesimo, cattolicesimo e l’Islam ha fatto subire ad una grande frazione dell’umanità una repressione sessuale senza precedenti, che contrasta fortemente con molte altre tradizioni religiose, e….continua !
NB -Per gli ebrei, ed è scritto più e più volte nei testi sacri, i goy (coloro che sono pagani o non di nazionalità israelita) sono solo bestie. Rubarli non è un furto, ucciderli non è omicidio, violentarli non è stuprarli. Il crimine sui goy non è un crimine ma il diritto assoluto della razza superiore (ovviamente) ebraica sui non ebrei ! Sic
Hai dimenticato come gli ebrei da sempre rapiscono i bambini “goy” per succhiargli il sangue da usare nelle loro cerimonie.
Diamine,e’ un punto fondamentale !
@Laverdure :
E questa dove l’hai trovata ?
Ma forse trattasi di una battuta (a mio parere non proprio spiritosa, ma piuttosto ironica) che potrebbe avere un nesso con le tue eventuali origini etniche ?
NB -Ho conosciuto, e conosco tuttora gente con diverse nazionalità, d’origine ebraica, di ottima istruzione e conoscenza scientifica, con laquale non ho avuto problemi, anzi ; questi erano e sono indistintamente tutti –più che probabilmente non credenti, il ché non dovrebbe ovviamente stupire più di tanto…
Ma l’antifona è ben diversa quando trattasi di israeliti, o d’origine israelita, specialmente quando fai certe domande sulle loro credenze puerili, o dogmi, certi passaggi della Torah, o il comportamento indecente dei coloni israeliti verso i palestinesi o sul comportamento politico e morale di Benjamin Netanyahu, ecc.. : ti fulminano dallo sguardo !
Te la potevi risparmiare, scusami.
Caro laverdure,
sul succhiare il sangue dei bambini sacrificati non sono d’accordo: gli Ebrei infatti lasciano scorrere il sangue delle vittime sacrificali, sia umane che animali. Questa è una differenza fondamentale fra Ebrei e Cristiani: se per gli Ebrei il sangue della vittima è tabù (è riservato interamente a YHWH) per i Cristiani invece va bevuto (anche se in modo speciale e nella maggior parte dei casi solo dal celebrante).
Pendesini fa un riferimento alle tue origini etniche: sono particolari?
Infine faccio notare che la Torah contiene minime parti mitiche (i primi 11 capitoli di Genesi, ed alcune parti dell’Esodo): il resto è storia mitologizzata.