L’amministrazione comunale di Philadelphia ha da tempo esternalizzato anche gli affidamenti di bambini a rischio. Quando ha scoperto che due agenzie si rifiutavano di prendere in considerazione, come genitori affidatari, anche le coppie omosessuali, ha chiesto loro di adeguarsi alla normativa. Una ha accettato. L’altra, la Catholic Social Services, si è rifiutata, ha fatto causa ed è riuscita a trascinare la città davanti alla Corte Suprema. Che gliel’ha data vinta, e con voto unanime.
Una decisione che non poteva non suscitare forti critiche nell’associazionismo laico statunitense, che era intervenuto con un amicus curiae a sostegno dell’amministrazione locale. Nick Little, vicepresidente e direttore legale del Center for Inquiry, ha dichiarato che «gli unici diritti che la Corte ha valorizzato nella sentenza sono quelli del gruppo religioso. I diritti dei bambini, della comunità Lgbtq e dei contribuenti in generale sono stati semplicemente ignorati». Robyn Blumner, presidente del Cfi, ha affermato che il provvedimento «chiarisce che la crescente popolazione non religiosa degli Stati Uniti è composta da cittadini di seconda classe». Annie Laurie Gaylor, co-copresidente della Freedom from Religion Foundation, ha rincarato la dose sostenendo che «è angosciante che una Corte suprema benedica unanimemente la sfacciata richiesta di un gruppo cattolico di essere finanziato con i dollari delle tasse per compiere odiose discriminazioni».
I pareri divergono sulla portata della sentenza: in ogni caso, rappresenta l’ennesima crepa nel muro di separazione tra stato e chiese edificato dai fondatori del paese. La Corte suprema Usa, in seguito alle nomine effettuate degli ultimi anni, ha ora una solida maggioranza trumpiana che rischia di mettere in discussione già nei prossimi mesi il diritto all’aborto. Fa riflettere che ben sei dei nove giudici che la compongono siano cattolici, e che un settimo membro sia un cattolico che non ha mai né confermato né smentito di essere diventato episcopaliano.
La redazione
Mi sembra semplicemente una applicazione del principio dell'”obiezione di coscienza” che,correggetemi se sbaglio,e’ ampiamente sfruttato anche in questo paese soprattutto nel caso dell’aborto.
Non vedo perche’ad una associazione non spettino gli stessi diritti di un singolo.
Meritati o immeritati che siano.
perchè quell’associazione fornisce un servizio pubblico (lautamente remunerato), e quindi deve sottostare agli stessi principi di non discriminazione del pubblico, molto semplice.
Amaryllide
Mi hai tolto le parole di bocca: per le associazioni e gli enti valgono le leggi,
per i singoli valgono le opinioni, ed è per questo che votano e non sono finanziati direttamente.
O almeno così dovrebbe essere.
Amaryllide e Diocleziano ti hanno gia’ risposto. Io vorrei solo aggiungere che anche a livello individuale ci dovrebbero essere (il condizionale e’ d’obbligo quando c’e’ di mezzo la chiesa) delle limitazioni. Se lavori come medico in una struttura pubblica hai il DOVERE di fare il meglio per la salute dei pazienti e non puoi permettere che il tuo comportamento sia dettato dalle tue idee religiose. Anche perche’ si rischiano contraddizioni enormi. Se un TdG non vuole la trasfusione di sangue, certi dottori fanno obiezione di coscienza? No! Ma si riufiutano di praticare l’aborto se a richiederlo e’ una donna su basi personali-fisiologiche e non religiose.
Forse ci dobbiamo inventare una nuova religione la cui divinita’ principale permette l’aborto, la contraccezione, la pillola del giorno dopo etc…
Non tutto il male vien per nuocere (si fa per dire, ovviamente). Un’altra dimostrazione della sterzata clericoreazionaria negli USA. Sterzata iniziata non con reagan o con trump, ma nel 1864, quando, accanto a quello che era il motto dei Padri Fondatori – E Pluribus Unum, Da Molti, Uno – si affianca quello attuale – In God We Trust, confidiamo in dio -. Dopo una lunga convivenza, quest’ultimo verra’ ratificato dal Congresso come motto nazionale nel 1956, in pieno clima Stranamore, per contrastare l’ateismo dei bolscevichi!
Le crepe “…nel muro di separazione tra stato e chiese edificato dai fondatori del paese…” sono gia’ apparse circa 150 anni fa.
E’ giusto, giustissimo, denunciare le nostre clericalate e dobbiamo continuare a farlo senza sosta. Ma non piangiamoci troppo addosso: purtroppo non siamo soli in questo.