Come veicolare l’importanza della laicità nelle scuole italiane, che scontano una pesante influenza confessionale? Ne parla Flavio Filini sul n. 4/2021 della rivista Nessun Dogma.
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Insegnare la laicità nella scuola; il primo pensiero è stato quello di riuscire a scrivere dell’argomento senza citare l’insegnamento della religione cattolica, ma in un sistema che vede la presenza istituzionale in ogni classe di un insegnante di religione cattolica che, come scrive la rivista Civiltà cattolica, dovrebbe essere «innanzitutto un uomo di fede, testimone coerente, per una proposta attuale e una scelta di vita totalizzante», mi è sembrato un compito improbo.
Per prima cosa chiariamo che stiamo parlando di scuola statale (o di scuola paritaria di un ente locale), giacché anche le scuole paritarie confessionali cercano di fregiarsi del titolo di scuola pubblica, essendo state inserite nel “sistema nazionale di istruzione” dall’art. 1 della L. 62/2000.
Parafrasando il celebre detto sulla General Motors, «ciò che è buono per la chiesa cattolica è buono per la scuola», rimane il primo ostacolo all’insegnamento laico in una scuola laica. Per fare un esempio, potrei citare la proposta di insegnamento formulata da persone che, spesso in buona fede, danno per scontato che insegnare il rispetto per l’ambiente partendo dall’enciclica di un papa sia una cosa normale. Come se un capo religioso avesse competenze specifiche di tutela ambientale per il solo fatto di ricoprire quella carica.
Il testo unico sulla scuola (Decreto legislativo n. 297 del 1994), sembrerebbe fornire tutti gli strumenti per un insegnamento laico.
Proviamo a leggere per intero (a proposito di allenamento alla libertà di pensiero, mai fidarsi degli esperti senza controllare le fonti… soprattutto nel mio caso).
L’art. 1 (Formazione della personalità degli alunni e libertà di insegnamento), al comma 1, stabilisce «Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente» e al comma 2 «L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni».
A maggior tutela, l’art. 2 (Tutela della libertà di coscienza degli alunni e diritto allo studio) al comma 1, comanda «L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni».
Esperienza insegna però che tali meritorie disposizioni possono essere brandite anche contro chi cerchi di aprire la mente degli studenti per abituarli all’esercizio di un pensiero non dogmatico, soprattutto in certe materie che più si prestano al confronto anche acceso sulle diverse idee e posizioni filosofiche o religiose.
A questo punto cerchiamo di decidere cosa intendiamo quando parliamo di laicità, almeno all’interno di questo articolo.
Provando a cercare sul solito Google: “insegnare la laicità”, i primi risultati portano al libro Perché insegnare religione cattolica nello stato laico? del sito educazione.chiesacattolica.it e per secondo la recensione del medesimo libro fatta da Civiltà cattolica e via di questo passo, salvo qualche articolo sulla laicità nella scuola francese. A conferma delle difficoltà cui accennavo sopra. Un po’ meglio va con il motore di ricerca duckduckgo.com, dove prevalgono i risultati riguardanti la scuola francese e, ahimè, l’assassinio del professor Samuel Paty.
La voce che mi è sembrata più utile ed equilibrata, in questo contesto, è quella di Wikipedia ‘laicità’: «La laicità, in senso politico, sociale e morale, è lo stato di autonomia e indipendenza rispetto ad ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui o proprio».
Ancora: «La laicità rifiuta qualunque forma di imposizione dogmatica e la pretesa di determinare le proprie scelte morali ed etiche al di fuori di una critica o un dibattito. La laicità sostiene l’indipendenza del pensiero da ogni principio morale ed etico, quindi indirizza il dibattito, il confronto e l’apertura, all’autonomia delle scelte personali in ogni settore (politico, sociale, spirituale, religioso, morale)».
Se partiamo da questa definizione di laicità, come rifiuto di imposizione dogmatica, ne segue che insegnare la laicità a scuola coincide con l’insegnamento dell’autonomia di pensiero.
Laicità come libertà di pensiero. A questo punto, più di insegnamento della laicità, parlerei di allenamento alla libertà di pensiero.
Il primo attrezzo che viene alla mente di usare per questo tipo di allenamento è l‘ora di “attività alternativa”.
Fino a oggi, uno dei problemi maggiori per rendere effettivo questo insegnamento era costituito dalla tempistica delle scelte, per cui le richieste degli studenti e delle loro famiglie venivano conosciute solo ad anno iniziato, con le ovvie difficoltà nella scelta dei docenti e di organizzazione delle attività (provare per credere, l’adeguamento dell’orario delle lezioni, soprattutto in una scuola di secondo grado di una certa dimensione, è un lavoro decisamente complicato). Un lavoro più sistematico può essere fatto a partire dalla sentenza Tar Lazio n. 10273/2020 (causa promossa meritoriamente dall’Uaar) che ha consentito di anticipare le scelte delle materie alternative e quindi permetterà di programmare più agevolmente le iniziative nei prossimi anni scolastici. Le scelte possibili sono: attività didattiche e formative – non coincidenti con le materie curricolari; attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente; libera attività di studio e/o ricerca individuali senza assistenza di personale docente; non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica. La prima e, in una situazione ideale anche la seconda, sono le scelte che più si prestano ad allenare la libertà di pensiero a scuola.
Dal mio punto di vista, la situazione ideale è però quella di sviluppare l’autonomia di pensiero e la costruzione sociale delle regole, contrapposta a un sistema basato sull’ipse dixit. Non è indifferente, per esempio, insegnare come date dall’alto le teorie economiche rispetto alla verifica e messa in discussione delle stesse, ovviamente in una scala accessibile agli studenti. “Non fidatevi dei professori”, inteso come verifica e messa in discussione di quanto viene presentato, accompagnato dall’uso incessante del “perché?” sono gli strumenti chiave dell’insegnamento, se si può usare questo termine, della laicità.
Un esempio pratico, tratto dall’insegnamento di materie giuridiche, è quello dell’applicazione delle regole di comportamento a scuola. Una visione non dogmatica porta a individuare, assieme agli studenti, ed eventualmente ai genitori, le regole da applicare. Se si riesce a raggiungere una condivisione sulle regole, non serve un corposo regolamento.
In un esperimento di qualche tempo fa con diverse classi del biennio di un istituto tecnico economico, siamo riusciti a distillare due regole “costituzionali”, che si sono rivelate capaci di fornire risposte soddisfacenti a tutti i dubbi sollevati dalla normale vita della scuola.
Per i più curiosi, le due regole sono: 1) tutto quello che facilita l’apprendimento è bene, tutto quello che lo impedisce è male; 2) rispetta gli altri. Quando si tratta di dare risposta alla richiesta di uno studente è possibile per il docente motivare il perché del consenso o del diniego e accettare la discussione su un piano razionale. Uscire spesso per recarsi ai servizi igienici disturba il lavoro della classe, quindi è meglio limitarlo, usare un formato di carta diverso per gli appunti potrebbe facilitare l’apprendimento, quindi va bene. Parlare con i vicini di banco mentre un docente o un compagno cerca di esporre un argomento, potrebbe disturbare ed essere visto come una mancanza di rispetto per gli altri che vogliono seguire la lezione, eccetera.
Per mettere costantemente in discussione le indicazioni dell’autorità, del senso comune o della cultura, servono pazienza, conoscenze e, appunto, allenamento.
La pigrizia è, di conseguenza, l’ostacolo primario, assieme al naturale desiderio di essere parte di un gruppo.
La struttura scolastica, non tanto per le impostazioni di legge, che abbiamo visto lasciano ampia libertà di azione, quanto per inveterate abitudini, tramandate da generazioni di insegnanti, trova più congeniale la trasmissione di nozioni precotte rispetto alla difficile arte di allenare alla libertà di pensiero.
Accettare come normale l’errore e considerarlo una base di partenza inevitabile è difficile in parte perché su questo punto risulta molto forte il condizionamento di altri docenti e delle famiglie. Anche per molti studenti è meno sfidante l’apprendere nozioni, anche complesse, rispetto alla ricerca e all’accettazione che è possibile sbagliare ed essere messi in discussione.
Le difficoltà di valutare e la tirannia del voto, cui contribuiscono non poco le famiglie e il valore legale del titolo di studio, sono ulteriori scogli sulla strada della libertà di pensiero.
Ne abbiamo visto un eclatante esempio in questi mesi di didattica a distanza o, se preferite l’ultima versione, didattica a distanza integrata con le storture e le ansie collegate alla valutazione degli studenti.
Già in condizioni normali, la preoccupazione dei professori e talvolta anche di alcuni maestri, di impedire le copiature, i suggerimenti e quant’altro, porta ad accorgimenti qualche volta comici, ma durante la didattica a distanza si è visto quanto l’attuale modo di fare scuola trascuri la rielaborazione delle nozioni e la capacità di argomentare.
Non è questo lo spazio per discutere approfonditamente di didattica, ma anche per chi di scuola poco si occupa, appare evidente che un dialogo in cui si confrontano posizioni diverse o si espone il proprio pensiero, anche in contraddittorio con altre persone o cercando di chiarire dubbi e perplessità altrui, difficilmente può essere falsato dall’accesso a fonti esterne, che invece al contrario dovrebbe essere normale.
La declinazione dell’allenamento alla laicità è diversa nei diversi ordini di scuola e dipende molto dall’età; la costante, a mio avviso, è sempre la spiegazione delle regole e del loro scopo. Anche con allievi in età molto tenera, le maestre insegnano, è possibile spiegare il perché delle regole e costruire assieme a loro le conoscenze.
Con il crescere dell’età, la divulgazione scientifica, la ricostruzione delle basi delle scienze, non ultime le scienze sociali, allena la messa in discussione dell’autorità basata sul dogma.
Ma questo comporta lavoro, conoscenza, ricerca. Molto più facile e comodo lasciarsi guidare, per questo c’è bisogno di un lungo e paziente allenamento. Paziente ma non necessariamente noioso, chiedete agli amici del Cicap, che riescono a coniugare rigore scientifico e leggerezza.
Cosa aspettate, l’allenamento comincia subito…
Flavio Filini
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Io personalmente non credo che tra le cause del crescente degrado della scuola italiana l’influenza religiosa sia tra le prime.
Quali che fossero le speranze della Curia,non credo che l’efficacia dell'”indottrinamento” dei giovani per creare i suoi “soldati di Cristo” sia di fatto granche.
Forse qualcuno qui ricorda come le lezioni di religione erano definite da molti come l’ “ora del parrucchiere”,per definire l’impiego di quel tempo.
Il vero problema e’ che la mentalita e l’atmosfera che si sono venute a creare,e che rendono gli studenti “impermeabili” per la gran parte agli insegnamenti religiosi,li
rendono altrettanto poco interessati a qualunque altra materia : matematica,scienze,letteratura ecc di vitale importanza nella societa moderna.
Certamente non è tra le prime, ma si piazza con onore.
Sarebbe lungo elencare le conseguenze dell’ignorantismo cattolico: soprattutto perché spesso
le conseguenze non sono immediatamente percepibili. Tutto ciò di cui si discute qui potrebbe avere soluzioni più rapide e non trascinarsi per decenni, come invece avviene per aborto,
eutanasia, ingerenze varie, peso finanziario sulle casse dello Stato… e certamente ne avrò
tralasciate almeno otto o dieci.
Illuminante questa frase, probabilmente un titolo di Avvenire:
“Le scuole cattoliche devono difendere la verità contro il pensiero unico”.
Chi, più della chiesa, può vantare un pensiero unico che più unico non si può?
Quale verità è contenuta nella religione? Nessuna.
Il guaio e’ che le idiozie non sono monopolio di nessuno.
Basta guardare al recente accanimento dei media contro Orban che rifiuterebbe la “promozione” dell’omosessualita delle scuole.
Ora,non so quali termini siano in uso in Ungheria,ma anche se molti ignorano qui il significato di vocaboli come “assembramento”( si e ‘ visto con la pandemia),tutti ( o quasi)sanno che “promozione” e’ sinonimo di “propaganda”.
Siate sinceri,qual e’ quel genitore sano di mente che gradisce la propaganda dell’omosessualita nelle scuole elementari ?
Abbiamo di fronte una stupida “trufferia” di parole,come la chiamerebbe il Manzoni,che serve solo a esacerbare ancora di piu’ un problema gia delicato di suo.
Guarda che è Orban a parlare di promozione. Come al solito certa gente si inventa le cose per paranoia e per poterle contestare e fare le vittime in mancanza di argomenti validi: parlare di esistenza dell’omosessualità significa promuoverla, parlare di fine vita significa promuovere eutanasia ed il suicidio oltre al nazismo, parlare di aborto significa promuoverlo, parlare di unioni civili significa distruzione della famiglia. E’ lo stesso personaggio che accosta pedofilia ad omosessualità e pretende di giustificare le sue leggi liberticide come lotta alla pedofilia. Mentre indottrinare cristianamente i ragazzi è istruzione, esaltare la dittatura fascista ed antisemita di Horthy è patriottismo.
I media semplicemente riportano lo scontro tra la maggior parte dei paesi civili europei ed il dittatorello truffatore Orban.
Io ricordo perfettamente che negli anni cinquanta presso l’Istituto Tecnico industriale G. Marconi di Padova, mentre l’insegnate di italiano prof. Alessi ci ammansiva di Leopardi col soffermarsi sulle questioni più strettamente di popolare sentimentalismo, il prete maledetto don Alfredo Contran era in diritto e dalle istituzioni protetto. sparlare in ora di religione del genio che ci invitava all’arido vero.
Con quali conseguenze si può ben immaginare.
Il problema sta a monte e non a valle.
Non ha senso, in uno stato che si dichiara laico e in una scuola che DOVREBBE essere laica, sprecare risorse, tempo e tant’altro nel cercare un’alternativa all’ora di religione. Basta TAGLIARE senza pieta’ la stessa ora. Questa e’ l’unica alternativa a questo sconquasso. ELIMINIAMO IL CONCORDATO! LIBERIAMO LO STATO LAICO PRIGIONIERO DELLA CHIESA!
«Sapere è capire », disse Michel Serres. Sempre la vecchia antinomia tra testa piena e testa ben fatta. È inutile accumulare una “conoscenza”, libresca, sovente relativamente indigesta o altro, se non troviamo nessun senso pratico, pragmatico, razionale….. Impiliamo i mattoni, sprechiamo una notevole energia, ma non cresce nessun edificio. Se continuiamo in questo modo – un ministro più o meno competente che decide dei cambiamenti e atteggiamenti, di cui non capisce assolutamente nulla, non più dei suoi assistenti – ripeteremo perennemente solo ciò che –in fatti- non sappiamo.
P.S. -Senza un’istruzione ad hoc, razionale, corriamo il rischio du prendere sul serio le persone « istruite », o considerate tali ! Ed è proprio quello che capita a miliardi di persone che praticano una religione.
@Pendesini
Hai ragione,naturalmente.
Ma ci terrei a far notare che la “vecchia”scuola,anche se inculcava un sacco di nozioni che nella vita si rivelavano inutili,nel fare questo inculcava contemporaneamente un’idea fondamentale : che nella vita per ottenere risultati
gratificanti OCCORRE SGOBBARE !
E in questo forniva un contributo fondamentale l’istituzione del voto “numerico”,
che fornisce inevitabilmente un giudizio chiaro,inequivocabile,sul rendimento di un individuo.
Ammetterai che molti pretesi sistemi didattici cosiddetti “avanzati” ottengono solo di inculcare una minima cultura col minimo sforzo da parte dello studente e con minima assunzione di responsabilita da parte dell’insegnante che puo’ trincerarsi
dietro giudizi “tartufeschi” che hanno sostituito il voto.
Disgraziatamente anche in Italia nel mondo del lavoro certi principi arcaici tengono ancora credito,per cui la mancanza sia di competenze sia di impegno fanno sentire il loro peso per la grande massa dei “non figli di papa”.
Guarda che il voto c’è ancora. Solo per le elementari e per le medie inferiori in certi periodi si è sperimentato il giudizio, ma attualmente mi pare che valga solo per le elementari. Alla media superiore e all’università il voto ed il merito c’è sempre stato, tanto è vero che parecchi politici l’università non riescono a farla o si cercano università “più facili” dove ottenere il pezzo di carta da esibire, tipo la Gelmini. La vecchia scuola era classista ed insegnava che solo i figli di papà potevano ottenere certi lavori e ruoli, per gli altri c’era solo da lavorare a livello inferiore e la discriminazione. Ha avallato il sistema clientelare e delle raccomandazioni, ben lontano dal merito.
Il tentativo di oggi di screditare la scuola pubblica, sia culturalmente che col taglio dei finanziamenti cerca proprio di ripristinare quel sistema classista. Nonostante tutti i problemi anche in Italia in campo scientifico e tecnico la valutazione fa la differenza nella ricerca del lavoro.
….Per mettere costantemente in discussione le indicazioni dell’autorità, del senso comune o della cultura, servono pazienza, conoscenze e, appunto, allenamento….Dice l’articolo
Aggiungerei : avere una buona astrazione mentale, intuizione e un ottima predisposizione all’improvvisazione controllata, alla qualità del potere persuasivo e un certo self control che –ahimé- manca sovente agli insegnanti pur dotati di buona volontà.! E soprattutto cercare di invogliare gli allievi rendendo il corso interessante…evitando, se possibile, la « recitazione » o routine !
Domanda : L’educazione dell’educatore non dovrebbe essere molto più orientata nella conoscenza di se stesso che in quella della disciplina che insegna?