Una serie tv ambientata in epoca vittoriana che tratta in maniera non scontata temi complessi quali la moralità della ricerca medica e il conflitto tra fede in dio e modernità. Una panoramica di Micaela Grosso sul n. 5/2021 della rivista Nessun Dogma.
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ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER!
Spesso accostato alla celebre Penny Dreadful per i temi trattati, The Frankenstein Chronicles è una serie televisiva britannica, ideata da Barry Langford e Benjamin Ross nel 2015 e distribuita su Netflix dal 2017, che si ispira liberamente al romanzo di Mary Shelley Frankenstein; or, The Modern Prometheus.
La vicenda di Frankenstein, per il suo potere innovativo, storicamente è stata ed è tuttora una delle più soggette a riscritture e adattamenti. La serie di Netflix, però, ha la particolarità di combinare la biografia della scrittrice Shelley, personaggio coinvolto direttamente nella trama (e che fu, ricordiamo, moglie del poeta Percy Bysshe Shelley, autore del pamphlet filosofico The Necessity of Atheism) con quella della creatura da lei inventata: a pochi anni dalla pubblicazione del romanzo si assiste al resoconto di una serie di delitti chiaramente ispirati al libro, con un notevole intreccio di elementi gothic-drama, detective e thriller e diversi richiami letterari e metanarrativi.
Tfc è ambientato nella Londra dell’epoca vittoriana e ha come protagonista Sean Bean nei panni di John Marlott, un tormentato investigatore che ha perso la sua famiglia e la fede in dio.
Fin dal primo episodio della stagione 1, che non a caso si intitola A World Without God, è chiaro come la serie sia segnata dal conflitto tra scienza e religione. L’impianto narrativo sottolinea, con pochi giri di parole, come il progresso scientifico possa fornire una risposta ad alcune delle domande esistenziali; al “potere” detenuto da dio sull’esistenza umana e alla prospettiva dell’aldilà si contrappone infatti la possibilità concreta, offerta dalla scienza, di riacquistare la vita che dio si è preso il disturbo di strappare ai suoi fedeli. La stessa Mary Shelley, nell’episodio 03 della prima stagione, ammette di aver inserito nel titolo del suo romanzo un riferimento al mito di Prometeo come «simbolo di ribellione» contro «la tirannia, l’oppressione […] e le leggi di dio».
A quello tra scienza e ordine divino si aggiunge il conflitto di classe, che vede i poveri e i senzatetto abusati in vita quanto in morte: gli esponenti delle classi meno abbienti, specialmente i bambini, dopo un’esistenza di stenti sono uccisi per ricavarne cadaveri da devolvere al commercio degli esperimenti anatomici, condotti dagli esponenti della borghesia più spregiudicata. È questo il “mondo senza dio” che la serie immagina, un ambiente desolato e ingiusto in cui i “resurrectionists” senza scrupoli credono di poter disporre della vita e dei corpi, mercificati, dei meno fortunati in nome della fede nel progresso e nella prospettiva di un futuro migliore. I rappresentanti del clero sono corrotti e sordi alle richieste d’aiuto dei meno abbienti mentre la classe sociale più elevata, composta da scienziati e chirurghi atei, è convinta che non ci sia nulla dopo la morte e ignora le preoccupazioni degli umili e dei diseredati, considerando le loro certezze religiose una favoletta infantile. Questo ceto ricco e privilegiato, pronto a perpetrare le peggiori perversioni pur di assecondare l’avanzamento degli studi scientifici, è infatti lo stesso a lottare per l’Anatomy Act, il provvedimento in risposta al commercio illegale di salme con il quale, dal 1832, il parlamento del Regno Unito diede la possibilità a medici, insegnanti di anatomia e studenti di medicina di dissezionare i cadaveri donati alla scienza.
In questo modo, quando lo stesso John Marlott viene incastrato e condannato a morte per un crimine di cui non è colpevole, il suo corpo diventa presto materiale di studio, divenendo il primo esperimento riuscito di rianimazione di un corpo adulto. L’operazione, però, non è condotta con la normale procedura di dissezione e sutura, bensì con quella che oggi chiameremmo sperimentazione su cellule staminali. Uno dei fautori della sperimentazione, Lord Daniel Hervey, nell’episodio 06 dice: «Forse vi aspettavate l’elettricità. Le chiavi della vita si trovano più in profondità, molto più in profondità. Dentro di noi. Non intorno. Il mio maestro, Johann Dippel, odiava i chirurghi quanto me. Voleva comprendere la vita, così ho studiato con lui la nascita, la gestazione, la generazione. Quando ho eliminato il bambino di quella povera ragazza, stavo raccogliendo la materia prima per il mio lavoro. La sostanza che ti ha riportato indietro dalla tomba proveniva dal suo feto e da migliaia di altri simili».
Nonostante l’ateismo sia anche la bandiera dietro la quale si nasconde, spesso, la perversione di uno strato sociale che non esita a compiere crimini orribili per i suoi interessi e gioca a sostituirsi proprio al creatore al quale dichiara tanto fermamente di non credere, è la stessa mancanza di prospettiva religiosa che spinge la persona raziocinante alla curiosità e alla ricerca di soluzioni più realistiche. Lo scetticismo, la razionalità costringono gli uomini e le donne a porsi ulteriori domande e a imboccare ogni strada percorribile, pur di trovare delle risposte. Le nuove conoscenze e lo slancio scientifico instillano il dubbio in una verità finora indiscussa, e fanno esclamare a un uomo come Marlott, un tempo devoto: «Se i morti risorgono dalle loro tombe non significa forse che è arrivato per noi il giudizio di dio?»
Allo stesso modo, la serie costringe lo spettatore a interrogarsi su temi complessi e annosi quali la moralità della ricerca medica e il conflitto della fede in dio con la modernità, intesa come razionalità e progresso scientifico e tecnologico. L’umanità di Tfc è sul ciglio di un’epoca in cui sta cominciando ad autodeterminare la propria esistenza e a gestire in autonomia diverse scelte cruciali, inclusa quella della vita eterna. In un quadro simile, l’ordine istituito dalla religione diventa superfluo, così come la figura di una divinità il cui giudizio non è più percepito come minaccioso, a fronte della nuova, crescente fede nel progresso e nella medicina.
In ogni caso, il monito degli ideatori riguarda la moralità di chi, superata l’idea divina, si occupa di risolvere questioni quali l’etica e la bioetica, l’eterna solitudine e lo smarrimento dell’uomo che ha raggiunto l’immortalità o il tema dell’ingiustizia pubblica, della proprietà dei cadaveri, della profonda frattura tra ceti sociali, della questione dell’aborto. In questo crogiolo di stimoli e spunti di riflessione, c’è spazio per i personaggi rigorosi di prendere le dovute distanze dal dogma religioso e di guardare con diffidenza quanto non era stato messo in discussione, cominciando a scalfire l’imperscrutabile “potere di dio” e a scombinare i suoi piani, fino a quel momento indiscutibili.
Approfondimenti
it.wikipedia.org/wiki/The_Frankenstein_Chronicles
anthropoetics.ucla.edu/ap1301/1301frank2
en.wikipedia.org/wiki/Anatomy_Act_1832
it.wikipedia.org/wiki/La_necessit%C3%A0_dell%27ateismo
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Non so.
Non credo che guarderò la serie, come non ne seguo moltissime altre, non essendo un appassionato di serie televisive.
Il punto è un altro. Messa così, sembra quasi la solita tirata di ateismo crudele e senza scrupoli né anima capace di compiere le peggiori atrocità contro religione sì, non molto migliore, ma comunque meno peggio ciò che potrebbe succedere in sua vece o mancanza. Più che sul conflitto scienza/religione, sempre per come spiega l’articolo, sembra un classico “con la religione certe cose si evitano vs senza invece cadono tutti i freni inibitori e ci uccideremo tutti l’un l’altro” che sappiamo bene essere fallace, oltre che storicamente falso. Ma ovviamente, non ho ancora visto la serie. Che non guarderò. Chi la seguirà, potrà smentirmi o confermarmi.
Buona visione.
Corrige: peggio DI ciò.
Magister,
«…con la religione certe cose si evitano…»
Questa è una fallacia che in pratica vale “se fossimo tutti cattolici avremmo la pace universale”.
Certo! Se la pensassimo tutti allo stesso modo non ci sarebbero conflitti: ma vale anche
“se fossimo tutti nazisti” e anche con “se fossimo tutti talebani”. È una verità della sora Lella.
Non credo che la Città del Male accetterebbe una simile società, dove tutti sono d’accordo
e tutti sanno quello che sanno gli altri, quindi nessuno può prevalere – soprattutto spacciarsi
per rappresentante di dio – e fare la parte del fenomeno: impartire magheggi-sacramenti
o operare magheggi-transustanziazioni e nemmeno minacciare magheggi-scomunica. Che dici?
Dico che sono d’accordo, Emperor, solo che il tuo discorso è generale, io mi riferivo nello specifico alla serie, comunque sì. Per la sacra cosca, in realtà lo predica, un mondo dove tutti “si vogliono bene” eccetera; ma sappiamo anche che non ha mai praticato ciò che rsccomanda di fare agli altri.
Mi limito ad affermare che la maggioranza dei programmi televisivi, particolarmente gli italiani, rimbecilliscono o alienano le persone. Pochissime sono le reti che trasmettono programmi veramente culturali, non metafisici….
“Se Dio non esiste, tutto è permesso.” In questa frase, Dostoevskij pretende che solo i credenti sono dotati di moralità. Jean-Paul Sartre ha utilizzato questa idea per spiegare che un credente è morale a causa degli enunciati divini in cui crede, mentre un uomo senza dio è di una totale indeterminazione, un “condannato della libertà”…..
La mia opinione è un po’ diversa : L’uomo che afferma : « Se Dio è morto, niente non ha più senso, qualsiasi comportamento è permesso », è un bambino viziato (o forse sadico o psicopatico) che non ha conosciuto la miseria e la sofferenza umana e mai rivolto uno sguardo di compassione sui suoi simili….
In un ragionamento laico, per contro, potremmo evocare le pressioni culturali che spiegano perché il 99% degli egiziani oggi pensa che un uomo senza dio sia immorale, mentre solo il 17% dei francesi la pensa così…
L’uomo secondo cui “senza Dio tutto è permesso nulla ha senso” è un deficiente immaturo incapace di orientarsi autonomamente nel labirinto della morale, bisognoso di una guida spirituale di cui rischia di divenire colpevole burattino. Ho paura di questa gente, poiché nella migliore delle ipotesi diventano ebeti adoratori di statuine lacrimanti, nella peggiore si imbottiscono felicemente di esplosivo.
Da incorniciare.
In realtà dal punto di vista di un credente che non riesce a concepire un mondo senza credere, senza regole religiose, ha un senso. Ma è un suo problema che pretende sia di tutti e che abbia validità universale. Basta inoltre vedere che anche dio non avrebbe uniformità di vedute, sia nel tempo che nello spazio, e che quindi anche con dio non ci sarebbero punti fermi, basta cambiare religione o interpretazione della religione o aspettare semplicemente un po’.
A proposito di conflitto tra scienza e religiosità :
L’universo, come ogni spettacolo, è definito dall’osservatore, ma l’effetto osservato (tranne casi di patologie mentali!) deve essere lo stesso per tutti, ovviamente, qualunque sia l’osservatore. È la persistenza dell’effetto, indipendentemente dal sesso, dalla cultura e dai sentimenti dell’osservatore, che ci unisce. Altrimenti, perdiamo l’aggettivo “scientifico”.
La scienza non è quindi né oggettiva né soggettiva, ma intersoggettiva. Questa comunità di osservazione, che conduce necessariamente alle stesse conclusioni, è la nostra sola forza, la nostra unica garanzia -mai assoluta- attualmente disponibile.