La croce che divide e discrimina

Ora che il nuovo anno scolastico è iniziato, staremo a vedere se la recente sentenza della Cassazione sul crocifisso in classe produrrà degli effetti, e quali. La mattina di venerdì 10 settembre alcuni giornali le hanno concesso grande spazio, poi è calato perlopiù il silenzio. Il principio ispiratore della via “mite” è stato in genere accolto con compiacimento, ma per motivi spesso opposti (in sordina si sentono voci perplesse, anzitutto per il caotico affastellarsi di simboli che rischia di profilarsi: allora togliamoli tutti, ora deve intervenire il Parlamento, è un infelice compromesso, smuriamo i crocifissi dalle aule). Non sono mancate titolazioni reticenti o confusionarie, sia pure magari in perfetta buona fede. E molti lettori, si sa, leggono solo quelle. Subito intanto, tradotte in slogan pronti all’uso, hanno attraversato i social. Le cronache peraltro non sempre sono state molto più rispettose dei fatti.

Restiamo all’edicola di venerdì scorso. “Repubblica”, secondo quotidiano italiano per numero di vendite, riporta in cronaca un’intervista al prof. Coppoli, ma soltanto nella versione on line e solo per gli abbonati. Il “Fatto” si sforza un po’ di più con un piccolo trafiletto dedicato, mentre on line rende accessibile a tutti un intervento di Corlazzoli dall’opportuno titolo liberatorio: “Finalmente potrò chiedere di togliere il crocifisso dall’aula!”. Il “Corriere della Sera”, primo quotidiano, dedica alla questione due intere paginate. L’articolo principale (di Alessandra Arachi in versione imparziale) occupa la pagina dieci, con una civetta in prima, è informativo e cita pure le parole di Adele Orioli per l’Uaar. È completa anche la titolazione, nonostante le necessità di sintesi: “La scuola decide in autonomia ma deve mediare con chi dissente”.

In evidenza si riportano le opinioni del Centro Studi “Livatino” e di Giorgia Meloni, mentre tutta la pagina undici è consacrata a un’intervista in ginocchio all’arcivescovo e teologo Bruno Forte. Di fronte, a fare da contraltare, un piccolo ritratto demonizzante Coppoli (della Arachi in versione faziosa): foto con espressione torva, fedina scolastica macchiata anche da “dodici giorni di sospensione per aver rifiutato di far entrare nella sua classe le squadre cinofile per un controllo antidroga”, ora “festeggia in riunione con i no pass”, e sorvolerebbe “sul fatto che la Cassazione ha stabilito che quel crocifisso in classe non era affatto discriminatorio nei suoi confronti, negandogli il risarcimento richiesto”. Soprattutto, insomma, questa mania di togliere o coprire il crocifisso: “Un comportamento che gli era costato una sospensione di trenta giorni senza stipendio, una denuncia alla Procura della Repubblica e un deferimento davanti all’organo di disciplina del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, con il rischio del licenziamento”. Qui però è l’articolista a sorvolare sul fatto che la Cassazione ha infine dichiarato illegittime tali sanzioni, lecito per il docente opporsi all’affissione del crocifisso, e discriminatoria l’affissione stessa se obbligatoria, autoritativa o incurante dell’opinione delle minoranze interessate (a cominciare dal docente stesso).

“Avvenire” è il quotidiano che assegna maggiore importanza alla sentenza. Apre con “La Croce che unisce” in taglio alto e, nel sommario, “La Cassazione respinge il ricorso di un insegnante: il crocifisso non discrimina, è simbolo di esperienza di una comunità e tradizione culturale di un popolo”. Poi le prime righe: “Esporre il crocifisso nelle scuole non è una condotta discriminatoria. Lo ha stabilito la Suprema Corte…”. A fianco, l’articolo di fondo: “Ma la libertà non è negativa”. I testi occupano l’intera settima pagina e una porzione della seconda. In una scheda che pretende di ricostruire “il fatto”, si legge che il docente “Soccombe definitivamente nella battaglia legale”. Per la Cei è interpellato mons. Russo: “i giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni, ma è espressione di un sentire comune”; parole che devono aver ispirato il titolo di apertura.

Il costituzionalista Filippo Vari dell’Università Europea di Roma (della congregazione dei Legionari di Cristo), intervistato, rileva incertezze sul versante pratico, in particolare se qualcuno chiederà di togliere il crocifisso dalla propria aula. Allo stesso tempo lamenta: “Sarebbe stato possibile per gli organi rappresentativi scegliere una soluzione. Qui invece è la Cassazione che ha creato la regola”. Viene da chiedersi se la sentenza sia stata letta da quanti se ne occupano, e vengono in mente alcune rettifiche spicciole: non si tratta genericamente di “Croce” ma del crocifisso cattolico; non si dice affatto che unisce e non discrimina mai, dipende; si afferma proprio la libertà negativa dei non credenti, che ricade sotto la libertà di religione, al pari di quella dei credenti; Coppoli non soccombe affatto, anzi riceve finalmente giustizia; i giudici non confermano che il crocifisso sia “espressione di un sentire comune”, riconoscono soltanto che alla sua affissione “si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”, il che non impedisce che si creino di fatto “divisioni o contrapposizioni”, come il caso di specie dimostra; gli “organi rappresentativi” finora non hanno mostrato alcun interesse alla regolamentazione delle affissioni scolastiche (lo stesso crocifisso è previsto soltanto da due regi decreti risalenti al Ventennio, per il resto capita già di veder affisso un po’ di tutto); il Parlamento resta naturalmente liberissimo di intervenire in materia, nel rispetto però dei principi di laicità, uguaglianza, libertà, pluralismo ecc., senza imporre il mero criterio quantitativo o numerico, cioè la tirannia della maggioranza.

La Cassazione non ha prescritto nuove regole, ha proposto dei semplici suggerimenti, in una situazione come quella in esame si sarebbe potuto ad esempio: (a) affiggere qualche altro simbolo alternativo o una frase emblematica, magari di impronta laica; (b) collocare altrove il crocifisso, non alle spalle del docente; (c) rimuovere momentaneamente il crocifisso stesso. E, tutto sommato, le autonome azioni di Coppoli andavano già in questa giusta direzione.

Il “Giornale” dedica alla vicenda l’articolo di spalla dal significativo titolo “La Cassazione mette in croce il laicismo”. L’autore ce l’ha con la laicità e con la libertà di religione “negativa”, che ritiene espressioni di un aborrito e non meglio precisato “pensiero debole”. Appare poco interessato ai fatti e per nulla alla sentenza, infatti prende la tangente per le sue personali elucubrazioni teologiche: “Per una volta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto il patrimonio culturale che il crocefisso rappresenta… E dunque l’effigie del Cristo morente non è un atto di discriminazione… un uomo che (ci si creda o no) predicava il perdono e l’amore… un uomo che ha scelto la sofferenza e la morte a un comodo trono divino”.

Non molto diversamente fa Antonio Socci su “Libero” con “La Cassazione fa mettere il crocifisso ai voti”. L’esposizione del crocifisso non sarebbe un atto discriminatorio in quanto “ad esso si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”. Nell’aula scolastica rimanderebbe “alla nostra tradizione culturale e alla nostra identità nazionale”; e riguarderebbe “la nostra cultura, l’identità del nostro popolo, quindi tutti”. Questo perlomeno Socci ritiene di aver letto nella prima parte della sentenza, per cui si stupisce che poi, nella seconda parte, il crocifisso sia ridotto a mero “simbolo confessionale”.

Passa dunque a evocare le opinioni di Croce e Chabod a proposito della rilevanza storica del cristianesimo, come se ciò in qualche modo giustificasse la presenza del simbolo cattolico in classe. Al proposito può invece più pertinentemente citare le note parole di Natalia Ginzburg, che definisce “scrittrice ebrea” per cercare di conferire obiettività alle sue opinioni e nasconderne l’evidente fideismo (tra l’altro, la scrittrice certo non era ebrea in senso religioso: la madre in realtà era cattolica, e lei stessa non risulta essersi mai convertita).

Infine impercettibilmente compare il maiuscolo, dal crocifisso si passa al Crocifisso, dal manufatto all’uomo-dio. Qui ci limitiamo a ribadire che il carattere tradizionale dell’affissione del crocifisso non è richiamato dalla Cassazione per escluderne il carattere discriminatorio. È evidente che esistono tradizioni discriminatorie e discriminazioni tradizionali. L’affissione invece non è ritenuta discriminatoria quando sorga dalla stessa comunità interessata, nel caso nostro preferibilmente dalla singola classe che frequenta la specifica aula, e quando insieme tenga in pari conto dei diritti di quanti in quel simbolo non si riconoscono, pure se si trattasse di un singolo individuo, alunno o docente della classe.

La “Verità” arriva a titolare: “La Cassazione benedice il crocifisso” e, fra virgolette nel titolo: “Appenderlo in aula non discrimina”. Meglio il titolo del “Quotidiano nazionale” (ovvero: “Nazione”, “Carlino”, “Giorno”), ancora tra virgolette: “Crocifisso in classe? Solo se va bene a tutti”. Molto stringati il “Riformista” e la “Notizia”, che però sono corretti nei contenuti. Tra i quotidiani che hanno dato la notizia in modo ricco ed equilibrato, va segnalato il “Tempo”, fin dal titolo: “Sentenza rebus sul crocifisso”, con occhiello: “Può essere esposto «quando la comunità scolastica lo decide in autonomia», magari “accompagnandolo coi simboli di altre confessioni’”, e in sommario: “La scelta della Cassazione: «Appenderlo nelle classi non è discriminatorio ma non si può imporlo»”.

Il primo posto va alla “Stampa”. Assegna alla notizia il taglio medio in prima pagina, col titolo: “Perché il crocifisso in classe adesso non è più obbligatorio” e con le prime righe del bell’articolo, come suo solito, di Elena Loewenthal, che prosegue all’interno sotto il titolo: “Un compromesso non una rinuncia”. La cronaca invece è in altra pagina con titolo tra virgolette: “Crocifisso a scuola, l’obbligo è sbagliato. Si decida col dialogo”. Riassume con completezza, cita con equità sia la Cei che l’Uaar, e conclude con le parole di Coppoli. A proposito della Chiesa, rivela: “I presuli prendono favorevolmente atto che ci sarà una convivenza interreligiosa. Però la reazione è tiepida: sarebbe stata davvero festante – è la voce che emerge dai Sacri Palazzi – se fosse stato scritto che il crocifisso resterà nelle aule”. E sulla sentenza è una voce chiara e diretta: “Dunque non aveva ragione tredici e dodici anni fa il dirigente scolastico di un istituto professionale di Terni che, aderendo alla decisione presa a maggioranza dagli studenti di una terza classe, aveva ordinato l’esposizione della croce in quell’aula senza tentare un «ragionevole accomodamento»”. Finalmente.

Andrea Atzeni

 

 

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15 commenti

Maurizio

Trovo sbagliata la “soluzione” della rimozione del crocicchio da parte del docente dissidente: viene violato il principio della riservatezza delle credenze religiose. È inaudito che qualcuno debba essere costretto a manifestare il proprio credo (o il non credo) così platealmente, cosa di cui probabilmente farebbe volentieri a meno.
Torno a ripetere: NESSUN simbolo religioso nei luoghi pubblici. Libertà di appendersi al collo ciò che si vuole.

iguanarosa

Sono d’accordo. Il credo religioso o la mancanza di creduloneria religiosa fa parte dei dati personali sensibili.
Ma guarda che scempio ha fatto il “caro” Draghi con i nostri dati sensibili sanitari. Se siamo vaccinati o no dovremo sbandierarlo ai datori di lavoro o ai colleghi. O farci il tampone ogni due giorni, tanto per passatempo.

Mixtec

Qualcuno dovrebbe dire a Socci che si è Ebrei, riconosciuti da un rabbino, se si ha la madre ebrea: il padre non basta, anche se si chiama Levi ed è ebreo. Del resto “Natalia” richiama il Natale di Gesù, che è creduto il Messia dai Cristiani e non dagli Ebrei. Un ebreo non potrebbe chiamarsi né Natale, né Natalia. La madre di Natalia era cattolica: per gli Ebrei, Natalia faceva parte dei Goim, dei Gentili, anche se ha poi sposato un ebreo di origine russa, di cui ha mantenuto il cognome dopo esserne rimasta vedova.

Maurizio

Socci (e tanti altri) non distingue tra chi è ebreo di etnia e chi lo è anche per fede.
In inglese si usa correttamente Hebrew per il primo caso e Jewesh per il secondo.
Ovviamente nessuno potrà mai abbracciare la fede ebraica se non appartiene a quella stirpe. D’altronde Geova è stato molto chiaro sui termini del contratto: voi (ebrei) siete il mio popolo prescelto. Di fatto tutti i fedeli che accolgono la Bibbia come testo sacro non hanno ben compreso questo dettaglio che li esclude dal party di fine anno. E anche se Gesù ha detto diversamente, chi è lui per contraddire il Principale?

RobertoV

Secondo l’ufficio di statistica israeliano nel 2011 erano quasi tutti di religione ebraica gli ebrei residenti in Israele. Probabilmente l’ufficio di statistica è a livello dell’ufficio di propaganda Vaticano che ancora oggi sostiene che il 98 % degli italiani sia cattolico. Altre indagini ed in particolare l’indagine Gallup del 2015 dicono che gli israeliani di origine ebraica non sono più tanto religiosi e che addirittura due su tre si dichiarano non religiosi o atei con solo il 30 % che si dichiara apertamente religioso.
Non so quale sia la situazione degli ebrei nel mondo, ma è abbastanza noto, come anche Moni Ovadia confermava, che solo una parte è effettivamente anche di religione ebraica. Inoltre ci si dimentica sempre che gli ebrei convertiti al cristianesimo sono frutto di secolari e pesanti persecuzioni e discriminazioni proprio per ottenere la loro conversione al cristianesimo, spesso apparente. Quindi quanto sono credibili le affermazioni di un ebreo convertito in un regime confessionale o clericale discriminatorio?

pendesini alessandro

Per gli ebrei, ed è scritto più e più volte nei testi sacri, i goy (pagani o coloro che non sono di nazionalità israelita, Chi non è ebreo è goy), sono solo bestie. Rubarli non è un furto, ucciderli non è omicidio, violentarli non è stuprarli. Il crimine sui goy non è un crimine ma il diritto assoluto della razza superiore ebraica sui non ebrei…Sic !

Continuo inoltre a chiedermi : perché nei discorsi politici, negli articoli o commenti dei media fanno luce anche sulla più piccola questione che riguarda un ebreo, mentre lasciano nell’ombra disastri mille volte maggiori, ma privi di ebrei ?
La risposta non potrebbe essere : La grande maggioranza degli israeliani sono laici, o, come si definiscono, ebrei “laici”, che troppo spesso, da buon opportunisti, sfruttano la loro eredità religiosa per farne un discorso di giustificazione ideologica ?

Mixtec

Gli Ebrei “laici” circoncidono i loro figli?
Perché, se li circoncidono, tanto laici non sarebbero.
Immagino che tu accenni al caso riguardante Eitan: la zia paterna voleva mandarlo a scuola dalle suore cattoliche! Ed il nonno materno ha pensato: Eitan è ebreo e tra gli ebrei deve stare, nello stato in cui gli ebrei che sono in pericolo di maneggiamenti trovano rifugio.

Manlio Padovan

Col crocifisso nei luoghi pubblici siamo sempre all'”esterno fascismo italiano” già denunciato a suo tempo da Carlo Levi.
E a leggere “M/il figlio del secolo” di Antonio Scurati, si arguisce che il fascismo è salito al potere perché le istituzioni dello Stato, il governo nonché i prefetti e le forze dell’ordine (per esempio a pagg. 72 e 154) simpatizzavano per i fascisti fin dal 1919 che è l’anno in cui cominciano le loro azioni. Se consideriamo l’Arma dei carabinieri, più volte citata nel libro, posso aggiungere che lo storico Giuseppe Aragno, riferendosi al noto caso dei nostri tempi di Stefano Cucchi e di altri sventurati come lui, ricorda che l’Arma dei carabinieri era tanto presa dal vecchio regime fascista e monarchico che ci fu una proposta di scioglimento del parlamentare ”azionista” Guido Dorso: «grande meridionalista che conosceva bene la nostra storia e non usò mezze parole: se vogliamo costruire davvero una democrazia, sostenne Dorso nel 1945, occorre sciogliere l’Arma dei carabinieri». (G. Aragno L’Arma dei carabinieri e la democrazia malata 26/07/2020)
Qui, però, è opportuno dare una maggiore evidenza a quella denuncia di Carlo Levi inserendola in un contesto storico che appieno giustifichi «l’eterno fascismo italiano» che ancora ci assilla con la sua inciviltà.
Scrive Umberto Eco in “Il fascismo eterno” che la prima caratteristica del fascismo è il culto della tradizione. La religione cattolica costituiva un fattore di unità della nazione per il fascismo che, come regime politico, aveva fatto una scelta confessionale. Non c’è dubbio alcuno che, presso di noi, il cattolicesimo è la tradizione che più ha impregnato di sé le sorti del paese e che tuttora ne condiziona pervicacemente le vicissitudini politiche e sociali. Ciò dobbiamo alla presenza di uno Stato teocratico ed extracomunitario nel territorio del nostro Stato: lo Stato della città del Vaticano. Uno Stato che è un monstrum istituzionale in quanto metà Stato, con tutto ciò che ne consegue in termini di organizzazione, e metà ente religioso estero plutocratico esteso su tutto il globo. Uno Stato straniero che mai è stato seriamente condizionato e controllato nelle sue azioni politiche e sociali che svolge all’interno del nostro Stato; grazie ad una classe politica di cialtroni abbiamo dovuto sopportare sempre le sue ingerenze. E ciò facciamo anche se in una democrazia costituzionale l’identificazione dello Stato con una religione non è consentita. La presenza massiccia, incondizionata e pervasiva della chiesa cattolica e delle sue varie e numerose filiazioni, è la fonte di molti nostri problemi sempre attuali che si materializzano nell’eterno fascismo italiano. Ecco perché abbiamo una scuola di classe anziché una scuola democratica, una spesa pubblica appesantita in modo grave da regalie varie alla chiesa, un perdurante patriarcato padre della ordinaria violenza di genere, una corruzione endemica e dilagante, una sessuofobia diffusa, una negazione costante della laicità dello Stato e delle sue istituzioni, un rifiuto perenne dello spirito critico, un tradimento continuo della Costituzione e, ancora, una gestione dell’ordine pubblico e di quello carcerario in perfetto fascistissimo stile, che consente, oltre a pratiche di ordinaria barbarie, financo di conseguire impunemente raffinate operazioni di macelleria messicana.

RobertoV

La cosa vergognosa di questi sostenitori dell’identificazione degli italiani col cattolicesimo è che sorvolano o riscrivono la storia di come questo sia stato ottenuto. Nella loro narrazione sembra che sia stato un processo dal basso, in cui gli italiani abbiano voluto fermamente essere cattolici e non che siano stati pesantemente oppressi, perseguitati, costretti, indottrinati, educati e controllati in modo antidemocratico per comportarsi come tali e questo anche fino ad epoche recenti, con leggi liberticide e privilegi che favorivano un’unica religione e che continuano a favorire ancora oggi in un’epoca di presunta scelta, che nella realtà viene ostacolata ancora oggi. E a quella storia liberticida dovremmo essere legati e ricattati per l’eternità e ringraziare anche chi l’ha attuata e ne ha tratto enormi benefici.
E pretendono di imporre il simbolo araldico, oppressivo ed egemonico rappresentativo della sola religione cattolica che cercano di spacciare come universale quando non lo è neanche tra i cristiani, e simbolo di tolleranza dichiarato unilateralmente proprio dagli oppressori, nascondendolo dietro una presunta buona storia del protagonista, buona storia che non ha impedito di perpetuare secolari crimini in suo nome. In cosa sarebbero diversi oggi se continuano ad essere orgogliosi di quel passato e continuano a trarne i benefici?

Maurizio

L’editto di Tessalonìca, emesso il 27 febbraio 380, dichiara il cristianesimo la religione ufficiale dell’impero, proibisce in primo luogo l’arianesimo e i culti pagani. Nel 391-392 si inasprirono le proibizioni verso i culti pagani e i loro aderenti, dando il via a una vera e propria persecuzione del Paganesimo. Furono distrutti molti templi e vennero avallati atti di violenza contro il paganesimo.
Nel 416 Teodosio II stabilì che soltanto i cristiani potevano svolgere la funzione di giudice, rivestire cariche pubbliche ed arruolarsi nell’esercito. Nel 423 Teodosio II ordinò, per tutti coloro che persistevano a praticare religioni pagane, punizioni quali il carcere e la tortura.
Successivamente, l’imperatore Valentiniano III emanò (17 luglio 445) un editto che contribuì in maniera determinante all’affermazione dell’autorità e del primato della sede vescovile di Roma in Occidente. Questo editto, che non era valido nella parte orientale dell’Impero, riconosceva pienamente il primato giurisdizionale del papato, perché «Nulla deve essere fatto contro o senza l’autorità della Chiesa romana.

Qui mi sovviene la celebre affermazione di Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Risposta: perché non abbiamo studiato la storia. Lui per primo, evidentemente.

Manlio Padovan

In cui l’ipocrisia sta in quel doppio “non”.
D’altronde fu uno di quelli che, nonostante avesse studiato ma evidentemente senza capire, fu uno di quelli he applaudirono il fascismo.

Mixtec

A parte il fatto che uno che si chiamava “Croce” non poteva che essere un “Crociato Cristiano” (ah! fosse stato femmina si sarebbe chiamata “Benedetta Croce”, o “Croce Benedetta”), e che ricordo di aver letto lo scritto in oggetto e di non ricordarne niente di particolare (ovvero mi era sembrato che un parroco di borgata avrebbe argomentato meglio), si aspetta la risposta di qualche crociano che rivendichi l’antifascismo di Croce (ovviamente si potrà ricordare che l’antifascismo di Croce fu tale da non causargli alcuna reprimenda fisica o legale da parte del regime).

dissection

E giusto per ricordare quali sono le “radici cristiane” dell’Europa, a chi ama tanto sbandierarle. Mi viene da vomitare.

RobertoV

Visto che Croce lo scrive nel 1942 potremmo parafrasando dire “che non potevamo neanche dirci non fascisti”. Perché se guardiamo alla storia, anche recente, è stato fatto di tutto perché non potessimo dirci non cattolici (visto che perseguitarono e discriminarono per secoli anche gli altri cristiani non cattolici e gli ebrei ed instaurarono un sistema di controllo da cui la Stasi poteva solo imparare). Ed ancora 60 anni fa coi coniugi di Prato hanno dimostrato, e non se ne sono pentiti, che cosa comportasse il cercare di allontanarsi dal cattolicesimo. Ed oggi c’è la beffa che dovremmo anche ringraziare ed identificarci con quel sistema.
Stupisce sempre il numero di cortigiani impegnati a difendere il dominio oppressivo della chiesa cattolica, spacciandola anche come rappresentante legittimo del cristianesimo.
Quando si fa notare come sia stata costruita questa presunta appartenenza al cattolicesimo partono una serie di giustificazioni del tipo:
– è successo tanto tempo fa (ma non è vero perché fino a tutto l’ottocento la chiesa ha perseguitato e sostenuto le persecuzioni e dopo le discriminazioni);
– solo in qualche caso sono stati oppressivi ed era solo qualche mela marcia (discorsi visti con i missionari e la pedofilia), mentre invece è esattamente l’opposto, era un comportamento sistematico;
– la gente si è convertita spontaneamente in massa al cristianesimo: parlare di spontaneo in un regime oppressivo è una presa in giro, visto che fino ad epoche recenti hanno avuto bisogno di leggi liberticide e di controllo proprio per convertire ed impedirne l’abbandono. Basta vedere quello successo con gli ebrei per farli convertire al cristianesimo. La religione di stato non è mai stata una scelta del popolo, ma imposta dall’alto;
– ma anche gli altri hanno fatto lo stesso, cioè la classica assoluzione col pretesto che tutti colpevoli, nessuno colpevole. Ma anche accettando a livello storico questa analisi, non la giustifica per il presente, cioè non implica che quindi dobbiamo considerarlo giusto ed identificarci con esso, perché altrimenti dovremmo giustificare ed accettare anche oggi tutte le dittature ed i regimi antidemocratici perché la democrazia è un risultato recente e localizzato.

dissection

L’unico crocifisso che non discrimina è quello che non c’è. La smettano una buona volta.
(Seeeeehhh…)

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