Aborto: se i Repubblicani costruiscono consenso sul corpo delle donne

La decisione della Corte suprema Usa di non bloccare la nuova e particolarmente restrittiva legge del Texas in materia di aborto sta facendo molto discutere. I repubblicani sembrano aver capito come attrarre l’elettorato nochoice, senza per questo scontentare quell’ala dell’elettorato, che pure esiste, più progressista in materia.

Oggi, negli Stati Uniti, per i politici repubblicani e democratici è altrettanto cruciale ai fini elettorali essere rispettivamente nochoice e prochoice in materia di aborto, ma non è stato sempre così, anzi. Come ricostruiva qualche anno fa Sue Halpern recensendo sulla New York Review of Books il documentario Reversing Roe, «alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, molti repubblicani erano impegnati per liberalizzare e depenalizzare l’aborto: il partito prochoice era il loro mentre i democratici, con la loro vasta platea cattolica, rappresentavano l’opposizione.

Richard Nixon, Barry Goldwater, Gerald Ford e George H.W. Bush erano tutti prochoice e la cosa non costituiva un’anomalia nel partito. Nel 1972 un sondaggio Gallup rilevava che il 68 per cento dei repubblicani pensava che l’aborto fosse una questione privata tra una donna e il suo medico. Il governo, era l’idea, non avrebbe dovuto essere coinvolto».

Oggi le cose stanno diversamente. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, in generale la maggioranza della popolazione adulta statunitense (59%) pensa che l’aborto debba essere legale in tutti o quasi i casi ma la forbice tra elettori repubblicani e democratici è molto ampia (e si fa sempre più ampia). Se nel 2007 era il 63% dei democratici e il 39% dei repubblicani a essere prochoice oggi queste cifre sono rispettivamente dell’80 e del 35%, con una differenza di ben 55 punti percentuali.

La saldatura tra movimento antiabortista e Partito repubblicano è avvenuta negli anni Settanta e ha rimodellato il Partito, come dimostrano i dati appena presentati. Al punto che la posizione in merito alla possibilità di scelta in materia di aborto può probabilmente essere definita tra i più significativi predittori delle scelte dell’elettorato (assieme alla sensibilità nei confronti della questione razziale, tra le priorità assolute da affrontare per il 72% dei democratici e solo per il 24% dei repubblicani).

La strategia repubblicana a lungo termine, però, come ha rilevato in questi giorni Adam Serwer su The Atlantic, è sempre stata quella di coltivare un certo grado di incertezza sugli obiettivi del partito in materia, al fine di ridurre al minimo il contraccolpo politico. Perché se è vero che pochi cittadini statunitensi sono del tutto prochoice (25%), ancora meno sono coloro che sostengono che la procedura debba essere completamente illegale (13%).

Da un sondaggio del 2019 che chiedeva di esprimersi circa l’ipotesi di un ribaltamento della storica sentenza della Corte suprema Roe v. Wade (1973), con la quale le donne statunitensi hanno conquistato il diritto all’aborto, è emerso che i repubblicani sono divisi praticamente a metà, con il 50% che affermava di non voler vedere Roe v. Wade completamente ribaltata e il 48% che affermava di augurarselo.

Probabilmente è per questo che, come hanno rilevato in queste settimane diversi osservatori, i politici repubblicani si sono ben guardati dal commentare festosamente la recente decisione della Corte suprema di non bloccare la nuova e particolarmente restrittiva legge del Texas in materia di aborto: i repubblicani sembrano aver capito come attrarre l’elettorato nochoice, senza per questo scontentare l’ala più progressista del partito. Peccato che nei fatti ciò si traduca in un arretramento dei diritti delle donne. Sbandierato o meno che sia dai suoi fautori.

La redazione

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