Gli onerosi costi pubblici degli edifici religiosi

La costruzione di nuove chiese è finanziata con l’otto per mille, ma gli edifici di culto sono sovvenzionati anche dai Comuni. Un doppio spreco, denunciato da anni dall’Uaar. Abbiamo intervistato in proposito Roberto Vuilleumier, responsabile per la campagna oneri dell’Uaar, sul n. 1/2020 della rivista Nessun Dogma.
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La legge 10/1977 (più nota come “la Bucalossi”) introdusse il principio che, per costruire o ristrutturare edifici, è necessaria una concessione edilizia rilasciata dai Comuni, subordinata al pagamento degli oneri di urbanizzazione. Che servono a pagare le infrastrutture che l’amministrazione pubblica deve garantire al cittadino. Vi sono oneri primari (strade, fogne, reti dell’acqua, del gas e dell’elettricità) e oneri secondari: scuole, parchi, centri culturali. Ed edifici religiosi.

All’epoca le disposizioni in favore del culto potevano apparire giuridicamente fondate, anche a fronte di una carenza di fondamenti legislativi. Ma dal 1985 non hanno più ragione d’essere. Con le modifiche concordatarie del 1984 e l’approvazione della legge 222/1985, che regolamenta le modalità di finanziamento della chiesa cattolica (e che, ahinoi, ha introdotto l’otto per mille), si è infatti stabilito che il finanziamento delle nuove chiese deve avvenire attraverso i fondi raccolti attraverso tale meccanismo.

Il problema è che, sulla base della Bucalossi, le Regioni hanno stabilito, senza che la legge glielo imponesse, che i Comuni potessero (e in alcuni casi dovessero) continuare a destinare al culto una parte degli oneri di urbanizzazione secondaria, in genere il 7%. Sottraendoli così alle scuole pubbliche, al verde, ai centri ricreativi e sportivi. E pazienza per il principio, radicato nel nostro ordinamento, che prevede che le opere di urbanizzazione siano, nello stesso tempo, anche opere pubbliche rientranti, o destinate a rientrare, nel patrimonio dei Comuni. La religione, in Italia, fa sempre rima con eccezione.

Tale fiume di denaro è dunque assolutamente ingiustificato — e lo è ancora di più, se si guarda anche alla costante diminuzione di sacerdoti, messe e fedeli. Per questo motivo l’Uaar ha lanciato, nel 2007, la campagna Oneri. Le sue attività sono due: la raccolta di dati, per quantificare con la maggior accuratezza possibile le somme di denaro elargite a favore del culto (più del 90% a favore della chiesa cattolica), e una sempre maggior sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

La campagna ha ricevuto, qualche settimana fa, un brillante riscontro a Imola, dove l’amministrazione a guida M5S ha azzerato gli oneri di urbanizzazione secondaria a favore del culto [purtroppo ripristinati con delibera dopo qualche mese dal commissario straordinario e “cavaliere vaticano” Nicola Izzo, N.d.R.]. Ne parliamo con il responsabile della campagna, Roberto Vuilleumier: un socio quarantatreenne, imprenditore nel settore energetico.

Roberto, questo bel risultato dell’Uaar è stato conseguito proprio nella città in cui vivi. Non si tratterà certo di una coincidenza…

No, è stato il frutto di un lavoro che ho iniziato nel 2013 e che, per semplificare, potrei definire di “sensibilizzazione” politica. All’inizio rispose positivamente solo M5S, che era all’opposizione — nel 2018 è però diventato maggioranza.

Il sindaco e il vicesindaco sono dichiaratamente cattolici – e, a quanto si intuisce, cattolici praticanti: ha rappresentato un ostacolo?

No, quella dell’Uaar non è una battaglia contro la fede religiosa, ma contro i privilegi riconosciuti dalla politica alle fedi religiose, in particolare — ovviamente — a quella cattolica.

Gli edifici religiosi possono ricevere fondi pubblici sia grazie all’otto per mille, sia attraverso gli oneri di urbanizzazione. Ma è legittimo che accada?

Non proprio. La normativa dell’otto per mille fa esclusivo riferimento a nuove chiese: se vuoi costruirne una, puoi usare i soldi dall’otto per mille; se la vuoi ristrutturare, i soldi li dovresti prendere tutti dalle tue tasche. Non esiste alcuna norma nazionale che obblighi a concedere un contributo per gli edifici di culto. Capita invece che gli oneri di urbanizzazione vengano utilizzati non solo per le ristrutturazioni, ma persino per le manutenzioni.

L’Uaar non ha pensato a un’iniziativa giuridica per porre fine a questo andazzo?

Non è purtroppo facile andare al di là degli esposti alla Corte dei conti. La normativa è — tanto per cambiare — ingarbugliata: la 222/1985 rimanda alla Bucalossi, che nella parte che riguarda gli oneri di urbanizzazione è stata però sostituita dal Dpr 380/2001 (il testo unico delle disposizioni in materia edilizia). La disciplina regionale è a sua volta estremamente variegata. È vero che alcune sentenze hanno riconosciuto che la normativa dell’otto per mille basta e avanza, e che non c’è quindi alcun dovere di mantenere altri rivoli di finanziamento, ma si sono potute ottenere solo grazie all’iniziativa di alcuni Comuni. La strada maestra è quindi quella politica, e non soltanto a livello locale. Il parlamento può risolvere facilmente la questione: basta elidere l’inciso “chiese ed altri edifici religiosi” dal Dpr 380.

Facile a dirsi, più difficile a farsi. Qualche parlamentare ci ha provato?

Sì, nella scorsa legislatura ci provò l’on. Mara Mucci con l’aiuto di Ivan Catalano del gruppo misto, all’opposizione del governo Gentiloni. L’emendamento arrivò sino alla votazione ma venne poi letteralmente “saltato”.

C’è un partito più sensibile di altri?

I cinquestelle hanno ripreso le nostre istanze in varie regioni e sono ora al governo con la maggioranza relativa. Da loro, visto quanto deciso a Imola, mi attendo una battaglia in parlamento: in concreto, si tratta di mettere in discussione un emendamento alla legge di bilancio che modifichi il testo unico. Approvandolo, lo stato risparmierebbe cento milioni l’anno, un miliardo ogni dieci anni. Una cifra enorme che potrebbe essere destinata ad asili nido, scuole, impianti sportivi, aree verdi, strutture culturali e sanitarie.

E a livello locale, cosa si può fare?

Si possono spingere i Comuni ad azzerare completamente gli oneri. È sicuramente più facile farlo in quelle regioni che non hanno imposto l’assegnazione al culto di parte degli oneri. Nel frattempo affiniamo continuamente i dati che ci vengono trasmessi dal territorio.

Cosa risponderesti a un semplice cittadino con tanta voglia di darti una mano?

Cerca ogni tipo di privilegio dato al culto e portami le prove.

Quali saranno i prossimi passi della campagna?

Sto girando l’Italia per aiutare a comprendere meglio il fenomeno, informando e suggerendo agli attivisti un approccio più “politico”. Senza la sensibilizzazione, la collaborazione e il coinvolgimento dei politici locali non si possono al momento conseguire risultati significativi. Ma con coraggio e determinazione, come dimostrato a Imola, “si può fare”!

Intervista a Roberto Vuilleumier

 

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4 commenti

laverdure

“No, quella dell’Uaar non è una battaglia contro la fede religiosa, ma contro i privilegi riconosciuti dalla politica alle fedi religiose, in particolare — ovviamente — a quella cattolica.”

Precisazione importante,ma quanti membri “attivi” (vale a dire non semplici fedeli)
di qualunque organizzazione religiosa sarebbero disposti a mostrare rispetto per questo discorso ?E per chi lo esterna ?

pendesini alessandro

Appunto ! Questo è il problema che cerca di risolvere l’UAAR e organizzazioni simili che guardano nelle stessa direzione ! Dopotutto “Tentar non nuoce” diceva mio nonno…..
E se aspetto che siano gli altri, o il vicino di casa a tentare cambiamenti radicali di paradigma verso una società più giusta, stiamo freschi ! Va inoltre notato che la rigidità mentale non è mai (tranne casi patologici) totalmente irreversibile ! Ed è proprio questo che stimola la mia volontà, ma non solamente di militare contro qualsiasi tipo di abuso intollerabile, per non dire esecrabile dal punto di vista etico !

laverdure

Veramente nel caso dei “membri attivi”,con cui intendevo membri del clero o “collaboratori” laici,piu’ che di rigidita mentale si tratterebbe semplicemente di interesse e
opportunismo.
Contro i quali i richiami etici contano poco.

RobertoV

Lodevoli queste informazioni sui costi della chiesa. Purtroppo temo che facciano presa solo su chi è già predisposto ad ascoltare.
Questo perché siamo immersi in una intensa propaganda mediatica a favore della chiesa cattolica che giustifica ogni cosa e perché l’italiano medio è conservatore ed abitudinario, è sempre difficile cambiare qualcosa.
Così nonostante la maggior parte degli italiani sia critica verso la chiesa cattolica accetta le classiche vulgate sulla chiesa che fa del bene, in modo disinteressato, che è la nostra cultura, che usa le sue ricchezze per aiutare (senza porsi il problema che sono duemila anni che aiuterebbe eppure è sempre più ricca), ecc.
Basti pensare anche a questa pandemia in cui quante volte ci hanno pubblicizzato l’aumento di aiuti da parte della chiesa cattolica e della caritas senza specificare a quanto ammonterebbero effettivamente (e se di tasca loro) in termini assoluti rispetto ai contributi sociali del “cattivo” stato: così in molti credono che aumentando gli aiuti di qualche milione di euro, lo stato sociale italiano sia sorretto dalla chiesa cattolica, quando invece rappresenta solo una minima parte delle cifre in gioco che sono parecchi miliardi di euro, oltre a non spiegare mai quanti siano i guadagni della chiesa cattolica con queste attività dipinte come disinteressate, come per i missionari. Per non parlare degli ospedali o delle scuole cattoliche presentati come opere pie a favore della società e non attività interessate della chiesa cattolica e funzionali ai suoi interessi. Oppure come della chiesa cattolica oggi presentata come l’avanguardia ecologista per la salvezza del pianeta (senza ovviamente tirare fuori un soldo ed aver contribuito in passato proprio alla sua spoliazione).
Inoltre è passato il messaggio che tutte le chiese siano opere d’arte (e quindi come è possibile negare aiuti per delle opere d’arte?) e che gli oratori siano centri indispensabili per la nostra società e quindi meritevoli di sovvenzioni.
Credo, quindi, che l’informazione dovrebbe essere un po’ a tutto campo per inserire questi costi in una strategia complessiva di delegittimazione dei vari privilegi.

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