Oltre che filosofo laico umanista, Bertrand Russell è stato anche (e non solo) matematico, attivista e pensatore liberale. Riassumere in poche pagine la sua vita e il suo pensiero è infatti una vera impresa. Ci offre una panoramica Giovanni Gaetani sul numero 2/2020 della rivista Nessun Dogma.
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Ricordare Bertrand Russell a 50 anni dalla sua scomparsa significa innanzitutto porsi la domanda: quale Russell vogliamo ricordare? Perché Russell è stato davvero tutto: logico, matematico, filosofo e storico della filosofia, umanista agnostico e critico delle religioni, moralista e critico della società, intellettuale dissidente, attivista progressista, pensatore socialista e liberale – combinazione, quest’ultima, che oggi sembra quasi impensabile. In tal senso, riassumere in poche pagine la sua vita e il suo pensiero è infatti un’impresa vana, ma anche indegna. Perché Russell, parafrasando Whitman, è stato davvero “ampio” e ha “contenuto moltitudini”, vista la capacità di spostare in lungo e in largo la lente d’ingrandimento del suo intelletto, nello spazio come nel tempo.
Nel tempo, sì, perché una condizione necessaria (ma non sufficiente) della grandezza di Russell è stata proprio la sua longevità. Vissuto tra il 1872 e il 1970, la sua vita si è estesa per 98 anni durante i quali c’è stato davvero di tutto: la seconda rivoluzione industriale, due guerre mondiali, l’avvento dei totalitarismi, il boom demografico che ha portato la popolazione mondiale da uno a tre miliardi e mezzo di persone, Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, la costruzione del Muro di Berlino, il ‘68, etc.
Questi eventi non hanno mai lasciato Russell indifferente, anche quando sfuggivano del tutto alla presa del suo razionalismo. È Russell stesso a esprimersi così nel 1961, nella Prefazione alla prima raccolta dei suoi scritti essenziali: «Il mondo nel quale ho vissuto è stato un mondo che è cambiato in maniera estremamente rapida. Alcuni di questi cambiamenti sono stati tali da poter essere accolti positivamente, altri invece ho potuto comprenderli soltanto prendendo in prestito le categorie del dramma tragico. Non potrei accogliere calorosamente nessuna raccolta dei miei scritti che facesse passare l’idea di essere stato indifferente alle incredibili trasformazioni alle quali, nel bene come nel male, ho avuto la fortuna di assistere».
Ma la fortuna di vivere a lungo in un’epoca interessante non basta a fare la grandezza di un intellettuale – specialmente di quegli intellettuali che, alle millenarie consolazioni della religione e della tradizione, preferiscono gli spazi inesplorati dell’umanismo e del progresso. Russell era uno di loro, ed era ben consapevole di quanto fosse difficile il suo compito. Come scrisse in un testo critico del 1923, Le prospettive della civiltà industriale: «per salvare il mondo c’è bisogno di fede e coraggio: fede nella ragione, e coraggio per affermare apertamente ciò che la ragione ci dice essere vero».
A tal riguardo, Russell non si tirò mai indietro, anche quando gli esiti favorevoli del suo impegno erano against all odds. Ad esempio quando per ben tre volte si candidò come parlamentare (nel 1907, 1922 e 1923) e per ben tre volte fallì nell’impresa. Avrebbe forse fallito anche una quarta volta, nel 1910, se non fosse che il Partito Liberale (sic!) non lo candidò a causa del suo “ateismo” – e questo dovrebbe aiutare a rendere l’idea dei “tempi bui” nei quali visse l’agnostico Russell.
Tempi bui nei quali, allo scoppio della prima guerra mondiale, Russell scelse la via minoritaria e rischiosa del pacifismo, “arruolandosi” nelle fila della No-Conscription Fellowship, un gruppo a favore dell’obiezione di coscienza contro la leva militare. Questa scelta gli costò tantissimo in termini economici, di libertà e di reputazione. Nel 1916, ad esempio, venne cacciato dal Trinity College di Cambridge per aver scritto un pamphlet in difesa di un obiettore di coscienza, Ernest Everett. Il pamphlet gli costò anche una multa di £100 per “ostacolo alla leva e alla disciplina”. Ora, £100 possono sembrare pochi oggi, ma nel 1914 corrispondevano a quasi €12.000. Quando Russell si rifiutò di pagare la multa, le autorità giudiziarie misero all’asta la sua enorme libreria. La quale però – colpo di scena – venne comprata dagli amici di Russell stesso.
Due anni dopo il caso Everett, Russell passò sei mesi in prigione, nel carcere di Brixton. Fu condannato per aver scritto un articolo nel quale, citando un’investigazione parlamentare, sostenne che dei soldati americani fossero stati impiegati dal governo britannico per intimidire degli operai in sciopero. In prigione Russell non si scoraggiò e scrisse un libro, Introduzione alla filosofia della matematica, anche se a onor del vero bisogna dire che, grazie alle pressioni di alcuni amici, la pena venne convertita dalla Second alla First Division, una sorta di carcere agevolato.
Vennero poi gli anni dei viaggi in Cina e in Russia per studiare di persona i regimi comunisti. I tour di conferenze negli Stati Uniti. Il famoso discorso “Perché non sono cristiano”, pronunciato a Londra nel 1927 durante un incontro della National Secular Society, organizzazione che ancora oggi combatte per la difesa della laicità britannica. E venne poi una serie di libri “scandalosi” – per l’epoca ovviamente – nei quali Russell osò toccare il tasto dolente di ogni epoca e società: la sfera amorosa e sessuale dell’individuo.
In libri come L’educazione dei figli (1926) e Matrimonio e morale (1929) sostenne, ad esempio, che il desiderio sessuale sia «un bisogno naturale, come il mangiare e il bere»; che solo una maggiore educazione e libertà sessuale avrebbero posto rimedio ai disordini sessuali; che la società fosse letteralmente ossessionata dall’adulterio, arrivando persino a criminalizzarlo; che il matrimonio di stampo vittoriano fosse anacronistico e fonte di infelicità, specialmente per la donna – e Russell ne sapeva qualcosa, visto che si sposò ben quattro volte in vita sua. In un testo altrettanto importante di quegli anni (In cosa credo, 1925) si spinse “così lontano” da sostenere che «in assenza di figli, i rapporti sessuali sono un fatto puramente privato, che non riguarda né lo Stato né i vicini».
Furono proprio queste “indecenti” posizioni, assieme al suo “ateismo”, a costargli l’insegnamento al City College di New York nel 1941. La “grottesca” vicenda politica e giudiziaria meriterebbe un articolo a parte ed è un peccato non poterla riportare qui (consiglio a tal riguardo il saggio di Simon Blackburn posto in appendice a Why I am not a Christian – Routledge, 2004). In quell’occasione Russell venne infatti accusato di tutto: “erotomania”, “nichilismo”, “immoralità”, “ottusità” – e persino di “comunismo” (sic!). E a chi, come il New York Times, gli disse che avrebbe dovuto fare “un passo indietro” anzitempo, Russell rispose sostenendo che certamente, da un punto di vista personale, sarebbe stato “più saggio” fare quel passo indietro. Ma quel passo indietro sarebbe stato “da codardi”: ritirandosi, avrebbe infatti acconsentito al principio che un qualsiasi gruppo di potere (la Chiesa Protestante Episcopale in quel caso) avesse il diritto di censura su individui e minoranze di ogni tipo.
Nel 1950 Russell venne insignito del Nobel per la letteratura. Nessuno protestò in quel caso. Intervistato dalla BBC qualche anno dopo, inviò un semplice messaggio all’umanità del 2959: «L’amore è saggio, l’odio è folle. In questo mondo, che sta diventando sempre più interconnesso, dobbiamo imparare a tollerarci l’un l’altro […] accettando il fatto che qualcuno dica cose che non ci piacciono. Solo così potremo vivere insieme. Se vogliamo vivere insieme, e non morire insieme, dobbiamo imparare una qualche forma di carità e tolleranza, che sono assolutamente vitali per la prosecuzione della vita umana su questo pianeta».
Russell morì il 2 febbraio 1970, non prima di aver passato, ormai novantenne, un’altra settimana in carcere per aver capitanato una manifestazione a favore del disarmo nucleare incondizionato. C’è una foto di quel giorno che ci dice meglio di qualsiasi altra parola chi fosse: cappotto, giacca, cravatta, gilet, seduto a terra, sotto gli sguardi della polizia; le gambe accavallate, le mani e il cappello sulle gambe, e una faccia che vale più di qualsiasi manifesto.
Giovanni Gaetani
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Qualche osservazioni :
« L’amore è saggio, l’odio è folle » Russel dixit…
Ritengo che sarebbe interessante sapere cosa intendeva dire per « amore » e « odio » oltre che essere delle caratteristiche prettamente umane !
Inoltre cosa intende dire con la frase «per salvare il mondo c’è bisogno di fede e coraggio: fede nella ragione, e coraggio per affermare apertamente ciò che la ragione ci dice essere vero» ?
… « il Partito Liberale (sic!) non lo candidò a causa del suo “ateismo” – e questo dovrebbe aiutare a rendere l’idea dei “tempi bui” nei quali visse l’agnostico Russell »….. Poiché Russel si dichiarava filosoficamente agnostico ed in pratica ateo. A me sembra che questo ragionamento contenga un ossimoro ! Domanda : Russel era, in definitiva, agnostico o ateo ?
P.S. Bertrand Russel sottolineava che pensatori come lui ammettono onestamente che « l’intelletto umano non è in grado di fornire risposte definitive a molte delle domande essenziali per l’umanità, ma che si rifiutano di credere che esista un percorso “superiore” della conoscenza attraverso il quale possiamo scoprire verità nascoste alla scienza e all’intelligenza »….. C’è un mondo di differenza tra queste due asserzioni, tra l’affermazione caricaturale che la scienza non conosce limiti, e la modesta idea che ciò che possiamo veramente sapere, lo conosciamo tramite mezzi scientifici, ovviamente mai dfinitivi ed ancora meno assoluti…
Se da un lato sarebbe assurdo sminuire i numerosi importanti lati positivi della figura di Russell,direi che e’ opportuno,esattamente come con qualunque altro personaggio analogo,NESSUNO escluso,rinunciare ad una analisi critica che tenga conto anche degli inevitabili punti meno onorifici.
Ne cito uno solo : nel ’39,in un suo articolo,sostenne che il disarmo unilaterale della Gran Bretagna sarebbe stata la politica migliore per affrontare il sempre piu’ teso rapporto con la Germania di Hitler.
Una opinione ,notare bene,non molto poi distante da quella di numerosi sostenitori dell'”appeasement ad ogni costo”,che contavano nelle loro file numerosi personaggi di alto livello,primo far tutti il Primo Ministro Neville Chamberlain (l’uomo con l’ombrello !).
Ma che i fatti dimostrarono clamorosamente e totalmente errata,senza possibilita di appello.
E dalle conseguenze che sarebbe un eufemismo definire tragiche,anche se di questo non credo si possano attribuire responsabilita al personaggio in questione.
Fu semplicemente l’ennesima dimostrazione del detto : “Di buone intenzioni e’ lastricata la via dell’inferno !”
Corrige : “non rinunciare ad una analisi critica….” al posto di “rinunciare…”
“Russel era, in definitiva, agnostico o ateo ?”
Caro Alessandro, in base ai miei ricordi di qualche lettura di Russell, risalenti a più di cinquanta anni fa, ritengo che a tale domanda Russell avrebbe risposto che era contemporaneamente agnostico ed ateo. Mi spiego meglio: la parola “Dio” in Occidente indica due entità, o due insiemi di entità, completamente diversi. Questa differenza è stata evidenziata da Pascal, in un famoso biglietto: “Il dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il dio dei filosofi e dei sapienti …”.
Il dio dei filosofi e dei sapienti può essere definito come l'”Ente di cui non si può pensare niente di maggiore”, e Kant ha ritenuto di aver dimostrato che la sua esistenza non può essere né dimostrata né smentita. Chi è d’accordo con Kant su questo punto è agnostico.
Il dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe viene identificato come YHWH in Esodo 6: 3. Chi crede nella sua esistenza è un Teista cosiddetto Abramitico, chi non ci crede è un ateo nei confronti di YHWH, ma può essere teista nei confronti di Shiva.
Comunque, per dimostrare la non esistenza di YHWH non è necessario dimostrare la non esistenza del dio dei filosofi: basta dimostrare che il testo che ne attesta l’esistenza è un falso.
Impresa tentata da molti, con vari strumenti, ad es. la critica razionale, o la critica storico -letteraria. Strumenti non molto diffusi in Italia.
“…la sua esistenza non può essere né dimostrata né smentita…”
Appunto! E quindi da dove nasce l’ipotesi di dio? Dal nulla.
Non ho mai compreso la posizione degli agnostici: sembra che sospendano il giudizio
in attesa di una improbabile risposta. E, secondo me, questo è un lasciare la porta
aperta al soprannaturale, ai miracoli, alle meggiugorie e ai padri pii… ai fantasmi!
Kant venne indicato come lo spartiacque nella storia dell’umano pensiero. Quando lo studiai mi sembrò un enorme cumulo di fuffa e supercazzole; sarà un mio limite.
Diciamo che se a Pascal piacque pensare alla distinzione fra dio abramitico e dio sapiente (precursore di un dio “scientifico”), dubito che il Russel del XX secolo avesse problemi a offendere i fedeli di questo o quel credo affermando di non credere a nessuno dei due. Era un matematico prestato alla filosofia (ammetto però di aver trovato i suoi scritti prolissi e a tratti noiosi): sapeva benissimo che non poter dimostrare l’esistenza di dèi e teiere non implica un aumento delle probabilità della loro esistenza.
Il dio di filosofi e sapienti? Il rantolo interiore di ex fedeli che non riescono ad affrancarsi del tutto dal condizionamento infantile.
Beh, mi tocca difendere Kant, se non altro perché, da astrofisico ante -litteram, elaborò una teoria della formazione del Sistema solare nota adesso come “Teoria di Kant e Laplace, in cui, come una volta esplicitò quest’ultimo, Dio non c’era perché non c’era stato bisogno di tale ipotesi.
Kant, risvegliato da Hume dal sonno dogmatico, scrisse la “Critica della Ragion Pura”, dove espose ciò che ho ricordato nel precedente post.
Successivamente, scrisse la “Critica della Ragion Pratica,” in cui, come notato da Russell (“Storia della filosofia occidentale”), tornò in quel sonno dopo alcuni anni di “scomoda veglia.”