Non si deve perdere il lavoro perché omosessuali

La suprema corte ha confermato la condanna di un istituto cattolico per non aver rinnovato il contratto ad una docente, per via della sua convivenza omosessuale: una sentenza che potrebbe fare scuola. Ne parla Adele Orioli sul n. 1/2022 della rivista Nessun Dogma.
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La Cassazione civile, sezione lavoro, ha confermato con ordinanza n. 31701 del novembre 2021 quanto già deciso, dal tribunale di Rovereto prima e dalla Corte di appello di Trento poi, a proposito del ricorso promosso dalla docente di educazione artistica M.F. congiuntamente alla Cgil e all’associazione radicale Certi diritti. Professoressa assunta a termine presso l’Istituto delle figlie del sacro cuore di Gesù che si era vista escludere dal rinnovo del contratto a causa della sua convivenza omosessuale. Licenziata perché lesbica, titolarono i media all’epoca, per quanto tecnicamente non di una interruzione ma di una mancata possibilità di prosieguo nel rapporto lavorativo si tratti: mancata possibilità dettata da una sconcertante, per lo meno nella sua spudoratezza, condotta discriminatoria.

La scuola aveva peraltro tentato prima di esortare la docente a smentire le voci che circolavano sulla sua peccaminosa convivenza, salvo poi invitarla direttamente a “curarsi”, appurate come vere le suddette voci. Salita la vicenda all’attenzione dei media la stessa direttrice scolastica fra comunicati stampa e interviste non aveva mancato di rimarcare gli imbarazzanti e ingiustificabili contorni della vicenda, in un crescendo di assurdità, fino al riconoscere come l’attività didattica della involontaria protagonista di questa vicenda fosse sempre stata apprezzata ma che a suo giudizio «un insegnante omosessuale non poteva essere messo vicino ai bambini e che l’omosessualità avrebbe potuto essere tollerata se vissuta con discrezione». Un ottimo compendio delle più trite e retrive argomentazioni e smentiti ma riesumati luoghi comuni, che ancora oggi vengono avanzati (e si pretende di avere il diritto di supportare) contro l’omosessualità in generale e contro le persone Lgbt+ nel più doloroso specifico.

Confermate così dagli Ermellini, forse complice il candore nell’esternare il disprezzo, anche le condanne pecuniarie: 30.000 euro a titolo di danno morale e 13.329 euro a titolo di danno patrimoniale alla diretta interessata, 10.000 euro ciascuno per le due associazioni ricorrenti, alle quali si aggiungono le spese legali del ricorso in Cassazione, quasi diecimila euro ulteriori.

Insomma, una bella botta. Ma non tanto e non solo per il risarcimento, che peraltro in uno stato ancora privo del reato di omofobia è pur sempre una piccola goccia nel mare, per quanto ci si augura funga da monito e vivificante esempio.

Una bella botta invece dicevamo proprio per la decisione in sé e per sé, che segna non solo un deciso mutamento nell’orientamento giurisprudenziale per ciò che è passibile o meno di integrare la fattispecie discriminatoria in ambito lavorativo (in questo già anticipata da Cassazione 6575/2016 e dalla generale tendenza del diritto dell’Unione Europea in materia). Si propende infatti per una concezione oggettiva e funzionale, in base alla quale non rileva il motivo della discriminazione (a differenza di quanto accade nell’illecito) ma a essere vietato è l’effetto. Necessario e sufficiente è quindi il trattamento deteriore riservato al lavoratore, a prescindere dalla volontà del datore. In caso poi, come è avvenuto per la professoressa, di discriminazione diretta, non è sufficiente la sussistenza concorrente di un’altra finalità protetta o comunque riconosciuta a escluderne l’illegittimità.

E qui veniamo al secondo punto già emerso dalle pronunce riguardanti il caso e definitivamente confermato ora dalla Suprema corte: una fondamentale lettura sinottico comparativa fra i diritti e gli interessi persino di rango costituzionale che in questa vicenda vengono alla ribalta, e a noi particolarmente cari, tra concordato e libertà delle scuole paritarie, e il loro necessario contemperamento.

A nulla infatti per fortuna è valsa la difesa del pio istituto che per legittimare la discrezionalità discriminatoria messa in campo nella selezione del personale ha subito puntato sulla libertà di insegnamento, conforme nel loro caso alla dottrina e al magistero della chiesa cattolica che, nonostante le bergoglionate di pura facciata, considera l’omosessualità un peccato nel quale è vietato indulgere e che ben può pertanto essere motivo di non gradita presenza della persona Lgbt+ all’interno del corpo docente. Ma, per usare le parole degli Ermellini, il collegio di pii legulei «non spiega adeguatamente come questa libertà possa legittimare condotte apertamente discriminatorie come quelle ritenute e accertate dai giudici trentini».

Mentre la Corte di appello è stata ben chiara nello spiegare perché questa libertà religiosa di auto organizzazione escludente non possa costituire deroga al rispetto di altri valori costituzionali.

Innanzitutto, si tratta di una scuola cosiddetta paritaria «che come tale fa parte del sistema nazionale di istruzione, beneficia di finanziamenti pubblici e rilascia titoli di studio aventi valore legale e che, in quanto scuola gestita da un ordine religioso, gode della libertà di cui al comma 4 dell’articolo 33 della Costituzione, di orientamento culturale e di indirizzo pedagogico-didattico, ma nel rispetto degli altri principi di libertà garantiti dalla Costituzione dello Stato italiano (articolo 1)».

E in questo contesto la Corte non può che dare risposta negativa alla domanda se la vita privata e l’orientamento sessuale di un docente sia da considerare come requisito essenziale e determinante per la prestazione lavorativa. Va escluso insomma che «l’orientamento sessuale dell’insegnante, così come la sua vita privata, possano avere rilevanza nell’insegnamento della materia di educazione artistica in una scuola paritaria ancorché gestita da un ordine religioso» mentre «l’armonia con i principi costituzionali, compresi l’articolo 21 e l’articolo 3, declinato quest’ultimo in senso esplicitamente antidiscriminatorio dall’articolo 21 della Carta di Nizza, implica che la libertà di orientamento culturale e di indirizzo pedagogico-didattico riconosciuta alle scuole paritarie non possa comportare anche la libertà di attuare discriminazioni per l’accesso al lavoro in base a fattori estranei alla qualità della prestazione lavorativa richiesta» (Corte di appello di Trento, sentenza 63/2016).

Peraltro, come proseguono argomentando i giudici, convinzioni personali (e quindi adesione o meno al progetto educativo della scuola) e orientamento sessuale non sono due definizioni coincidenti e nel concreto non è dimostrabile né è stato dimostrato dall’Istituto che siano connesse all’omosessualità convinzioni personali contrarie alla concezione dell’ordine morale affermato dall’ordine religioso che gestiva la scuola. Le numerose persone Lgbt+ che, convintamente o più o meno criticamente, si dichiarano comunque cattoliche apostoliche romane ne sono la inverazione quotidiana. Chi scrive non aspira particolarmente a entrare in un club che non gradisce la sua presenza, ma poco importa, de gustibus. Quel che conta è che, almeno per questa volta, fra eccezione/scusante/privilegio religioso e diritto individuale all’autodeterminazione sessuale e riproduttiva abbia vinto, senza ombre, il diritto.

Adele Orioli

 

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11 commenti

Mixtec

Il Vaticano sta correndo ai ripari. Apprendiamo infatti che un
” nuovo documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica menziona fra le cause di possibili sanzioni disciplinari «l’orientamento sessuale e altri aspetti della vita privata»”
Cfr articolo sul Corriere della sera di questi giorni.

Diocleziano

Non capisco se le sanzioni sono contro chi effettua discriminazioni, cioè da parte di un tribunale;
o da parte di una scuola cattolica verso i suoi dipendenti.
Su Libero di oggi: “Il vaticano taglia i prof non cattolici”.
Cosa aspettano a togliere la licenza di insegnamento a questi prevaricatori?

RobertoV

“E quando si «verificano altresì conflitti in campo disciplinare e/o dottrinale» si deve considerare che «queste situazioni possono essere causa di discredito all’istituzione cattolica e scandalo nella comunità».
“E quando «si verificano casi in cui le leggi statali impongono scelte in contrasto con la libertà religiosa e la stessa identità cattolica di una scuola» è legittima la difesa: «Pur nel rispetto dei diversi ambiti, è necessaria una ragionevole azione di difesa dei diritti dei cattolici e delle loro scuole sia attraverso il dialogo con le autorità statali, sia mediante il ricorso ai tribunali competenti».”
Direi che è molto chiara la risposta alle sentenze del tribunale. Una dichiarazione di guerra col pretesto della libertà religiosa. Soldi pubblici, ma regole loro.

Diocleziano

“…è necessaria una ragionevole azione di difesa dei diritti dei cattolici e delle loro scuole
sia attraverso il dialogo con le autorità statali…”

…cioè il classico approccio prete/politico che hanno un abboccamento riservato
(che immagine schifosa!) per risolvere il problema. Solitamente a favore del primo.

G. B.

Bene la sentenza del tribunale. Tuttavia vorrei ricordare che negli ambienti di lavoro e, nello specifico, nelle scuole private le discriminazioni più diffuse non sono in uscita (anche se fanno notizia), ma in entrata, e non solo e non tanto in base all’orientamento sessuale, ma, più banalmente, in base alle raccomandazioni. Sarebbe quindi tempo e ora che, almeno in presenza di finanziamenti pubblici, fossero previste delle norme vincolanti in materia di assunzioni del personale, altrimenti il diritto al lavoro continuerà ad essere tutelato solo nella forma. Ma che dico?! Il cattoaziendalismo reclama il diritto di chiamata nominativa anche nelle scuole statali!

iguanarosa

La bruta sincerità è preferibile all’ipocrisia, però non si capisce come intendono evitare le sentenze di reintegro e le cifre da pagare ai discriminati. Si accaniranno solo contro i precari?

KM

Come al solito ‘sti clericozozzoni predicano bene ma razzolano male. Le applicano le stesse “regole” (sic) per i pedofili? O per chi ruba? O per quelli in odore di mafia?
E poi basta col doppio binario: o ubbidite e rispettate le leggi dello Stato o fuori. Abolizione del concordato, della “liberta’ di opinione religiosa” che si applica solo a loro (ve li immaginate formigoni, salvini, i ciellini se succedeva in una scuola musulmana?) e di tutti i privilegi. Cominciassero a pagare le tasse (anche quelle arretrate) e a risarcirci di 40 anni di 8 x 1000.

RobertoV

Se una associazione filosofica, culturale o un partito pretendessero delle deroghe in nome della loro libertà di opinione, delle regole ad hoc in contrasto con quelle dello stato democratico verrebbero giustamente contestati ed obbligati a rispettarle. Ad esempio la società sportiva Aniene che escludeva le donne invocando la tradizione è stata pesantemente contestata ed alla fine ha capitolato alle direttive delle istituzioni.
Invece se ci metti dentro un dio allora devi essere tutelato e puoi richiedere di comportarti come uno stato nello stato in nome di una pretestuosa e ricattatoria libertà di religione. Quale è la differenza? Perché questo trattamento privilegiato? Per di più preteso ricevendo soldi dallo stato.
La scusa che hanno diritti per la loro importanza storica non regge: anche le aristocrazie hanno dominato in lungo ed in largo nei secoli, legittimandosi spesso con origini mitologiche, ed hanno cercato fino all’ultimo di mantenere i privilegi, ma alla fine li hanno persi e non c’è nessun riconoscimento nei loro confronti.
Le religioni hanno dominato e fatto i loro interessi in un’epoca assolutamente antidemocratica e coercitiva dove le persone sono state massacrate, perseguitate, discriminate, controllate, ricattate ed indottrinate per ottenere i risultati attuali ed i loro privilegi e le loro ricchezze (comprese le loro scuole). Quindi questa non può essere una scusa per un trattamento di favore in una nazione democratica. E non è neanche accettabile l’idea che si debba capitolare davanti alla loro intolleranza ed aggressività per quieto vivere, per intimidazione.
Le regole devono essere uguali per tutti e se non le accettano devono essere sanzionati e perdere come minimo i finanziamenti statali. E questo vale per tutte le condizioni, cioè anche per i contratti lavorativi che non possono concedere alle scuole private vantaggi da terzo mondo, zone franche che non rispettano le minime tutele sindacali.

KM

D’accordissimamente d’accordo! Come ben sai, io sono contrario alla cosidetta liberta’ d’opinione religiosa. In inglese si dice: everybody has the right to their own opinions, nobody has the right to their own facts. Opinioni inventate su fatti inesistenti (dio, gli ufo, l’aldila’ etc…) non sono opinioni legittime. Nel migliore dei casi e’ tutta fuffa, nel peggiore e’… religione. Le opinioni legittime, per quanto errate possano essere, si devono basare su un qualcosa di verificabile, concreto, fisico e non metafisico. Devono quindi essere validabili e/o invalidabili. “Mussolini fa arrivare i treni in orario: W il duce”! “Si, vabbe’, ma a quale costo?” “La democrazia e’ forte perche’ fa parlare anche chi e’ contrario a lei.” “OK. Ma e’ giusto? Discutiamone.” Le opinioni legittime si fondano (o almeno dovrebbero fondarsi) su un discorso “a posteriori”. Le opinioni (sic) religiose si fondano su un discorso a prioristico. Dogmi, principi d’autorita’, rivelazioni, testi sacri, tutto cio’ soppianta la ricerca, le ipotesi, il dubbio (principio della sapienza, origine delle scoperte e punto di partenza di ogni progresso, secondo Emilio Bossi). Siamo di fronte all’assolutismo e al totalitarismo della piu’ brutta acqua. Cioe’ alla descrizione dello Stato Vaticano, definito: monarchia teocratica assolutista e totalitaria. L’ironia e’ che i cittadini ‘ideali’ di questo stato, invocano liberta’ che loro non concederebbero MAI agli altri.
In conclusione, basta con i privilegi, aboliamo i concordati, battiamoci per una VERA laicita’ dello Stato e della Societa’, ma soprattutto niente piu’ soldi a ‘sti clericali!

RobertoV

Il problema è che le religioni hanno imparato ad utilizzare in modo strumentale e pretestuoso le leggi della democrazia sulla libertà religiosa, così come anche ciarlatani e truffatori hanno iniziato con il concetto di libertà di opinione. Il tutto per rivendicare una libertà dallo stato e dalle regole democratiche per poter continuare a seguire le loro regole tradizionali in contrasto con la democrazia.
Purtroppo il problema è generale, non solo italiano. Ad esempio ho visto che durante la pandemia in Canada in nome della libertà religiosa gli ortodossi non erano tenuti a rispettare le regole anti-covid governative e che grazie alla sentenza della corte costituzionale del 2015 relativamente ad una causa intentata da una scuola gesuitica che rivendicava il diritto a seguire nell’istruzione le proprie regole tradizionali dal 1840 in contrasto con quelle governative, è stato riconosciuto il diritto di queste scuole a seguire i loro programmi confessionali. Se si pensa che proprio le scuole religiose cattoliche sono finite nell’occhio del ciclone per le discriminazioni e massacri sui nativi americani perpetrati proprio in nome della loro religione fino al 1996 (proprio oggi il papa ha chiesto le ennesime ipocrite scuse) e che oggi pretendono di presentarsi come modello educativo di accoglienza e tolleranza. Ed ovviamente il Canada non è un caso isolato, vedi Irlanda, e sono avvenuti proprio in nome della loro religione.

Buone novelle laiche - A ragion veduta

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