Da anni la giornalista e scrittrice Giuliana Sgrena si occupa del velo islamico e del modo in cui veicola l’identitarismo religioso, anche nel nostro paese. Per l’uscita del suo nuovo libro “Donne ingannate. Il velo come religione, identità e libertà”, l’abbiamo intervistata sul numero 3/22 di Nessun Dogma.
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Per anni cronista di guerra nei teatri di Medio Oriente e Africa, storica inviata del quotidiano comunista il manifesto, Giuliana Sgrena è una coraggiosa voce di sinistra da sempre critica verso il fondamentalismo, ma anche delle politiche degli Usa per “esportare” la democrazia, che hanno contribuito a crisi e divisioni. Emblematico il suo (doppiamente) tragico sequestro, avvenuto in Iraq nel 2005. Rapita da miliziani iracheni, viene liberata con la mediazione dei servizi segreti italiani. Ma l’automobile che la porta in salvo è investita da centinaia di colpi sparati da soldati statunitensi, che uccideranno Nicola Calipari, funzionario del Sismi.
Da giornalista ha continuato a documentare, e a impegnarsi politicamente. Ha raccontato le storie e le sofferenze di tante donne, oppresse da retaggi sociali e religiosi e colpite dai conflitti. Ha indagato la condizione femminile in paesi diversissimi dal nostro, in particolare nel mondo islamico. Testimonianze, vivide e sentite, che offrono uno sguardo originale e tagliente sull’intricato ginepraio arabo-islamico. E sul nostro.
È appena uscito il suo libro Donne ingannate. Il velo come religione, identità e libertà. Da anni si occupa del velo islamico e del modo in cui veicola l’identitarismo religioso. Come nasce questa sua ultima fatica e quali nuove riflessioni ci propone?
Questo è il mio terzo libro sul velo (dopo La schiavitù del velo e Il prezzo del velo). Il mio obiettivo è quello di mettere in evidenza l’ipocrisia del velo, analizzando l’uso dell’hijab dal punto di vista religioso, identitario, della tradizione e della libertà. L’urgenza di questo libro mi è stata imposta da due constatazioni: la prima è rappresentata dagli effetti del processo di reislamizzazione che ha investito molti paesi arabo-musulmani imponendo una interpretazione dell’islam fondamentalista che ha visto ovunque come vittime privilegiate le donne.
Donne ingannate da una falsa rappresentazione: nel Corano non è previsto l’obbligo del velo. Analizzo questa regressione riportando l’evoluzione della pratica religiosa in paesi come l’Algeria, la Bosnia… In altri paesi l’arrivo al potere di fondamentalismi religiosi – in Iran nel 1979 o in Afghanistan dal 1989 – ha aperto la strada alla reislamizzazione che si è manifestata anche e soprattutto con l’umiliazione delle donne costrette a coprirsi con il chador o il burqa. Imposizioni che le coraggiose lotte delle donne non sono ancora riuscite a scalfire.
L’altra considerazione invece riguarda l’occidente, dove è diventato più difficile affermare la libertà di non portare il velo rispetto a quella di portarlo. Con l’eccezione della Francia, l’hijab è stato sdoganato ovunque. Addirittura il Consiglio d’Europa aveva lanciato la campagna «La libertà è nell’hijab», senza provocare nessuna reazione particolare nei vari paesi.
È stata ritirata per l’intervento di Parigi. Ma anche le campagne che sono seguite hanno sempre al loro interno una visione della donna velata. Questo anche per le pressioni esercitate dalle organizzazioni dei Fratelli musulmani che oltre a fare proseliti tra i giovani, soprattutto studenti di origine musulmana, sono molto attive nelle istituzioni europee.
Nell’apologetica islamica ma anche in certi discorsi della sinistra antirazzista si celebra il velo come scelta di emancipazione e di una cultura “altra” rispetto all’occidente capitalista. Già aveva suonato l’allarme nel 2008, con Il prezzo del velo. La guerra dell’islam contro le donne. Come possiamo contrastare questa seducente narrazione?
Quella di considerare il “diverso” da noi più rappresentativo di realtà del sud del mondo, o anche semplicemente dell’altra sponda del Mediterraneo, è un retaggio di un vecchio e superato terzomondismo. Inoltre l’islam globale, l’ideologia che fa del velo la testimonianza dell’appartenenza a una grande comunità di credenti che va oltre i confini degli stati, ha rappresentato e rappresenta una risposta forte alla globalizzazione.
Non a caso l’islam globale ha affascinato anche i movimenti no global occidentali che speravano di avere negli islamisti degli alleati. Risultato: gli adepti dell’islam globale hanno séguito anche in occidente mentre i movimenti no global sono scomparsi. Mi è capitato di incontrare a Londra ragazze militanti nel movimento no war supervelate, di cui i pacifisti erano orgogliosi.
Per queste giovani, le cui famiglie provenivano da paesi musulmani, la religione era più importante della politica e della loro militanza contro la guerra. Nessuna delle loro madri portava il velo e loro non si sentivano discriminate in Gran Bretagna, ma avevano fatto una scelta ideologica approfittando della libertà che era loro garantita, mi avevano detto.
Le primavere arabe hanno dato la speranza di una democratizzazione dal basso. Le donne hanno giocato un ruolo importante. Ma quella che ha definito una «primavera laica» si è tradotta nel «voto islamista». Quali possibilità ci sono oggi per una nuova spinta laica nel mondo musulmano e quali categorie sono un’avanguardia?
Tutte le donne che ho incontrato durante le primavere arabe avevano un obiettivo comune: la parità di genere. Ed erano coscienti che il cammino sarebbe stato lungo: la rivoluzione è femmina o non è. Il cammino si presenta forse ancora più lungo del previsto. Infatti in nome della democrazia hanno trovato legittimazione i partiti religiosi che non credono nella democrazia ma la usano per arrivare al potere.
E mentre i partiti laici, le associazioni di donne e gli attivisti per i diritti umani sono spesso divisi, poco organizzati, con scarsi mezzi finanziari, i Fratelli musulmani appartengono a una rete internazionale in cui godono di supporto politico, finanziario e mediatico. Arrivati al potere in paesi come l’Egitto, ma anche in Tunisia, hanno iniziato ad imporre le loro leggi discriminatorie soprattutto nei confronti delle donne.
La reazione in Egitto è stata una sollevazione popolare che ha permesso ai militari di tornare al potere, con tutte le conseguenze che comporta un potere autoritario e antidemocratico. In Tunisia il cammino è stato più tortuoso, i colpi di mano di Ennahda (il partito islamista) sono stati di volta in volta contrastati dalle forze laiche e democratiche, ma la crisi economica e lo stallo politico ha portato al potere un presidente che pur non essendo un militare si è imposto come un padre padrone dello stato. Difficile prevedere una via d’uscita a breve termine. Altri paesi sono in guerra dal 2011 e la situazione è ancora più drammatica.
La nostra rivista ha dato spazio a voci diverse ma convergenti che criticano l’integralismo. Come l’iraniana Masih Alinejad, esule e critica del regime degli ayatollah, e la francese Caroline Fourest, femminista che combatte le derive identitarie. È realistica una sorta di “internazionale” femminista per la libertà dalla schiavitù del velo, oltre gli steccati che rischia di alzare l’intersezionalismo?
Masih Alinejad ha una forte personalità e la sua venuta in Italia per la presentazione del documentario Be My Voice ha avuto un grande impatto. Tuttavia le femministe che avevano applaudito alla sua azione contro l’imposizione del velo in Iran, quando si trovano di fronte al tema del velo tendono ad accreditare l’idea che portarlo possa essere una libera scelta e che possa essere un mezzo per l’emancipazione delle donne musulmane.
Oggi in Italia e in occidente è più difficile affermare il diritto di non portare il velo rispetto a quello di portarlo, lo si è visto anche con l’istituzione del World Hijab Day, adottato anche dalle istituzioni in alcuni paesi come la Gran Bretagna. La risposta con il No Hijab Day non è riuscita a contrastare la campagna per l’uso dell’hijab. Per questo ritengo difficile la creazione di una rete internazionale femminista laica contro l’oppressione della donna.
A sinistra – quella che viene definita “radicale” – sembra ormai difficile portare avanti un discorso come il suo. Il pericolo è venire accusati di islamofobia, antifemminismo e razzismo. Perché persiste nel campo progressista un diffuso tabù che impedisce di criticare le derive dell’identitarismo e del comunitarismo, quando si parla di minoranze?
Il relativismo culturale è molto diffuso a sinistra dove qualsiasi critica all’oppressione della donna fatta in nome di una religione o di una cultura diversa o di una identità viene considerata un’offesa, un affronto. Io credo, come dicono sempre le mie amiche algerine ma non solo, che i diritti delle donne sono universali quindi non si possono fare differenze, i diritti che rivendichiamo per noi sono anche quelli per cui lottano le donne ad Algeri o Kabul. Non riconoscere questa universalità dei diritti è razzismo.
Le religioni monoteiste mettono da parte le differenze quando si tratta di opprimere il genere femminile, come aveva spiegato in Dio odia le donne. In un contesto che sembra secolarizzato come il nostro, al revanscismo cattolico si affiancano nuovi integralismi. Quanto pesa ancora il retaggio confessionale contro le aspirazioni e le libertà delle donne?
In una società caratterizzata da una crisi di valori e ideali la religione diventa un rifugio in grado di offrire un senso di appartenenza, ma per esserlo deve estremizzare le interpretazioni: sono i fondamentalismi a essere più attrattivi. Abbiamo assistito negli Stati Uniti al celebrare la castità delle figlie da parte dei padri, quindi a una affermazione del controllo del corpo della donna da parte dei maschi all’interno della famiglia.
Anche nell’ebraismo si assiste a una radicalizzazione soprattutto in Israele. Dell’islam abbiamo parlato. Tutte le religioni, soprattutto quelle monoteiste ma non solo, acuiscono le differenze ma convergono sull’oppressione della donna. Tutte sono d’accordo sul fatto che la donna è stata creata per l’uomo, quindi non ha scampo.
Intervista a Giuliana Sgrena
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La religione è il cancro del mondo.
Capoverso finale del libro di Robin Dunbar “How Religion Evolved. And Why It Endures,” (Oxford University Press, 2022 (fresco fresco)):
“In short, it is difficult to see any convincing evidence for anything that will replace religion in human affairs. Religion is a deeply human trait. The content of religion will surely change over the longer term, but, for better or for worse, it is likely to remain with us.”
L’Autore, nell’Introduzione, ringrazia la Templeton Religion Trust per un finanziamento triennale della sua ricerca.Religion and the Social Brain.
Dopo aver letto “La scimmia pensante” (2009), da Robin mi aspettavo un epilogo diverso.
La Templeton Foundation e’ un’organizzazione di radicali fondamentalisti cristiani, che finanzia ‘studi’ e ‘ricerche’ per dimostrare il suo assunto. Non sempre gli va bene, vedi R. Dawkins e l’esperimento sulla preghiera per i malati!
@Km
Comunque e’ insolito,in questo ambito,che abbia organizzato un simile esperimento,che se ci riflettete insinua gia di per se un elemento di dubbio in quella che per qualsiasi fedele dovrebbe essere una certezza assoluta e indiscutibile : il valore della preghiera.
Non parliamo poi del fatto che abbia pubblicato i risultati ammettendo che
fossero negativi,cosa che i fondamentalisti non hanno certo gradito.
Richard Dawkins in un suo saggio cita un giovane studioso,che era stato allievo del famoso biologo e palentologo Stephen Jay Gould,che rinuncio’ad una promettente carriera scientifica e fini per divenire membro della Templeton.
Questo perche’sebbene ammettesse lui stesso senza esitazione che tutte le prove confermano la teoria dell’Evoluzione,la sua fede gli imponeva,con estrema sofferenza,di rifiutarle.
Forse anche in altri membri della Templeton e’ rimasto un fondo di vero spirito scientifico che non sono riusciti a reprimere,e che li spinge a eseguire esperimenti come quello citato,e a riportarne i risultati con obiettivita.
Una sorta di “pensiero doppio” orwelliano.
Hanno i soldi ed il potere per pagarsi la propaganda e per limitare i danni. Finanziare studi critici permette di controllare quello che può essere ammesso. D’altronde l’interesse per l’istruzione è partito con la necessità di controllare le informazioni: se non puoi più evitare l’informazione è meglio controllarla. Così come sulla pedofilia ecclesiastica: meglio far uscire dei rapporti controllati in modo da limitare i danni ed ammettere lo stretto indispensabile.
Paragone tanto piu’ azzeccato se si pensa come in tempi piu’ o meno recenti i fattori cancerogeni (per il cancro vero)si siano moltiplicati,specialmente nei paesi industrializzati.
Certo. Ma il fatto è che ho scritto mondo, ma stavo pensando società.
«Nel Corano non è previsto l’obbligo del velo».
Un’ affermazione di Giuliana Sgrena che mi pare essa stessa una sofisticata forma di ipocrisia.
In una società realmente civile (una mia personale opinione, beninteso) che il velo (o qualsiasi altra manifestazione di origine religiosa) sia previsto o anche no dal “Libro Sacro” di riferimento di qualsiasi religione/mitologia dovrebbe essere totalmente ininfluente: se vuoi vivere in un contesto civile e goderne i benefici, ne devi anche sposare gli obblighi morali e rispettarli, essi hanno la totale precedenza su qualsiasi dettame di origine religioso, del resto l’ alternativa per chi non é d’ accordo non manca, come i monaci del monte Athos possono insegnare.
Una piccola osservazione “lapalissiana”.
Se i “Padri della Chiesa” di qualunque religione ,come pure i loro attuali rappresentanti hanno potuto contare su padri,fratelli,persino figli per imporre alle donne limitazioni gravose,(e possono farlo ancor oggi in molti paesi),ovviamente non dispongono di “collaborazioni”altrettanto efficaci per imporre impegni altrettanto gravosi agli uomini,per cui devono accontentarsi di imposizioni piu’ blande : barbe lunghe,niente musica ecc.
Per cui bisogna ammetterlo : la “sperequazione” religiosa tra uomo e donna nasce
dalla pura necessita,se potessero applicherebbero la “parita” tiranneggiando ancora di piu’ la popolazione.
un affresco angosciante della nostra società.
Ma la comparsa dell’uomo agricolo nel seimila ac ci assegna ad oggi solo ottomila anni di storia.
Una vera inezia a confronto con altre specie.
Siamo degli incivili che crescono molto lentamente, non riusciamo a risolvere le nostre contoversie se non ammazzandoci come i nostri progenitori.
Coltiviamo discriminazioni verso chi è diverso e vuol vivere in modo diverso, ci affidiamo come bambini immaturi alle sirene delle religioni per nascondere le nostre paure e le nostre fragilità.
Abbiamo un’unica certezza questa nostra generazione di mammiferi non conoscerà mai il proprio destino, potremmo
crescere rapidamente o estinguerci.
Cento miliardi di neuroni lasciano aperte tutte le possibilità, nel bene e nel peggio.
«…Siamo degli incivili che crescono molto lentamente…»
Saremmo cresciuti più rapidamente e meglio se ancora oggi, XXI secolo, una buona parte dell’umanità non avesse quella palla di piombo nel cervello, creata sei millenni fa che ci fa
comportare e pensare come antichi Sumeri. Fino a pochi secoli fa l’antichità e immutabilità
della bibbia passava come un pregio, più il tempo passa a più si mostra la sua inadeguatezza.
Idem per il corano. Nessuna branca del sapere è immutabile, deve valere anche per le religioni.
Ma comporterebbe la loro scomparsa.
Per esempio: oggi è facile verificare quante balle racconta la bibbia, quanto c’è di plagio
e quanto è pura fantasia, eppure viene ristampata senza alcuna rettifica e letta nelle chiese
come ‘verità’ assoluta; fondamento del condizionamento infantile, complice lo Stato.
Come non essere daccordo, ma ciò che più stupisce e indigna che quasi tutti danno per scontato che quelle dell’antico testamento siano verità indiscutibili, infatti guai a sfiorare l’argomento. Già Spinosa nel suo capolavoro ” Trattato teologico politico” aveva anticipato nel 1600 quanto oggi le persone di buon senso conoscono perfettemente.
Eppure papa e mezzi di comunicazione ci propinano quei miti infantili, drammatici e insultanti per gli esseri pensanti e intelligenti.
Ecco chi veramente si dovrebbe sentire offeso e invece avviene esattamente il contrario.
Avanti così…………………
Veramente, io tutta questa smontatura dei testi biblici non la vedo; nemmeno vedo critica dei testi sacri (Bibbia, Corano); nelle trasmissioni “culturali” della RAI se ne parla sempre col massimo rispetto (o ne parlano storici credenti, ad es. Gardini o Melloni, o non se parla per niente). Ed anche l’UAAR: sapete quanto diffonde la critica dei testi sacri? Quali libri di critica della Bibbia e del Corano ha pubblicato la Casa Editrice dell’UAAR?
“….ristampata senza alcuna rettifica e letta nelle chiese
come ‘verità’ assoluta;”
Non direi proprio : certi passaggi,che parlano di stragi,genocidi,uccisioni,incesti, e che venivano messi in piena evidenza un tempo quando il terrore era uno strumento fondamentale della dottrina,ora ben difficilmente li sentirai citare durante una Messa.
Come sempre,e’ la societa che ha “incivilito” la Chiesa anziche il contrario.
Non mi pare che sia così facile verificare quante balle racconti la bibbia o un testo sacro. Chi ci prova ne paga le conseguenze, vedi Bart Ehrman, verrai pesantemente attaccato, perchè le religioni hanno enormi ricchezze ed appoggi politici per condizionare il dibattito ed intimidire. Addirittura se muovi critiche dall’interno puoi perdere la cattedra o essere espulso: la chiesa cattolica per esempio ha ancora l’ex sant’Uffizio. Politici, media e chiesa ripetono come verità assolute, certezze, cose che certi studi mettono pesantemente in dubbio, ma che possono rimanere solo tra gli addetti ai lavori, pensa alla favoletta vittimistica della strage degli innocenti, alle persecuzioni ingigantite ad arte se subite, minimizzate o negate se se ne è gli autori, alla favoletta della religione che rifiuta la guerra e la violenza. Anche nelle trasmissioni Rai di storia le critiche sull’argomento religioso sono sempre molto contenute e minimizzate e si cerca qualche giustificazione: ti trovi spesso un Cardini ed anche lo stesso Barbero è molto cauto nelle critiche. Magari all’estero è un po’ meglio: se penso alla differenza nell’affrontare l’argomento imperatore Costantino, qui da noi osannato, in Germania molto meno.
Vorrei ricordare che per millenni abbiamo vissuto sotto dittature che hanno utilizzato la religione come instrumentum regni, da cui le religioni dominanti attuali hanno ampiamente approfittato, accumulando enormi ricchezze, potere e vantaggi. Quindi le persone sono state perseguitate, oppresse, controllate ed indottrinate per ottenere i risultati attuali. Adesso a fatica siamo entrati nei paesi democratici (che comunque sono una minoranza) in un transitorio di possibilità di scelta, ma faticando a liberarci dei retaggi e vantaggi storici che le religioni continuano ad avere anche in democrazia. Inoltre bastano piccole minoranze militanti, organizzate e fanatiche per condizionare tutti gli altri. Se si va a ben vedere gli zoccoli duri delle religioni sono ampiamente minoranza, ma sono molto agguerriti ed intolleranti e potenti, tali da condizionare tutti ed ottenere un presenza ed importanza ben superiore alla loro rappresentatività. Basta pensare a CL, circa 300000 aderenti, ma quanto potere politico ed economico! Anche nel caso pedofilia tra i preti le indagini sono sempre riusciti a governarle loro, spacciandole per indipendenti: quale associazione gode di questi privilegi per limitare la possibilità di indagare di uno stato?
Mixtec – Laverdure
Mi riferivo principalmente a una pagina di Wikipedia, l’argomento era il libro ‘Esodo’
della bibbia: quando gli ebrei hanno preso possesso dello stato di Israele hanno iniziato
grandi campagne di scavi archeologici con l’obiettivo di confermare il loro diritto
a occupare quelle terre; invece tutte le evidenze portavano ad altro. Per esempio:
l’epica conquista di Gerico ha rivelato che quando Giosuè ci è arrivato, la ‘citta’ era
un rudere abbandonato da 4 secoli. Forti dubbi sulla fuga dall’Egitto: nel migliore dei casi
gli ebrei non ci sono mai stati, nel peggiore furono cacciati dal faraone… E così via.
A onore degli archeologi israeliani l’aver divulgato i risultati senza manipolazioni.
Non ditemi che Wiki non sia attendibile: data la massiccia presenza di cattolici sarebbe già sparito tutto se non fosse inattaccabile. Ho citato a memoria, ma vi è molto altro.
Su altre pagine si parla dell’inesistenza di Abramo e di Mosè: solo questi due sarebbero sufficienti a demolire tutto il baraccone fantasy.
Diocleziano
In realtà l’ebraismo è più una appartenenza culturale e di comunità che una religione. Nonostante le statistiche ufficiali indichino un 75 % di israeliani appartenenti alla religione ebraica, un sondaggio Gallup nel 2015 ha stabilito che il 65% degli israeliani affermano di essere o “non religiosi” o “atei convinti”, mentre il 30% di essere religiosi convinti (quelli così religiosi che per seguire la loro religione si fanno mantenere dallo stato che disprezzano, non fanno il servizio militare per difendere il loro paese e fanno lavorare le mogli). D’altronde se si pensa a quanti ebrei aderirono al bolscevismo (definiti dal futuro Pio XII con disprezzo i peggiori di tutti, gli ebrei-bolscevichi) o quanti ebrei studiosi e scienziati, non mi stupisce che riescano ad essere più obiettivi dei cattolici nel dare informazioni storiche.
Le donne coperte con una sorta di asciugamano in testa erano la normalità in tutto il mondo conosciuto, fino a pochi secoli fa. Tanti dipinti del nostro rinascimento mostrano nobildonne e popolane con l’affare in testa. Le spose, le suore, alcune anziane italiane di quache paesino remoto ancra si mettono un tessuto sula testa, come parte giornaiera del proprio abbigliamento. In ambito islamico la cosa è stata istituzionalizzata e resa quasi obbligatoria, come segno di sottomissione fenminile, altrimenti il velo dovrebbero metterlo anche gli uomini.
Che può fare lo stato laico, qualora ce ne fosse uno? Vietare tutti i simboi religiosi per ragazze e ragazzi minorenni e negi uffici pubblici, comprese le scuole. Purtroopo il nostro stato non è laico, come sappiamo. Anzi la ridicoloa tolleranza per tutti i comportamenti religiosi antisociali è tollerata e perfino spacciata come integrazione. E non dico altro.
Caro Diocleziano,
che le rovine di Tell es Sultan risalgano ad un paio di secoli prima dell’epoca in cui è collocabile Giosuè apparve chiaro fin dai primi scavi sistematici. Il fatto che siano ritenute le rovine di una città chiamata “Gerico” è dovuto alla vicinanza con l’attuale Gerico. Ma nelle rovine non c’è traccia di un qualche cartello che dica “Benvenuti a Gerico”, ed all’epoca della sua distruzione gli elenchi egizi non riportavano l’esistenza di alcuna “Gerico” da quelle parti. Piuttosto è attestata la distruzione di una città chiamata …S -Edom. Secondo Nigro, in base ad uno scarabeo egizio lì trovato la città si chiamava Rua, ma se si legge tutta l’iscrizione viene fuori qualcosa come Amurrua (ma Nigro si guarda bene dal dire che potrebbe corrispondere alla biblica “Amorah”, che i Greci hanno reso “Gomorra.”
Le scoperte archeologiche spesso danno degli inconvenienti, meglio lasciarle nel vago.
Qualcuno cerca Abramo fra i Sumeri? Tranquilli, non si troverà niente.
Cercarlo in un altro posto? Meglio no, si potrebbe scoprire che il dio che gli parlava mangiava e beveva come una scimmia Homo sapiens qualsiasi.
Basta pensare alle scoperte archeologiche di Schliemann seguendo gli altri libri di successo Iliade ed Odissea ed in quel caso il successo era spontaneo non imposto come per la bibbia.
Proseguendo quanto ho scritto:
Può darsi che a Tell es Sultan ci fosse una città chiamata “Amorah Sh-Edom”, distrutta da Amenhotep II, che lo scrittore Jahvista ha confuso intendendo due città gemelle o quasi che gli archeologi stanno ancora disperatamente cercando (quando sanno benissimo che due città vicine non potevano esserci nel Tardo Bronzo-Inizio Ferro).
“…i commenti dell’archeologo israeliano Ze’ev Herzog: “la maggior parte di coloro che sono impegnati in un lavoro scientifico nei campi connessi alla Bibbia, all’archeologia e alla storia del popolo ebraico – e che una volta cercavano sul campo le prove per corroborare la storia della Bibbia – ora concordano che gli eventi storici relativi al popolo ebraico sono radicalmente diversi da ciò che racconta la storia biblica…”
Questo è un brano dalle note della pagina ‘Gerico’ di WP.
C’è anche altro, per esempio si parla dell’elenco delle città, inesistenti all’epoca di Giosuè.
Caro Diocleziano,
grazie della segnalazione. Vedo che si parla di Maryannu e Mitanni, ed io sono d’accordo.
Non è ancora detto da chi fu distrutta, ma forse qualcuno ha già capito che la città fu vittima della furia sterminatrice di un re-dio egizio, un comune mortale, non del Dio dell’Universo.
A parte ciò, e tornando al tema dell’articolo, in esso si fa presente il pericolo della re-islamizzazione di alcuni paesi. E di studi critici del Corano ancora non ho sentito parlare.
Sarebbe ora di cominciare (inoltre: della conversione di Saulo in seguito ad attacco di epilessia del lobo temporale ogni tanto si scrive; potrebbe anche iniziarsi a parlare degli attacchi epilettici di Maometto).
Concordo.
Ogni tanto ricordiamoci che (purtroppo) esiste anche la religione islamica che oltretutto sembra in forte ascesa.