L’Ici arretrata alla chiesa, una cartella esattoriale che nessuno vuole emettere

Un’altra legislatura volge al termine senza che siano stati riscossi i miliardi di euro che la Chiesa cattolica deve allo Stato. Chi si candida alle prossime elezioni continuerà a fare gli interessi del Vaticano? Massimo Maiurana ha analizzato questo annoso contenzioso sul numero 1/20 di Nessun Dogma.

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Silenzio. È questa la prima parola che viene in mente quando si pensa alla questione dell’Ici arretrata che la chiesa dovrebbe pagare all’Italia, soprattutto perché quando ci si pensa è per chiedersi inevitabilmente: poi, quella faccenda, com’è finita? La risposta è semplice: non è finita. Anzi, per molti versi non è nemmeno cominciata, nel senso che nessun governo ha mai detto chiaro che esigerà quel denaro. Solo silenzio. Cambiano le maggioranze ma nessun esecutivo sembra essere disposto a mettere le mani in tasca alla chiesa, evidentemente perché troppo abituati a vedere la chiesa mettere le mani nelle tasche dello stato e mai viceversa.

Eppure questo contenzioso sembrava essere ampiamente alla portata del M5s, prima forza politica nell’attuale legislatura e azionista di maggioranza di entrambi i governi Conte che si sono succeduti. Proprio del far pagare le tasse al Vaticano il M5s ha sempre fatto una bandiera, fin da quando era solo un blog che organizzava i V-Day. Il fondatore Beppe Grillo aveva perfino esortato via Facebook lo stesso Bergoglio a pagare le imposte sugli immobili — il quale dal canto suo ha sempre ribadito che sulle attività commerciali anche i religiosi devono pagare le tasse (tanto sulle parole non si pagano di sicuro) — e Virginia Raggi ne fece uno dei punti cardine della sua campagna elettorale a sindaco di Roma.

Poi le elezioni. Gli obbiettivi raggiunti: la conquista del Campidoglio da una parte e di Palazzo Chigi dall’altra ed ecco che la prospettiva si è ribaltata. Non era più conveniente andare contro le gerarchie ecclesiastiche, non da una posizione di governo. Quella è roba da opposizioni.

Inoltre nel primo governo Conte c’era l’alleato scomodo, la Lega di Salvini coi suoi crocifissi e i suoi rosari, ed è proprio in quella fase che è arrivata la batosta della Corte di giustizia europea che ha imposto all’Italia il recupero del credito. In quel momento il governo giallo-verde non poté non rompere il silenzio ma si limitò a ipotizzare una “pax fiscale” con la chiesa. In pratica un condono tombale a tutto vantaggio delle imprese ecclesiastiche.

Ma vediamo rapidamente come si è arrivati a questo punto partendo dall’inizio, cioè da quando il governo Berlusconi fece in modo di esentare dall’Ici tutti gli immobili che erano almeno in parte destinati al culto. Una parte che poteva essere di qualunque dimensione, quindi di fatto bastava un inginocchiatoio in uno sgabuzzino per rendere esente una scuola, oppure una clinica o peggio ancora un albergo. La Commissione europea dopo una serie di tentennamenti aprì un’inchiesta contro l’Italia per violazione delle norme sulla concorrenza, visto che le altre imprese l’Ici erano invece costrette a pagarla, e alla fine decise che sì, c’era indubbiamente stata una turbativa della concorrenza e quindi l’Italia doveva adeguare la sua legislazione fiscale, ma non era tuttavia tenuta a richiedere il pregresso perché farlo sarebbe stato impossibile.

A quel punto il governo Monti tirò fuori dal cilindro una soluzione, nel passaggio dalla vecchia Ici alla nuova Imu, che finiva per favorire di fatto la sola chiesa, ma secondo criteri accettabili per l’Ue perché prescindenti dal fine di culto: le scuole private possono godere dell’esenzione dall’imposta se la retta che chiedono non supera il costo medio di uno studente della scuola statale (circa settemila euro annui), alle cliniche basta invece essere convenzionate con il Ssn e per tutti gli altri servizi è sufficiente che il costo non superi quello medio praticato nella stessa zona. Costo che poi è quasi sempre zero perché si ricorre all’escamotage della erogazione liberale per mascherare quelli che in realtà sono corrispettivi.

Problema quindi risolto da quel momento in poi. Nel frattempo però i radicali avevano presentato ricorso presso la Corte di giustizia dell’Ue contro Commissione europea e governo italiano per aver messo una pietra sopra il recupero delle imposte non pagate tra il 2006 e il 2011, ovvero dall’esenzione dall’Ici all’avvento dell’Imu, del valore complessivo di circa cinque miliardi di euro (stima dell’Anci). In primo grado andò male, la Corte confermò sia l’impossibilità di recuperare il credito che l’idoneità della nuova Imu, ma nel novembre 2018 vi fu la svolta: la Grande chambre in appello ribaltò la sentenza di primo grado dicendo che la presunta difficoltà nel recupero dei dati non può essere una scusa per rinunciarvi. È un problema dell’Italia e l’Italia deve trovare il modo per risolverlo, pena una procedura d’infrazione che non farebbe altro che aggiungere ulteriori danno e beffa.

Come già detto, il governo giallo-verde si è a quel punto trovato con la patata bollente in mano e ha ipotizzato di far pagare alla chiesa un importo forfettario omnicomprensivo e fortemente scontato. È probabile che dai palazzi apostolici abbiano ribadito la ferma intenzione di non scucire un centesimo, fatto sta che dopo quell’idea grandiosa è nuovamente calato il silenzio sulla questione, fatta eccezione per uno scambio epistolare tra Roma e Bruxelles nella primavera del 2019 in cui Roma, nella persona del ministro dell’economia Tria, elencava alcune possibilità per recuperare il pregresso delle quali nessuna era comunque in grado di scovare tutti i debitori, e Bruxelles dal canto suo replicava invitando il governo italiano a combinarle tutte insieme in modo da raggiungere quanti più contribuenti possibile.

Poi la crisi di governo estiva e il nuovo esecutivo giallo-rosso. Adesso che la Lega è fuori dai giochi non dovrebbero esserci più scuse: se si volesse procedere si potrebbe farlo almeno nei termini suggeriti da Bruxelles. Ma lo si vuole? Avremo certamente modo di verificarlo perché nel frattempo ci sono state due importanti iniziative parlamentari. La prima è del senatore Nencini che giusto quattro mesi fa, a giugno, ha raccolto l’appello sottoscritto da varie realtà laiche compresa l’Uaar e presentato una mozione in Senato in cui, tra le altre cose, ha chiesto al governo proprio di attivarsi per il recupero dell’Ici ecclesiastica. La seconda è più importante perché nata proprio in seno alla maggioranza che sostiene l’esecutivo: un disegno di legge presentato in Senato e sottoscritto da ben 76 senatori pentastellati, primo firmatario Elio Lannutti, che non solo mira al recupero del credito sull’Ici ma anche a una stretta per quanto riguarda l’Imu. L’efficacia delle soluzioni proposte dal ddl Lannutti è però tutta da verificare, perché per l’Ici ci si limita a chiedere alla chiesa di autocertificare la destinazione dei suoi immobili per il quinquennio in cui ha goduto delle esenzioni, mentre per l’Imu si fissa la regola che gli enti con un giro d’affari annuo superiore ai centomila euro devono far certificare il loro bilancio da un revisore esterno. Se realmente è tutto qui e non ci saranno emendamenti più stringenti, suona non come un serio tentativo di racimolare quei cinque miliardi di euro più ulteriori introiti futuri, bensì come l’ennesima truffa a danno dei contribuenti.

Finora comunque nessun ulteriore sviluppo, il silenzio del governo continua anche riguardo al ddl Lannutti. Nel momento in cui questo articolo viene scritto si guarda alla definizione della legge di bilancio del 2020 e i firmatari di quel ddl si sono detti pronti a convertirlo in un emendamento proprio sulla legge di bilancio. Inutile dire che quei miliardi sarebbero una bella boccata d’ossigeno per le casse pubbliche. La stessa opinione pubblica sarebbe largamente favorevole, cosa che in teoria dovrebbe suggerire al governo di darsi una mossa; infatti, secondo il sondaggio commissionato dall’Uaar alla Doxa 84 italiani su cento sarebbero favorevoli a far pagare le tasse alla chiesa su quegli immobili il cui sfruttamento produce guadagni, e di questi ben 54 gliele farebbero pagare su tutti i suoi immobili a prescindere dal fatto che ci lucrino o meno. Solo il 9,4% sarebbe contrario a far pagare loro qualunque imposta. Nella pratica però queste percentuali non sono evidentemente interessanti per la politica, sempre e comunque in controtendenza rispetto alla cittadinanza e orientata a non intromettersi in alcun modo negli affari ecclesiastici. Al limite a favorirli, mai a ostacolarli.

Cronistoria:
– dicembre 1992: il governo Amato istituisce l’Ici con Dlgs 504/92 esentandone dal pagamento i fabbricati di enti non commerciali destinati ad attività specifiche
– marzo 2004: la Corte di Cassazione stabilisce nella sentenza 4645/04 che per godere dell’esenzione le attività devono essere oggettivamente non commerciali
– agosto 2005: il decreto legge 163/05 del governo Berlusconi risolve il problema introdotto dalla Cassazione esentando dall’Ici gli immobili di proprietà ecclesiastica in cui si svolge attività commerciale connessa al fine di culto, ma tale decreto non verrà convertito dal parlamento
– dicembre 2005: il parlamento “rimedia” con la legge 248/05 la quale stabilisce che per l’applicazione dell’esenzione è sufficiente che l’attività esercitata non sia esclusivamente commerciale
– ottobre 2010: la Commissione Ue apre un’inchiesta per stabilire se le esenzioni Ici sono aiuto di stato contrario alle norme sul mercato unico
– dicembre 2011: con legge 214/2011 il parlamento approva la nuova imposta Imu, istituita precedentemente da Berlusconi e ridisegnata in seguito da Monti
– dicembre 2012: la Commissione Ue delibera che l’Ici era illecita ma non è possibile, come dichiarato dall’Italia, esigere il pregresso
– settembre 2013: l’Uaar scrive al commissario europeo Almunia per denunciare il perdurare delle esenzioni riconosciute su Ici/Imu
– giugno 2014: il Mef fissa i parametri per definire la “modalità non commerciale” che beneficia dell’esenzione dall’Imu, naturalmente calibrati in modo da favorire le istituzioni ecclesiastiche (ad esempio con la retta simbolica da settemila euro per le scuole)
– settembre 2016: la Corte di giustizia dell’Ue conferma, in merito a un ricorso promosso dai radicali, che non è possibile recuperare l’Ici non versata
– novembre 2018: la Grand Chambre della Corte di giustizia Ue ribalta la sentenza di primo grado stabilendo che è dovere dell’Italia recuperare l’Ici dovuta dalla chiesa
– ottobre 2019: 76 senatori del M5s presentano un ddl poco consistente per il recupero dell’Ici e la riscossione dell’Imu futura

#ici #imu #scuoleprivate #alberghicattolici

Massimo Maiurana

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7 commenti

KM

L’unica soluzione e’ una nuova Porta Pia. Una Anschluss all’austriaca di un sedicente stato che non fa parte ne’ dell’ONU ne’ dell’Unione Europea ma che comunque agisce come uno stato nello Stato Italiano, ingerendo nei nostri affari e nella politica peggio degli americani. Una volta fatta la Anschluss poi, diverrebbe uno scherzetto annullare i vari concordati e l’art. 7 della Costituzione. Antidemocratico? Ma perche’ il vaticano e i suoi governi-fantocci sono democratici? I privilegi di casta concessi ai clericali sono democratici? E poi, come sostiene e dimostra Piergiorgio Odifreddi, la democrazia non esiste. Mors tua vita mea.

Diocleziano

Pare che le destre abbiano possibilità di vincere alle elezioni,
se mettono mano al pagamento dell’ICI arretrata, giuro che voto per loro…
in quest’ordine.

enrico

l’ineffabile gesuita ha candidamente affermato che non intende entrare nelle dinamiche elettorali.
Nel linguaggio ecclesiastico significa più precisamente che hanno già piazzato tutti i loro rappresentanti in ogni formazione.
Lo spazio per laicità, diritti e tutto ciò significa giustizia e progresso è saldamente al palo e da lì non si muoverà di un millimetro.
i mezzi di informazioni sono già aquisiti e allineati al progetto e quindi remiano controccorrente con l’acqua alla gola sperando di non affogare.
Dimenticavo il gregge ma li tutto tranquillo……..

Diocleziano

«…non intende entrare nelle dinamiche elettorali…»
Come da tradizione: saltare sul carro dei vincitori e appropriarsene.
Ma anche del carro dei perdenti non si butta via niente.

RobertoV

L’ineffabile gesuita ha anche detto che si devono pagare le tasse, ovviamente si riferiva agli altri. Altrimenti ne arrivano di meno alla chiesa da parte dell’Italia. Temo che o l’oblio o un condono tombale risolveranno il problema delle tasse non pagate dalla chiesa.
La decisione di esentare dall’ICI quelle scuole private che chiedono una retta inferiore al costo per studente del pubblico (come le varie proposte sul costo standard) sono una vera truffa perchè le scuole private ricevono già cospicui aiuti e agevolazioni (a livello governativo e locale) in modo da ridurre quella retta ed il confronto andrebbe fatto col costo marginale e non con un costo medio nazionale che considera situazioni differenti e mediamente più gravose per il pubblico.
E’ un classico affermare che non si vuole entrare nelle dinamiche elettorali per nascondere le attività sottobanco e per potersi poi alleare coi vincitori e lucrare anche dai perdenti che comunque continueranno a governare a livello locale. Privilegi e soldi non sono solo a livello nazionale.
Lo scontro “laico” a livello governativo in Italia è purtroppo tra i sostenitori di una chiesa e religione cattolica di stato o di uno stato del papa …

enrico

Esatto, per la chiesa la politica italiana è come il maiale, “non si butta via niente”.
Le destre servono per negare i più elementari diritti civili, la sinistra per l’immigrazione senza regole, il centro va bene per tutto, sempre disponibile.
é bello vincere facile quando non c’è un popolo ma un gregge ben addestrato……

Diocleziano

Strano che a uno Stato che è stato capace di derubare i suoi cittadini nottetempo, non trovi
una soluzione pulita ed efficace semplicemente decurtando di un 50% la quota del balzello
– non dovuto – che versiamo annualmente nei caveau di questa mantenuta.

E poi, in uno slancio di intelligenza inconsulto, proibire che dalle casse comunali, regionali
o comunque di pubblica finanza, si possano distrarre fondi per regalìe che esulano
dall’interesse specifico; soprattutto per quelle amministrazioni perennemente in deficit.

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