I Patti Lateranensi e il Concordato firmati dal regime fascista e dal Vaticano condizionano ancora oggi in senso confessionalista il nostro paese. Per comprendere meglio il contesto politico e culturale in cui sono nati questi accordi abbiamo intervistato Mimmo Franzinelli, storico del fascismo, sul numero 4/2022 del nostro bimestrale Nessun Dogma.
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L’Italia è ancora fortemente condizionata da un confessionalismo di stampo cattolico, che trova legittimità nei Patti lateranensi e nel concordato stipulati dal regime fascista e dal Vaticano e traghettati nell’attuale assetto costituzionale democratico con modifiche e compromessi, che però non ne hanno intaccato il cuore. Per capire meglio come si è arrivati in origine alla stipula di questi accordi è utile un inquadramento storico del fascismo e dei suoi rapporti con la chiesa cattolica. Abbiamo quindi intervistato il professor Mimmo Franzinelli, autorevole storico che ha dedicato molte opere al fascismo e alla Resistenza, per far luce su questioni così complesse.
Tra gli aspetti che Franzinelli ha indagato nella sua corposa produzione, caratterizzata da un piglio critico e laico, possiamo citare lo squadrismo, la figura di Benito Mussolini tra pubblico e privato e la propaganda del regime, il “connubio” tra cattolicesimo e fascismo, l’opposizione degli antifascisti e la lotta partigiana, la Repubblica sociale italiana e i crimini nazifascisti. Le sue considerazioni offrono perciò spunti stimolanti per comprendere meglio la questione concordataria e per interrogarsi sulle prospettive di una evoluzione sociale e istituzionale in senso laico del nostro paese.
Il Regno d’Italia, nonostante la presa di Roma, cercò comunque di assicurare le prerogative e l’autonomia del papa con la legge sulle guarentigie. Cosa impedì che si arrivasse alla stipula del concordato prima della presa del potere del fascismo?
Credo che a impedirlo furono le eccessive pretese del pontefice che, avendo per così dire una concezione spirituale e politica autocratica, non era disposto a negoziare, a scendere a patti. Non era disposto ad esempio ad accettare la libertà di culto per le altre confessioni cristiane. Quindi ciò che il pontefice avrebbe richiesto non era possibile, per uno stato liberale, concederlo. Il motivo, molto semplice, è questo.
Benito Mussolini aveva un passato di notorio anticlericale, eppure non ebbe scrupoli a sottoscrivere i Patti lateranensi. Come si spiega questo clamoroso voltafaccia? Può essere considerato un precursore degli attuali identitaristi cristiani?
Benito Mussolini era anzitutto un cinico amorale: quindi non era legato a dogmi, a verità, ma inseguiva il suo potere, personale e politico. Di conseguenza in giovane età, quando forse aveva qualche idealità, era anticlericale perché la chiesa cattolica era il potere retrivo, contrario al progresso e alla modernizzazione. Come anticlericale in effetti non si limitò a scrivere una serie di pamphlet, addirittura scrisse anche il romanzaccio storico d’appendice L’amante del cardinale. Claudia Particella.
Ma scese persino alle vie di fatto, ad esempio contro padre Agostino Gemelli, che faceva propaganda dell’acqua miracolosa di Lourdes. Per cui era un anticlericale di tipo materialista molto, molto antireligioso. Quando la politica nel primo dopoguerra gli fece intravedere una via d’accesso al potere, si rese conto che doveva avere il via libera dei poteri forti. I poteri forti erano naturalmente gli imprenditori, e anche la massoneria e di nuovo il Vaticano. A tal punto giocò una linea politica molto intelligente da riuscire a compiacere il Vaticano, affinché scaricasse il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Non dimentichiamo che i Fasci italiani di combattimento, fondati a Milano nella cosiddetta adunata di piazza San Sepolcro il 23 marzo del 1919, avevano un programma eversivo e risolutamente anticlericale.
Poi però nel cammino verso il potere ci fu appunto un rapido voltafaccia. Per cui l’intesa stato-chiesa – tra il cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini – da entrambi i contraenti fu vista come un patto di tipo strumentale, in cui ognuno “cavalcava” l’altro e grazie al quale i due poteri si legittimavano in modo reciproco. La rottura non avvenne, come molti affermano, per la questione delle persecuzioni razziali: perché la Chiesa era tradizionalmente antiebraica, quindi il problema non era lì. Il problema stava nel vulnus del concordato, che prevedeva una garanzia per gli ebrei nel caso fossero diventati cristiani: una garanzia che invece le leggi razziali violarono. Poi fu durante la guerra, quando la guerra andò male, che il Vaticano si smarcò progressivamente.
Al senato (di nomina regia) vi furono anche voti contrari all’approvazione. Chi furono questi ormai dimenticati dissenzienti e in quali termini si espressero all’epoca per motivare l’opposizione?
Il concordato fu concepito da Mussolini come il suo capolavoro personale e politico. Egli fece suonare la grancassa della propaganda in Italia e all’estero, potremmo dire, per legittimare preventivamente su basi più estese il potere del fascismo. Mussolini perciò concepì la ratifica parlamentare come appunto una grancassa di propaganda. Questo alla camera andò bene, perché la camera dal novembre del 1926 si componeva di soli fascisti, dato che i cosiddetti “aventiniani” furono privati dello status di parlamentare. Ma al senato, come sappiamo di nomina regia, vi erano alcuni vecchi liberali che trovarono – in pochi casi, ma significativi – il coraggio di andare controcorrente.
Ne citerei soprattutto due, i più autorevoli: Francesco Ruffini e, in particolare, Benedetto Croce. Benedetto Croce tenne un discorso continuamente interrotto dalla claque dei senatori fascisti. Questo discorso, in cui ribadiva le ragioni che impedivano a un liberale di acconsentire al concordato, gli attirò l’odio da parte di Mussolini, dei gerarchi e dell’intera stampa italiana (perché era tutta controllata dal regime fascista). Quindi è un aspetto molto interessante dei rapporti tra Croce e il fascismo. All’inizio, intorno al 1922-1923, Croce era favorevole a Mussolini e ai suoi, ma poi si staccò dopo il delitto di Giacomo Matteotti. Croce nel suo intervento sul concordato ebbe veramente il coraggio civile e la dignità morale di ribadire le prerogative dell’individuo contro uno stato che oramai si avviava verso una direzione totalitaria.
Nel Partito fascista e negli ambienti del regime che tipo di dibattito interno ci fu sull’opportunità di approvare i Patti lateranensi?
Dentro il fascismo, che aveva le sue origini anche in una parte di sindacalisti rivoluzionari, di repubblicani, di anticlericali, ricorderei per tutti Guido Podrecca. Questi, assieme a Gabriele Galantara, fece uscire il settimanale L’Asino, che fino al 1925 era proprio il vessillifero dell’anticlericalismo italiano. Podrecca tra l’altro morì prima del concordato. Ma altri videro con molto fastidio questa intesa: però trattandosi di una componente marginale, alla fine fecero buon viso a cattivo gioco. Ci furono alcuni fascisti che, stranamente, avevano mantenuto un orientamento anticlericale e che non concepivano un’ingerenza pesante della chiesa nella società italiana. Perché con il concordato ci furono i cappellani militari nell’esercito, le suore negli ospedali, i preti nelle scuole elementari e via dicendo. Non potevano però mettersi di traverso rispetto a quello che a Mussolini sembrava un caposaldo del regime fascista: quindi dovettero fare buon viso a cattivo gioco e tra tanti fascisti vi fu ufficialmente una posizione concordataria.
Quali furono invece le reazioni agli accordi con il Vaticano dei partiti e degli esponenti politici organizzati clandestinamente?
Partiamo da un presupposto: è un dato di fatto che nel 1929 l’opposizione era schiacciata, costretta in parte all’esilio e dispersa tra il confino e le carceri politiche. Ci fu da parte dell’opposizione cattolica, che era nettamente minoritaria, un certo fastidio. Ricordo Francesco Luigi Ferrari che era in esilio a Lovanio, in Belgio: dedicò alcuni articoli a questo aspetto, anche con un certo qual imbarazzo, perché essere cattolici e antifascisti a questo punto diventava qualcosa di atipico e di stridente. Per la rimanente parte dell’antifascismo, quali possono essere i comunisti, i socialisti e poi gli azionisti, c’era naturalmente un’opposizione al concordato tanto più come esito, come sbocco pratico. Gli ecclesiastici, tranne poche voci isolate e delle timide eccezioni, si trasformarono in una cinghia di trasmissione del consenso e della ideologia fascista.
Papa Pio XI accolse la stipula sostenendo che ci voleva «anche un uomo come quello che la provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale». Il “popolo” cattolico quanto condivideva questo giudizio sul dittatore e sulla «scuola liberale»?
Quella frase – quanto meno, diciamo, infelice – del pontefice fu pronunciata all’udienza da lui concessa il 13 febbraio 1929 ai professori e agli studenti dell’Università cattolica del Sacro cuore di padre Agostino Gemelli, un filofascista strumentale. Quella frase venne semplificata in «Mussolini è l’uomo della provvidenza», ma anche se il papa non usò proprio questa espressione il senso era quello: su questo non ci piove. Il grosso del mondo cattolico, dei fedeli, non fece una piega e accettò, anzi salutò con gioia, la svolta concordataria: lieto di entrare a questo punto anche ufficialmente, diciamolo pure, nella gestione del potere. Quindi in quella ufficialità della quale prima la mancata soluzione della questione romana aveva impedito appunto ai cattolici di far parte. Per cui anche in questo caso, tranne poche eccezioni, direi tranne pochi casi di coscienza, il gregge cattolico seguì il pastore.
Se nel 1929 fosse stato al potere Alcide De Gasperi, con il Partito popolare, come e quanto sarebbe stato diverso il testo del concordato?
Alcide De Gasperi, sebbene oppositore del fascismo, era legato da vincoli di adesione, di fedeltà, di fede al cattolicesimo. Il cattolicesimo, ancora nella prima metà del novecento, significava gerarchia: cioè seguire le direttive del pontefice. Quindi credo che, sia pur con problemi di coscienza e con sottili distinguo, in questa ipotesi che noi facciamo di tipo ucronico De Gasperi avrebbe avuto la scelta tra adattarsi a plasmare un testo gradito alle gerarchie ecclesiastiche oppure ritirarsi in disparte. Perché i tempi non erano maturi per una autonomia, sia pur relativa, del ceto politico che faceva riferimento alla chiesa cattolica in campo spirituale.
Nel suo ultimo libro Il fascismo è finito il 25 aprile 1945 (Laterza, 2022) smonta l’idea rassicurante che l’Italia abbia chiuso i conti con il fascismo. Possiamo dire che i Patti lateranensi, tuttora menzionati nella Costituzione all’articolo 7, rappresentino uno degli strascichi irrisolti dell’eredità fascista che gravano ancora sulla nostra storia? Come vede la questione in una prospettiva futura, di eventuale mantenimento dei Patti lateranensi?
Il fascismo è stato un regime molto ben radicato in profondità nell’Italia, perché ha sviluppato dei prodromi autoritari che già in epoca liberale erano presenti. Pensiamo a figure come il capo del governo Francesco Crispi, pensiamo alla sanguinosa repressione dei moti del 1898. Quindi il fascismo inverò questi semi, li fece sviluppare con la malapianta della tirannia. Non fu quel regime da operetta che gli antifascisti hanno troppo spesso rappresentato: fu un regime molto serio. Quindi lasciò degli strascichi notevoli, delle posizioni, dei pozzi avvelenati per la democrazia. Nei termini di una magistratura che rimase, praticamente senza eccezione, composta dagli stessi personaggi che avevano fatto carriera nel regime e avevano compiaciuto il dittatore; anche la polizia, i prefetti di carriera e non solo.
Questa è stata chiamata la dottrina della continuità dello stato: è però passata, potremmo affermare, quasi in modo sotterraneo. Mentre il concordato, inserito nell’articolo 7, ha rappresentato l’aspetto più visibile di continuità dello stato. Forse non si è colto a sufficienza questo aspetto anche perché, nel connubio tra democristiani e comunisti, una parte cospicua della società italiana accettò quello che potremmo chiamare un compromesso. Un compromesso che personalmente ritengo assolutamente nefasto, perché diede il segno di una continuità di dominio spirituale che era il contrario della libertà di coscienza. In effetti quindi è così, è vero: il concordato fu uno scoglio contro la libertà e questo scoglio fu piantato, fu consolidato appunto, per dirla in modo semplice, da Palmiro Togliatti e da Alcide De Gasperi, che avevano storie diversissime.
Ma allora ci si pone la domanda: come mai Togliatti fece questo atto appunto molto discutibile? Il motivo è semplice: il Partito comunista voleva essere un partito di massa, voleva accettare tra i suoi iscritti migliaia, se non milioni, di italiani che avevano avuto la tessera fascista e voleva, dichiarando di non avere l’intenzione di scatenare la guerra di religione, accettare l’impostazione chiamiamola maggioritaria, rinunciando quindi a una battaglia che sarebbe stata coraggiosa per l’autonomia e per l’indipendenza dello stato.
Auspico che qualsiasi retaggio di concordato che collochi una religione in una posizione di supremazia venga lasciato alle spalle. Ma sono anche convinto che ultimamente, in questi ultimi decenni, ci sia un processo di secolarizzazione e che anche alcune prese di posizione del pontefice attuale siano, in qualche modo, una svolta rispetto a una tradizione chiesastica nella quale il pontefice e la gerarchia erano custodi intransigenti di un dogma che essi stessi elaboravano. E oggi mi pare di notare delle frizioni non secondarie tra il pontefice e addirittura la curia vaticana.
Intevista a cura di Valentino Salvatore
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“Come anticlericale in effetti non si limitò a scrivere una serie di pamphlet, addirittura scrisse anche il romanzaccio storico d’appendice L’amante del cardinale. Claudia Particella.”
Pare che il Mussolini socialista fosse stato anche “ateo.”
Sarebbe interessante pubblicizzare questo aspetto, e conoscere il titolo, e magari anche il contenuto, di quei pamphlet.
Io conosco solo l’aneddoto dell’orologio, quello in cui 56 disse “se dio esiste, gli dò cinque minuti per fulminarmi”. Ma non ricordo davanti a chi pronunciò tali parole.
Ricordo anch’io di aver letto tale aneddoto una cinquantina di anni fa, forse su Historia.
Anche il romanzo mi pare fu pubblicato a puntate da qualche parte.
Io suggerirei di farne uno sceneggiato televisivo senza pudore per la gioia di Giorgia.
Per avere notizie sui pamphlets credo bisogni consultare De Felice, il primo volume.
Cercherollo in biblioteca, forse.
All’epoca essere anticlericali era diffuso, sapevano bene che tipo di potere fosse stato la chiesa e le sue posizioni antirisorgimentali. Ed infatti il potere della chiesa era stato progressivamente eroso anche dalla stessa monarchia, poi purtroppo è arrivato il fascismo.
Il partito socialista era fortemente anticlericale ed in genere anche su posizioni atee: ho letto che lo stesso Mussolini prima della guerra avrebbe emanato delle direttive in Romagna per vietare agli iscritti al partito comportamenti religiosi.
Poi la guerra e l’ascesa del fascismo hanno cambiato tutto ed i vecchi nemici sono diventati i nuovi amici contro i nuovi nemici di Mussolini nella sua ascesa. E noi ne paghiamo ancora le conseguenze. Fosse stato per la monarchia non avremmo il Vaticano, i cappellani militari, l’ora di religione nelle scuole, la presenza pubblica della chiesa ed i suoi privilegi ed una chiesa fortemente ridimensionata e parificata alle altre religioni, come dovrebbe essere in un paese normale, civile e moderno. Hanno quindi tutto da festeggiare i Patti Lateranensi in pompa magna la chiesa e i clericali. Non è un caso che la chiesa a fine guerra abbia fatto enormi pressioni affinche il concordato fosse mantenuto ed inserito in costituzione, bloccando e ricattando il nostro futuro.