I batteri dentro di noi

Ricerche sempre più avanzate ci permettono di conoscere meglio il microbioma e di sapere in che modo influenza la nostra vita. Il ricercatore Andrea Telatin ne scrive sul numero 3/21 di Nessun Dogma.

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Negli ultimi dieci anni, la ricerca sui microrganismi che vivono abitualmente nel nostro corpo è aumentata a dismisura (nel 2020 sono stati pubblicati oltre ventimila articoli scientifici sul tema, a fronte del migliaio del 2010).

Per capire come siamo arrivati a un’ondata d’interesse per questi batteri, collettivamente denominati microbioma umano, e come mai per tanti anni non siano stati oggetto di approfondite ricerche, dobbiamo fare un passo indietro e seguire un sentiero di innovazioni tecnologiche.

I batteri sono presenti in ogni angolo del pianeta, alcune specie sono persino in grado di colonizzare ambienti che potrebbero essere considerati inadatti alla vita, come le caldissime sorgenti idrotermali dei fondali oceanici, che superano i 100°C, gli ambienti a elevata salinità come il Mar Morto, e inoltre abitano il nostro pianeta da molto prima che vi comparissero piante e animali.

Come è iniziata la nostra relazione con i microbi

Batteri e lieviti sono alla base della fermentazione, nella lievitazione del pane e nella vinificazione del mosto, e naturalmente sono stati la causa di malattie infettive ed epidemie. Tutto questo accadeva da molto prima che potessimo renderci conto dell’esistenza di queste bestiole, viste per la prima volta al microscopio nel seicento e chiamate – per l’appunto – animalcules da Antoni van Leeuwenhoek.

Con la scoperta dei microbi, la teoria che li vede come causa di alcune malattie iniziava a prendere forma, ma sarebbero serviti ancora due secoli per vederla pienamente accettata e supportata da solide evidenze.

Scoperta dopo scoperta, agli inizi del novecento il concetto di germe patogeno era già entrato nell’immaginario collettivo, e con questo i primi fenomeni di germofobia: alcune riviste popolari dell’epoca riportano aneddoti di persone ossessionate dalla pulizia e dalla sterilizzazione, terrorizzate dalla possibilità di contrarre malattie; tutto questo è interessante considerando che si tratta di entità che non potevano essere viste!

Nella popolazione si era quindi instaurata l’equazione fra batteri e patogeni, ma anche fra gli scienziati l’interesse a capire e sconfiggere le malattie infettive ha portato a una ricerca fortemente squilibrata verso questi ultimi, sebbene fosse chiaro che molti batteri non siano mai patogeni, e la maggior parte dei batteri non abbia alcuna interazione con animali o piante.

La microbiologia moderna è nata con la possibilità di “coltivare” i microorganismi in provetta, e per poterlo fare è necessario trovare le condizioni adatte alla crescita dei batteri (temperatura, pH, salinità, nutrienti…), e ci si è resi presto conto di quanto sia difficile convincere alcuni batteri a crescere in laboratorio.

Le colture batteriche sono tipicamente pure: un solo tipo di batterio viene fatto crescere in provetta o in piastre (come nella foto che trovate a pagina 40), per non avere ambiguità nell’interpretare i risultati degli esperimenti.

La comprensione del mondo dei batteri a base di osservazioni al microscopio ed esperimenti in provetta ha contribuito a deformare la nostra visione del micromondo.

Un nuovo microscopio

La possibilità di sequenziare il Dna (diventata routine negli anni novanta) ha aperto una nuova via per l’osservazione (indiretta) dei microrganismi, dandoci la possibilità di confrontare il grado di similarità di sequenze provenienti da organismi diversi, con un potere di risoluzione sconosciuto alle semplici osservazioni microscopiche. La vera rivoluzione in questo senso è arrivata all’inizio di questo secolo con l’avvento di nuove tecnologie per il sequenziamento, che ci hanno permesso di sequenziare contemporaneamente miscele di genomi dei microrganismi trovati in un certo sito.

Questo nuovo approccio è stato definito metagenomica, e significa appunto sequenziare tutti i genomi che si possono estrarre da un campione, che può essere un decilitro di acqua marina o lacustre, una manciata di suolo, o un campione prelevato dalla pelle. Pressoché ogni angolo del nostro pianeta ospita una comunità di batteri, virus, funghi di specie diverse, che spesso necessitano l’uno di prodotti e segnali sintetizzati dall’altro (e da qui la difficoltà di coltivare in laboratorio individualmente molte specie). Queste comunità sono chiamate microbiomi (mentre l’insieme delle loro informazioni genetiche è appunto il metagenoma).

Queste nuove tecniche hanno riacceso l’interesse per descrivere e capire la biodiversità, sia sul fronte degli ecosistemi (dai laghi alpini alle profondità marine) sia su quello dei microbiomi associati a organismi ospite.

Mi limiterò a descrivere alcuni risultati ottenuti con l’analisi del microbioma intestinale, che mediaticamente è quello che ha suscitato più attenzione.

La rivincita dell’intestino

Le feci umane sono sempre state una fonte di studio per i microbiologi, alcuni dei batteri che vivono nel nostro intestino sono coltivati d’abitudine nei laboratori di ricerca da svariate decadi, ed è anche chiaro da tempo che abbiamo una flora batterica residente nel nostro intestino che non nuoce alla nostra salute ma addirittura la beneficia.

Ma escludendo pochi indizi su cosa questa massa di batteri potesse fare (ad esempio scindere molecole complesse aiutandoci ad assimilarle, o produrre vitamine che noi non siamo in grado di sintetizzare), i mezzi di indagine erano inadeguati a rispondere alla maggior parte delle domande sul ruolo del microbioma e sulle differenze nella sua composizione tra un individuo e l’altro.

Con il sequenziamento massivo abbiamo avuto la possibilità di decifrare la composizione del microbioma, di leggere il Dna di ogni suo abitante (sia che fosse già noto da tempo, o sconosciuto), e di confrontare i cambiamenti nella composizione tra un momento e l’altro della vita, e tra un individuo e l’altro. Ne abbiamo scoperte delle belle.

Un esperimento (pubblicato nel 2006 sulla rivista Nature) che ha catturato l’interesse di moltissimi ricercatori è stato fatto usando speciali topi da laboratorio privi di microbioma intestinale (detti gnotobiotici). Questi topi sono stati divisi in due gruppi cui è stato offerto lo stesso cibo, ma a un gruppo è stato inoculato il microbioma intestinale di topi obesi, mentre al secondo il microbioma intestinale prelevato da topi normopeso.

Il risultato, piuttosto sorprendente, fu che i topi che avevano ricevuto il microbioma da donatori obesi erano diventati obesi a loro volta, cosa non accaduta ai topi di controllo. Molti aspetti restano da chiarire, ma studi come questo hanno dimostrato che i batteri intestinali hanno un ruolo importante nella fisiologia umana, e non sono semplici passeggeri in cerca di un luogo protetto e di pasti regolari. Gli studi sul microbioma intestinale sono aumentati esponenzialmente proprio dopo il 2006.

Dopo quegli studi pionieristici, è stato verificato il coinvolgimento del microbioma intestinale in molti ambiti della salute umana, anche quelli meno scontati come la salute mentale: pare infatti che i batteri intestinali siano in grado di sintetizzare neurotrasmettitori (come la serotonina) che possono influenzare stati di ansia o depressione.

Non è solo il vasto raggio di fenomeni influenzati dal microbioma intestinale a spiegare il forte interesse dei ricercatori (e del pubblico), ma anche l’apparente semplicità con cui possiamo perturbarlo (modificando l’alimentazione o assumendo cibi ricchi di probiotici), e persino sostituirlo (con il cosiddetto “trapianto fecale”, più o meno come è stato fatto con i topi dell’esperimento).

La difficoltà di contenere l’entusiasmo

Da anni mi occupo di analisi del microbioma intestinale, e sono il primo a essere affascinato dalle scoperte che vengono pubblicate e dalle possibilità che le loro applicazioni ci possono offrire. Il trapianto fecale è già arrivato nella pratica clinica, e il mio istituto lo svolge in collaborazione con l’unità di endoscopia dell’ospedale nei casi di pazienti infetti da Clostridium difficile, un batterio generalmente contratto durante l’ospedalizzazione che richiede l’uso di antibiotici ad ampio spettro. Ogni anno sono riportate, nel Regno Unito, 15.000 infezioni da C. difficile (il 10% dei casi risultano fatali) e la cura tradizionale a base di (ulteriori) antibiotici è efficace solo nel 30% dei casi, mentre il trapianto fecale risolve il 95% delle infezioni.

L’entusiasmo però, va contenuto.

Nelle librerie accanto a libri scritti da ricercatori ed esperti del campo (alcuni li trovate qui sotto) iniziano già a comparire testi scritti da ciarlatani che promettono l’impossibile talvolta suggerendo diete sbilanciate o pericolose, e questo è un fenomeno a cui siamo abbastanza abituati, con la differenza che è più difficile distinguere le informazioni affidabili da quelle non basate sull’evidenza.

In (piccola) parte la responsabilità è dei ricercatori, che travolti dall’entusiasmo faticano a ricordare a se stessi e agli altri i limiti delle proprie ricerche quando le divulgano. Un esempio è uno dei massimi esperti mondiali di microbioma intestinale, Rob Knight, che in un suo libro racconta della nascita di una figlia che ha richiesto un cesareo non programmato. Knight, che da anni studiava l’importanza dell’imprinting dei batteri vaginali per la colonizzazione di un sano microbioma, si è allarmato e ha chiesto di usare delle garze sterili per poter raccogliere fluidi della (povera) moglie e cercare di simulare questo imprinting. Il problema è che non ci sono solide evidenze che la pratica sia effettivamente benefica, e un editoriale del 2016 metteva in guardia sui possibili effetti collaterali. Una seconda fetta di responsabilità (un po’ più grande) ce l’hanno i centri di ricerca che cercano di produrre comunicati stampa accattivanti, spesso amplificando la portata delle ricerche effettuate dai loro scienziati e non sottolineandone adeguatamente i limiti. Molti esempi di questo problema sono stati raccolti nel suo blog da Jonathan Eisen, luminare dell’Università della California, sotto il titolo Overselling the Microbiome Award (più o meno un Premio alle Esagerazioni sul Microbioma).

Quello che vale per tutte le ricerche sulla salute umana (ossia che dopo le prime evidenze in laboratorio servono anni di verifiche per valutarne i benefici e i rischi), vale anche per il microbioma, con la differenza che è apparentemente molto più semplice e innocuo tentare di alterarlo.

Mi prendo quindi un paragrafo per ricordare che il trapianto fecale è stato dimostrato efficace solo per trattare le infezioni da C. difficile e che la procedura è complessa e deve essere effettuata in centri specializzati (per esempio dopo aver valutato l’assenza di patogeni nel donatore). A molti sembrerà scontato, purtroppo d’oltreoceano arrivano i primi racconti di trapianti domestici.

Anche qui da noi, in Europa, i supermercati iniziano a popolarsi di ogni sorta di elisir per rafforzare il nostro microbioma, i cosmetici dichiarano (spesso senza fondamento) di «rispettare il naturale microbioma della pelle», e attendiamo con ansia le “diete del microbioma” per prepararsi alla prova costume. Vale la pena ricordare che quasi nulla di tutto ciò che viene scritto in etichetta è scientificamente dimostrato
(o rilevante per la nostra salute), e che – per quanto riguarda la dieta – abbiamo esigenze diverse e ci sono veri professionisti che ci possono accompagnare a formulare un piano alimentare adeguato.

Le ragioni per mantenersi ottimisti

Tenendo a mente l’importanza della cautela quando leggiamo i progressi scientifici nel campo del microbioma intestinale (o umano in generale), non possiamo che sostenere con ottimismo le ricerche nel campo. Anzi, proprio per la relativa facilità con cui la ciarlataneria può riuscire a vendere, con argomentazioni convincenti, prodotti e rimedi legati al microbioma, è essenziale avere a disposizione gruppi indipendenti di ricercatori che – al riparo dalle pressioni e dai facili entusiasmi – continuino ad applicare con rigore il metodo scientifico, fatto di controlli sperimentali, di conferme indipendenti e… di sano scetticismo.

Gli strumenti a disposizione per fare studi su larga scala (ci sono ricerche che hanno valutato l’evoluzione del microbioma in migliaia di volontari!) erano inimmaginabili fino a solo un decennio fa, e sono convinto ci forniranno strumenti concreti per intervenire sulla salute umana in modi innovativi e limitando il ricorso a terapie d’urto (come gli antibiotici).

Fino ad allora, continuiamo a mangiare il nostro yogurt come abbiamo sempre fatto, senza riporre immotivata fiducia nei simpatici fermenti che contiene.

#microbioma #dna #ricerca #intestino

Andrea Telatin

Per approfondire:

– Rob Knight, Segui la pancia. Non tutti i microbi vengono per nuocere, Rizzoli (2015)

– Tim Spector, Il mito della dieta. La vera scienza dietro a ciò che mangiamo, Bollati Boringhieri (2015)

– Martin Blaser, Che fine hanno fatto i nostri microbi? Come l’abuso di antibiotici aumenta le malattie della nostra epoca, Aboca (2019)

Video sul trapianto fecale (Quadram Institute)

 

 

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