Le politiche di Viktor Orbán in Ungheria somigliano a quelle di Putin in Russia, riadattate però in chiave cattolica e clericale: una deriva autoritaria condita con difesa della famiglia “tradizionale”, negazione dei diritti delle persone Lgbt+, incentivo al natalismo, promozione dell’identitarismo cristiano, politiche xenofobe. Affronta il tema Arianna Tersigni sul numero 6/2022 della rivista Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
L’Ungheria è storicamente uno stato cristiano: la tradizione cattolica risale agli inizi del primo millennio, e sono sempre state presenti nel paese consistenti minoranze ortodosse; la Riforma contribuì, nel sedicesimo secolo, allo stabilizzarsi del luteranesimo e del riformismo. Anche la comunità ebraica, seppur non in larga misura, è stata sempre presente.
Se fino al 1948 vigeva la libertà di culto ed erano diffuse le istituzioni religiose, con l’instaurarsi del regime comunista i gruppi religiosi vennero pesantemente depotenziati e osteggiati nelle loro attività. L’istruzione venne completamente statalizzata, gli ordini religiosi banditi, le proprietà immobiliari delle comunità religiose in gran parte confiscate e molti personaggi di spicco furono arrestati, condannati e in alcuni casi addirittura torturati. Se non completamente dichiarate fuori legge, molte chiese passarono sotto il controllo di funzionari statali che avevano anche il potere di nominare vescovi e cardinali.
Soltanto negli anni ottanta il controllo statale sulla religione andò pian piano allentandosi, fino a quando, con il crollo del regime comunista, nel paese venne instaurata nuovamente una completa libertà religiosa e sancita l’indipendenza delle varie chiese con una relativa tutela costituzionale, culminata con l’Act of Freedom of Conscience and Religion and the Churches del 1990, documento regolante nel dettaglio la libertà di culto sia a livello individuale sia a livello collettivo.
Al giorno d’oggi, la costituzione ungherese tutela la neutralità dello stato e delle relative istituzioni in materia di religione. Tuttavia, pur essendo sancita la divisione tra stato e chiese, la costituzione stessa prevede che lo stato possa assumere un ruolo attivo nel fornire una cornice giuridica e istituzionale e un supporto economico alle chiese per assicurare il libero esercizio delle pratiche e delle attività religiose.
I culti religiosi “registrati” come tali sono esentati dal pagare varie imposte e tasse (ad esempio, i contributi che spettano al clero non sono tassati). I quattro “storici” gruppi religiosi (il cattolicesimo, che da solo raccoglie il 55% della popolazione ungherese, il riformismo, il luteranesimo e l’ebraismo) ricevono il 93% del sostegno economico statale destinato alle confessioni religiose, e possono inoltre ricevere notevoli agevolazioni fiscali.
Dal 1998 i cittadini hanno la possibilità di devolvere l’1% dell’imposta sul proprio reddito a un gruppo religioso a loro scelta; i fondi che i vari gruppi religiosi ricevono in questo modo posso essere da loro utilizzati liberamente, senza dover essere sottoposti ad alcun controllo statale.
Il governo può versare ulteriori finanziamenti pubblici a beneficio di enti religiosi per vari scopi, tra cui figurano il mantenimento del patrimonio artistico, il supporto all’istruzione religiosa, le ristrutturazioni di immobili adibiti al culto e l’assistenza al clero al servizio nei centri urbani più piccoli.
Il governo si sta inoltre impegnando per restituire ai vari gruppi religiosi le proprietà confiscate loro e statalizzate durante il regime comunista; quando la restituzione di queste proprietà immobiliari non risulta possibile, il governo può: o procedere a compensazioni di tipo economico per coprire il “danno” provocato dall’esproprio del bene, o trasformare il rimborso in una rendita finanziaria nei confronti dell’ente religioso in questione o delle attività da questo promosse.
Dal 1991 a oggi, circa 4.000 immobili sono stati oggetto di restituzione, soprattutto alla chiesa cattolica e a protestanti e luterani. Ma il settore dove l’ingerenza della chiesa è maggiore è quello dell’istruzione: le scuole e le università gestite da ordini religiosi forniscono svariati percorsi formativi che competono con quelli degli istituti di istruzione statali (uno studio ha rilevato che durante l’anno scolastico 2007/2008 il 17% degli studenti delle scuole secondarie frequentava scuole religiose).
Le organizzazioni religiose possono provvedere all’insegnamento della religione anche nelle scuole pubbliche se ciò viene richiesto dagli studenti o dai loro genitori e a supervisionare e controllare l’attività degli insegnanti di religione sono le istituzioni ecclesiastiche, che possono decidere liberamente il contenuto delle lezioni.
Gli insegnanti di religione sono stipendiati dall’ente di provenienza; tuttavia, lo stato finanzia di volta in volta questi specifici enti per supportarne l’attività di insegnamento. La richiesta dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche è estremamente alta e diffusa nelle zone rurali del paese, mentre nei centri urbani più grandi è decisamente limitata.
Nel 2010 il secondo governo di Orbán intavolò un dialogo con i quattro storici gruppi religiosi con lo scopo di mettere in atto una partnership strategica tra chiese e stato (i rapporti tra lo stato e la chiesa cattolica erano già regolati da tre trattati vaticani, datati 1990, 1994 e 1997). Tuttavia, e soprattutto con il crescente consenso per la destra, l’Ungheria è sempre più caratterizzata da sentimenti ed episodi di portata antisemita.
Nonostante l’Ungheria si dichiari impegnata a tutelare la libertà di credo religioso con un complesso assetto di norme ad hoc, istituzioni e autorità ebraiche hanno espresso serie preoccupazioni riguardo alla percezione di una sempre maggiore intolleranza verso la comunità ebraica nel dibattito pubblico, prendendo anche ad esempio eventi di portata antisemita; per esempio, nel 2010, furono danneggiati a Székesfehérvár i monumenti in memoria delle vittime dell’Olocausto e dei soldati che presero parte alla lotta di liberazione nazionale durante la seconda guerra mondiale e fino a oggi sono stati centinaia i casi di vandalismo all’interno dei cimiteri ebraici.
Dopo aver analizzato il quadro storico e istituzionale delle confessioni religiose in Ungheria, ci chiediamo come possa essere collocato il crescente appellarsi alla “cristianità” da parte di Viktor Orbán, attuale primo ministro del paese e leader del partito democristiano Fidesz.
La sociologa ungherese Éva Fodor, in una recente intervista rilasciata alla rivista New Humanist, ha affermato che «l’attuale democrazia cristiana in Ungheria non ha niente a che fare con la religione e la tradizione europea» ma che si tratta di una mera «manovra politica che consiste nel raccogliere consenso elettorale attraverso la creazione di una lotta simbolica tra gli ungheresi che vogliono proteggere le loro tradizioni e influenze esterne che vorrebbero distruggerle. Gli ungheresi sono cristiani in un senso culturale (…) nella storia ungherese ci sono state poche organizzazioni civili gestite dalla chiesa.
Ciò che Orbán ha fatto al giorno d’oggi è stato dare alle organizzazioni civili che hanno dimostrato lealtà nei suoi confronti più potere all’interno dello stato». Lo stesso Orbán era in giovane età ateo e sostenitore del regime comunista; fondò Fidesz (acronimo di Alleanza dei giovani democratici) nel 1988 e il partito ottenne i primi seggi nel parlamento ungherese a seguito delle elezioni del 1989. Fidesz si presentò in un primo momento come soggetto politico liberale; negli anni, tuttavia, il suo allineamento è nettamente cambiato.
A oggi, Fidesz è connotato da spiccati nazionalismo, conservatorismo, euroscetticismo e illiberalismo, tanto che nel 2019 è stato sospeso dall’appartenenza al Partito popolare europeo. Alle elezioni parlamentari di quest’anno, Fidesz ha conseguito una vittoria schiacciante rispetto agli altri partiti, ottenendo più del 50% dei voti e riconfermandosi come primo partito al governo.
Da qualche anno a questa parte, le politiche di Orbán sembrano mirate a «proteggere la cultura cristiana ungherese», come da lui stesso sottolineato; oltre a ciò, egli ha instaurato un forte legame con il clero. Indagini statistiche mostrano chiaramente che l’affiliazione al cristianesimo è più forte e diffusa nelle aree rurali piuttosto che nelle città, ed è proprio in queste aree periferiche che risulta maggiormente ancorato il supporto nei confronti dell’attuale primo ministro.
Nel 2019 Orbán ha presentato il Family Protection Action Plan, un piano mirato a incentivare le gravidanze e combattere il declino demografico nel paese, costituito da sette punti che comprendono mutui agevolati per donne sposate e incinte, esenzione dalle tasse per le donne con almeno quattro figli e aiuti statali per quanto riguarda l’acquisto di alloggi e di macchine per le famiglie con più di due figli.
La chiesa ha fin da subito supportato questa politica di welfare che, invece che nei confronti dei singoli cittadini, è indirizzata soltanto ai nuclei familiari comprensivi di figli. Con questo progetto, Orbán si presenta come leader dedito a proteggere i «valori della famiglia tradizionale» contro chi, da occidente, a parer suo, vuole invece «distruggerli».
La difesa della “famiglia tradizionale” cela profonde e sistematiche discriminazioni e repressioni perpetrate ai danni della comunità Lgbt+ in Ungheria. Pur rimanendo l’omosessualità legale e la discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere vietata nel paese, il clima che si respira nella comunità è tutt’altro che sereno. Le coppie omosessuali possono accedere alle unioni civili soltanto in modalità limitata e non hanno diritto alle adozioni (dichiarate addirittura incostituzionali nel 2020); dal 2020 inoltre, per decisione di Orbán, le persone transgender non hanno più la possibilità di cambiare il proprio genere giuridico.
Una legge che ha fatto poi ampiamente discutere è stata quella approvata nel 2021 dal parlamento ungherese e che vieta la diffusione di materiale informativo sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere nelle scuole, e in generale nei confronti dei minori di 18 anni; giustificando tale decisione con l’affermazione che «ci sono contenuti che i bambini sotto una certa età possono fraintendere e che possono avere un effetto dannoso sul loro sviluppo»; la legge inoltre stila un registro, preparato dal governo, di soggetti che possono svolgere lezioni di educazione sessuale nelle scuole.
Un’altra battaglia nell’agenda del governo ungherese è quella dedita al recupero dei territori persi dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale. Da anni Orbán sta mobilitando, in modo più o meno indiretto, le minoranze ungheresi presenti in Romania, Serbia, Ucraina e Slovacchia, costruendo una propaganda mirata a reclamare l’appartenenza all’Ungheria di alcune regioni di questi territori e finanziando organizzazioni locali. Dal 2010, le migliaia di ungheresi che vivono nei paesi sopracitati hanno il diritto di voto in Ungheria.
In questo modo, Orbán sta cercando di promuovere il nazionalismo ungherese e di far accrescere il supporto a Fidesz in Europa; e, in tale contesto, l’appello alla cristianità e ai valori religiosi sono strumenti funzionali al nazionalismo ungherese e alla “lotta” contro “l’ingerenza liberale occidentale”.
Le politiche di Orbán sembrano essere ispirate all’autoritarismo di Putin, ampiamente supportato dalla chiesa ortodossa russa: dalla difesa dei “valori della famiglia”, alla censura della propaganda Lgbt+, fino alle politiche per incentivare la natalità. Come ha affermato il ricercatore László Kürti, «Putin e Orbán hanno bisogno della religione per supportare le nazioni che stanno costruendo».
Tuttavia, e contro ogni previsione, i maggiori finanziamenti a Fidesz provengono da oltreoceano, da parte di organizzazioni, fondazioni e personaggi politici (tra cui figura Mike Pence, vicepresidente durante l’amministrazione Trump dal 2017 al 2021) dell’ala repubblicana e conservatrice statunitense, che guarda con favore alle politiche di incentivo alla natalità e anti-immigratorie in un paese che rimane pur sempre una democrazia.
Come ha sottolineato la politologa Anna Grzymala-Busse, in Ungheria «si tengono tuttora le elezioni, c’è sempre formalmente la libertà di stampa, ma è sostanzialmente controllata da un partito (Fidesz, ndr). Perciò per i conservatori statunitensi, è un’immagine ideale di cosa potrebbero diventare gli Stati Uniti».
Orbán non sta soltanto indebolendo la democrazia ungherese, ma sta anche costruendo un profondo culto della sua persona, fondato sulla falsa idea che l’Ungheria sia a oggi la custode della storica tradizione cristiana europea.
Arianna Tersigni
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