Per un ambientalismo razionale

La scienza non nega l’importanza dei problemi ambientali: anzi, spesso è stata la comunità scientifica a denunciarli per prima. Purtroppo molti di coloro che si occupano di ambientalismo sono privi di un’adeguata formazione scientifica e, pur non rifiutando esplicitamente la scienza, la usano per sostenere posizioni ideologiche. Ne parla il chimico e divulgatore Silvano Fuso sul numero 1/2023 della rivista Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Quasi venti anni fa, nel 2003, il grande fisico e intellettuale Carlo Bernardini (1930-2018) scriveva: «L’ambientalismo è un problema serio. Sei miliardi di esseri umani sulla Terra sono una tombola, farli campare in condizioni ragionevoli è un problemaccio: perché non si può fare a meno di usare tecnologie e le tecnologie sporcano. Le tecnologie scaldano, sputano, occupano il suolo, sono brutte a vedersi (non sempre), sono costose, i ricchi ne hanno di più» (1).

Lo stesso Bernardini però, due anni prima, aveva sottoscritto, insieme ad altri autorevoli scienziati, un manifesto che iniziava con queste parole: «Un fantasma si aggira da tempo nel Paese, un fantasma che sparge allarmi ed evoca catastrofi, terrorizza le persone, addita la scienza e la tecnologia astrattamente intese come nemiche dell’Uomo e della Natura e induce ad atteggiamenti antiscientifici facendo leva su ingiustificate paure che oscurano le vie della ragione. Questo fantasma si chiama oscurantismo. Si manifesta in varie forme, tra cui le più pericolose per contenuto regressivo e irrazionale sono il fondamentalismo ambientalista e l’opposizione al progresso tecnico-scientifico» (2).

Contraddizione? Niente affatto: tra le due affermazioni vi è una perfetta coerenza che illustra bene quale sia la posizione della scienza nei confronti dei problemi ambientali. La scienza non nega affatto la realtà e l’importanza dei problemi ambientali. Anzi, spesso è stata proprio la comunità scientifica a denunciare per prima certi problemi. Al tempo stesso però sottolinea la necessità di affrontarli in modo razionale, attraverso gli strumenti che la stessa scienza mette a disposizione e non in maniera puramente emotiva e ideologica.

Purtroppo invece molti di coloro che si occupano di ambientalismo sono spesso privi di un’adeguata formazione scientifica e, pur non rifiutando esplicitamente la scienza, la fraintendono e la manipolano per sostenere le loro posizioni ideologiche. Naturalmente poi nell’ambientalismo sono coinvolti molti altri aspetti extrascientifici che, in senso lato, potremmo definire politici poiché riguardano la vita di tutti.

L’ambientalismo è strettamente legato all’idea di natura. È un concetto che usiamo abitualmente ma che, a una riflessione più approfondita, non è affatto semplice da definire (3), anche perché noi stessi ne facciamo parte: anche quello che noi facciamo quindi può, in ultima analisi, essere considerato naturale. Il significato attribuito al concetto di natura determina a sua volta differenti filosofie di ispirazione ambientalista, che possono assumere sostanzialmente due direzioni.

La cosiddetta ecologia di superficie (4), facendo riferimento a ciò che la scienza afferma, sostiene la necessità di modificare le nostre concezioni nei confronti della natura. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo preservare l’ambiente in cui viviamo poiché da esso dipendiamo. L’ecologia profonda (5) (deep ecology) propone invece un radicale cambiamento nella scala dei nostri valori. Lo slogan che caratterizza questa tendenza è quello secondo il quale «il nostro io ecologico non è limitato alla nostra pelle» (6).

La deep ecology propone sostanzialmente un recupero della visione prescientifica della natura e assume inevitabilmente atteggiamenti antiscientifici, giungendo a una sorta di sacralizzazione della natura. In alcuni autori la critica nei confronti della scienza è esplicita. La scienza viene apertamente accusata di essere all’origine della distruzione della natura. La storica Carolyn Merchant (nata nel 1936), ad esempio, nel suo celebre libro The Death of Nature (La morte della natura) del 1980 sostiene che la natura è stata uccisa proprio dalla concezione meccanicistica tipica della scienza (7).

Molte posizioni che caratterizzano la deep ecology appaiono estremiste e, in ultima analisi, irrazionali. La sacralizzazione della natura non è dissimile da alcune forme di dogmatismo fondamentalista di carattere religioso. Essa risulta addirittura contraria a ciò che la stessa ecologia ci insegna. L’antropocentrismo che caratterizza il comportamento umano è, infatti, perfettamente coerente con una tendenza che si ritrova in tutto il mondo biologico.

Ogni specie tende a privilegiare i propri simili a discapito delle altre specie. Per usare l’interpretazione di Dawkins, ogni «gene egoista» tende a riprodurre se stesso (8). Rifiutare questo in nome di una generica moralità superiore significa negare la realtà. Inoltre ogni specie vivente ha inevitabilmente un impatto sull’ambiente e sulle altre specie. L’intera natura si regge su straordinari equilibri che però, purtroppo, sono spesso in netto contrasto con le nostre idee di moralità.

Molti ambientalisti hanno una visione sostanzialmente manichea e sembrano credere all’idea di una morale assoluta e universale cui ispirare il proprio comportamento (9). Il concetto di natura incontaminata che segue un percorso ordinato e razionale in linea con una moralità superiore è un’idea mitologica di tipo sostanzialmente fideistico e privo di ogni riscontro con il reale. Queste derive fondamentaliste inducono spesso i movimenti ambientalisti ad assumere posizioni palesemente antiscientifiche e antiprogressiste.

In certi casi si raggiunge l’eccesso, come in quelle forme estreme chiamate talvolta ecofascismo. Ad esempio, lo studioso finlandese Kaarlo Pentti Linkola (1932-2020), sostenitore della deep ecology, riteneva che la cancellazione del genere umano fosse l’unica soluzione praticabile per la salvaguardia del resto della biosfera. E per raggiungere quest’obiettivo non esitava a criticare la democrazia e a giustificare le dittature e varie forme di darwinismo sociale.

Nel 2007, l’autore della strage nel liceo finlandese di Jokela, che costò la vita a otto studenti, dichiarò di avere tra gli ispiratori anche Pentti Linkola. Indossava inoltre una maglietta riportante la scritta “Humanity is overrated”, l’umanità è sopravvalutata. Intervistato dai mass media finlandesi, Pentti Linkola affermò che i morti erano stati troppo pochi e che sarebbe stato necessario intraprendere forme più ampie di de-popolazione.

Senza arrivare a questi eccessi, tuttavia, una sacralizzazione e personificazione della natura si ritrova anche in ambienti ecologisti più moderati. Ad esempio, è oramai diventata una cosa abbastanza comune in certi ambienti ecologisti attribuire a una presunta “vendetta della natura” alcuni eventi calamitosi.

C’è anche chi ha cercato di attribuire una veste scientifica a questa ipotesi. Il caso più noto è quello dello scienziato inglese James Lovelock (1919-2022). Lovelock è autore della celebre ipotesi di Gaia. Secondo quest’ipotesi, la Terra è un enorme organismo vivente, in cui ogni parte è strettamente connessa a tutte le altre. Il nome Gaia, attribuito da Lovelock a questo organismo, deriva da quello dell’antica dea della Terra (Γαῖα o Γῆ).

Come scrive lo stesso Lovelock, la biosfera è «un’entità autoregolata, capace di mantenere vitale il nostro pianeta mediante il controllo dell’ambiente chimico e fisico. […] La sostanza vivente della Terra, l’aria, gli oceani e le superfici emerse formano un sistema complesso, che può essere visto come un singolo organismo avente la capacità di mantenere nel nostro pianeta le condizioni adatte alla vita (10). […] La condizione fisica e chimica della superficie terrestre, dell’atmosfera e degli oceani è stata ed è attivamente resa adatta e confortevole per la vita dalla sua stessa presenza. Ciò contrasta con la scienza convenzionale quando afferma che la vita si adattò alle condizioni planetarie man mano che queste e la vita stessa si evolvevano separatamente» (11).

L’ipotesi di Lovelock suscitò fin dall’inizio un grande dibattito e non furono pochi coloro che avanzarono critiche circa la scientificità delle idee in essa contenute (12). Al tempo stesso però moltissime persone la condivisero, affascinate dall’idea di far parte di un organismo superiore. Lovelock ha dedicato alla sua ipotesi numerosi scritti. Un suo libro del 2006 si intitola enfaticamente The Revenge of Gaia: Earth’s Climate Crisis & The Fate of Humanity (La vendetta di Gaia: la crisi climatica della Terra e il destino dell’umanità) (13).

I toni utilizzati da Lovelock per denunciare i “peccati” ambientali dell’uomo non sono poi così diversi da quelli utilizzati dai fondamentalisti religiosi. Egli scrive: «Così come il corpo umano utilizza la febbre per combattere un’infezione, Gaia sta alzando la temperatura per espellere un parassita dannoso: gli esseri umani. A meno che gli esseri umani non rinuncino al loro modo distruttivo e si ricongiungano alle diverse comunità degli esseri viventi in abbraccio a Gaia, Gaia allora sarà costretta ad agire in modo da garantire il suo regno supremo […]. La popolazione umana sarà ridotta a poche coppie nidificanti, entro la fine di questo secolo (14)».

L’aumento di temperatura cui si riferisce Lovelock è quello dovuto al riscaldamento globale causato dalle emissioni di anidride carbonica in atmosfera e legate all’uso dei combustibili fossili. Le previsioni di Lovelock per il futuro sono catastrofiche: «Prima che il secolo sia finito, miliardi di noi moriranno e i pochi sopravvissuti vivranno nell’Artico, almeno lì il clima sarà tollerabile. […] Sono abbastanza sicuro che quando raggiungeremo la soglia di 500 parti per milione di anidride carbonica in atmosfera assisteremo a cambiamenti climatici che sconvolgeranno il mondo. […] A questo ritmo, succederà entro i prossimi 40 anni: non credo che Stati Uniti, India e Cina taglieranno le loro emissioni in tempo. […] Un rischio gravissimo. Se la temperatura globale aumenterà di altri 2,7 gradi, i ghiacciai della Groenlandia non saranno più stabili e continueranno a sciogliersi anche se riuscissimo a diminuire la temperatura. […] Entro fine secolo potremo raggiungere il Polo Nord con una barca a vela. Ma a quel punto il ghiaccio artico non riuscirà più a fungere da aria condizionata del pianeta» (15).

In molti hanno seguito e condiviso le idee di Lovelock, spesso esasperandole ulteriormente. L’ipotesi di Gaia, pur partendo da un approccio dichiaratamente scientifico, assume progressivamente un tono ideologico. Gaia, che inizialmente doveva essere solamente una figura metaforica per indicare un sistema complesso le cui parti sono tutte interagenti, diventa, in accordo al significato originario del nome, proprio una sorta di divinità, capace di giudicare e castigare chi non obbedisce alle sue leggi. Alcuni hanno paragonato il ruolo assunto da Gaia a quello svolto dalla dea Madre Terra in molte mitologie primitive.

Dicevamo che l’idea di essere una parte di un enorme organismo vivente ha entusiasmato moltissime persone. Il fascino dell’olismo e la convinzione di essere interconnessi con la natura ha portato molta gente ad abbracciare una vera e propria forma di nuova religiosità più o meno laica. Non sono poche le associazioni di persone che si considerano sacerdoti pagani e seguaci della dea Gaia.

A differenza dei suoi seguaci, Lovelock è stato però un pensatore indipendente, disposto a modificare le proprie idee. Bisogna infatti dargli atto di aver dimostrato un notevole grado di onestà intellettuale, rinnegando, in anni più recenti, le idee catastrofiche espresse nel suo The Revenge of Gaia. Nell’aprile 2012, in un’intervista telefonica rilasciata al canale americano Msnbc, Lovelock ha infatti sostanzialmente chiesto scusa per essersi sbagliato, assumendo posizioni eccessivamente catastrofiste.

Inoltre è piuttosto significativo che lo stesso Lovelock evidenzi un parallelismo tra l’atteggiamento estremista di certi ambientalisti e quello religioso. Scrive infatti: «Accade che la religione verde abbia preso il posto della religione cristiana. […] Non credo che la gente se ne sia accorta, ma essa ha acquisito la terminologia tipica delle religioni. I verdi usano il concetto di colpa. Questo mostra il loro carattere religioso. Non si possono convincere le persone dicendo loro che sono colpevoli di emettere anidride carbonica nell’aria» (16).

Infine, con l’estrema umiltà che dovrebbe caratterizzare ogni vero scienziato, ha affermato: «Una cosa che essere scienziato mi ha insegnato è che non si può mai essere certi di nulla. Non si conosce mai la verità. Ci si può solo avvicinare e io spero, ogni volta, di avvicinarmi un po’ a essa, in un processo iterativo» (17).

Il fatto che molta gente attribuisca un atteggiamento intenzionale alla natura e ritenga che essa sia, di conseguenza, in grado di reagire con punizioni alle malefatte umane rientra in un comportamento tipico della mente umana, ben conosciuto dagli psicologi e dagli neuroscienziati. È stato infatti ampiamente dimostrato che la nostra mente ci porta a individuare atteggiamenti intenzionali anche in fenomeni che ne sono totalmente privi (18). Basti pensare a quando, stizziti, diamo un calcio “punitivo” a una sedia che ci ha fatto inciampare o a quando litighiamo con il nostro Pc “disobbediente”.

Per concludere quindi, sulle tematiche ambientali occorre avere un atteggiamento razionale e basato sulle conoscenze attendibili che la scienza ci consente di raggiungere. Occorre sempre vigilare per evitare il rischio di derive ideologiche o, peggio, atteggiamenti di natura fideistica e/o metafisica che individuino nell’idea di natura una versione, solo apparentemente laica, di divinità immanente.

Tali derive infatti implicano inevitabilmente una visione manichea che conduce ad atteggiamenti fondamentalisti di cui non abbiamo per nulla bisogno. Al contrario l’atteggiamento razionale, basato su ragionevoli bilanci costi/benefici è l’unico strumento di cui disponiamo. E che, nonostante i suoi inevitabili limiti, ci consente di orientarci nella sempre maggiore complessità del mondo in cui viviamo.

Silvano Fuso

Note

  1. C. Bernardini, “Viva l’ambientalismo (quello vero)!”, Sapere, 5, settembre-ottobre 2003.
  2. Manifesto di “Galileo 2001. Associazione per la libertà e la dignità della scienza”. L’intero manifesto può essere letto qui: go.uaar.it/bm030co.
  3. Un dettagliato esame della storia dell’idea di natura si trova in: R. Bondì, A. La Vergata, Natura, Il Mulino, Bologna 2015. L’autore ha approfondito queste tematiche nel libro: S. Fuso, Naturale=buono?, Carocci, Roma 2016, da cui sono tratti alcuni passi del presente articolo.
  4. I principali teorici dell’ecologia di superficie sono John Passmore e Kristin Shrader-Frechette. Si veda, ad esempio: J. Passmore, Man’s Responsibility for Nature: Ecological Problems and Western Traditions, Charles Scribner’s Sons, New York 1974 (trad. it., La nostra responsabilità per la natura Feltrinelli, Milano 1986); K. S. Shrader-Frechette, Environmental Ethics, Boxwood Press, Pacific Grove, 1981.
  5. Principali teorici della deep ecology sono Warwick Fox e Arne Naess. Si veda, ad esempio, W. Fox, The Deep Ecology-Ecofeminism Debate and Its Parallels, in “Environmental ethics”, 11 (1), 5-25, 1989; A. Naess, Ecology, Community and Lifestyle: Outline of an Ecosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1989 (trad. it., Ecosofia. Ecologia, società e stili di vita, RED Edizioni, Como 1994).
  6. A. Naess, Dall’ecologia all’ecosofia, dalla scienza alla saggezza, in M. Ceruti , E. Laszlo (a cura di), Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 455-462.
  7. C. Merchant, La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica. Dalla Natura come organismo alla Natura come macchina, (trad. it. di Libero Sosio), Garzanti, Milano 1988.
  8. R. Dawkins, Il gene egoista, Zanichelli, Bologna 1979.
  9. S. Pollo, La morale della natura, Laterza, Roma-Bari 2008.
  10. J. Lovelock, Gaia: a new look at life on Earth, Oxford University Press, Oxford 1979, pp. 7-8 (edizione italiana: J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, Bollati Boringhieri, Torino 2011).
  11. J. Lovelock, Gaia: a new look at life on Earth, op. cit., p. 180.
  12. Un’analisi dettagliata dell’opera di Lovelock si trova in: R. Bondì, Blu come un’arancia. Gaia tra mito e scienza, Utet, Torino 2006.
  13. J. Lovelock, The Revenge of Gaia: Earth’s Climate Crisis & The Fate of Humanity, Allen Lane 2006 (edizione italiana: J. Lovelock, La rivolta di Gaia, Rizzoli, Milano 2006).
  14. J. Lovelock, La rivolta di Gaia, op. cit..
  15. Ibidem.
  16. L. Goldstein, Green ‘drivel’ exposed. The godfather of global warming lowers the boom on climate change hysteria, “Toronto Sun”, 23 giugno
    2012.
  17. Ibidem.
  18. Si vedano, ad esempio, alcune parti del libro: V. Girotto, T. Pievani e G. Vallortigara, Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Codice, Torino 2008.

 


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7 commenti

Alx

Del tutto condivisibile.
In quanto poi alla pur vera obiezione che otto miliardi di esseri umani indaffarati a schiantare un pianeta che tutt’ al più ne potrebbe sostentare (con tecnologie del tutto “verdi”) uno o al massimo due miliardi, senza ricorrere a metodi da “talebani”, si potrebbe rispondere : “più preservativi per tutti”.

laverdure

AIX
Ma no,piuttosto seguiamo il “metodo naturale”,cioe’ niente medicina,niente chirurgia,
nessuna assistenza ai vecchi e agli invalidi,e soprattutto niente piu’ giustizia imposta,
vale a dire con forze di polizia e magistratura.
Tutta questa roba in natura non esiste,nessuna razza animale si prende cura dei vecchi o degli invalidi,e in tutte le razze i piu’ forti si impongono sui piu’ deboli.
Vedrete che in questo modo l'”eccesso demografico”sarebbe eliminato in breve tempo.
In modo assolutamente naturale,senza i comportamenti innaturali imposti dalla civilta.
Come ci hanno insegnato profeti come Hitler,Stalin e Pol Pot.

pendesini alessandro

Non posso fare altro che ringraziare Silvano Fuso per il pertinente ed intelliggibile contenuto del suo sintetico articolo ! Questo conferma palesamente le mie (sia pur modeste) conoscenze nella branca scientifica….. Grazie Silvano e UAAR !
Mi sia permesso aggiungere :
Se una teoria viene confutata, viene sostituita da un’altra, si parla di un cambio di paradigma nel senso di Thomas Kuhn. Il fatto che una teoria venga confutata non significa che la scienza si sbaglia, come insistono i creazionisti, pseudoscienziati & C° ma che essa evolve poiché una nuova teoria viene quindi a rendere conto di tutti i fatti riconosciuti pur non essendo assoluti.
La scienza è un corpo di conoscenza in perenne costruzione e ricostruzione. Testare ipotesi, migliorare teorie, cambiare paradigma, non è cambiare idea.
Gli scienziati si nutrono di controversie per risolverle, gli pseudoscienziati e « illuminati » di qualsiasi orizzonte creano discordia per imporre la loro visione ristretta, sovente imprecisa o irrazionale del mondo.
Non dobbiamo confondere la controversia scientifica e il dibattito d’opinione. L’approccio scientifico consiste nel riesaminare sempre i suoi modelli, che rimangono veri fino a quando non vengono confutati. Finiamo sempre per farli evolvere: questo si chiama cambio di paradigma. I creazionisti, per citare solo questi, coltivano controversie, non per produrre questo tipo di cambiamento, ma per imporre -sovente mediante una retorica lessicale ben rodata- la loro verità V maiuscolo pretesa assoluta!
Se un uomo paralizzato da ideologie assurde perde la plasticità cerebrale e diventa stupido, non lo si libera dalla sua stupidità mandandolo all’università. Lo trasformerai in uno sciocco ben addestrato, dieci volte più pericoloso. Detto diversamente, come affermava Nicolas Gomez Davila “L’istruzione (degna di questo nome) diventa importante finché non incappiamo in stupidi istruiti »…….

RobertoV

Esistono ormai studi sull’inquinamento dei siti preistorici, quindi gli ambientalisti quando mitizzano il passato dimostrano di ignorare la realtà. La mancanza di testimonianze scritte e l’ignoranza dei fenomeni, del perché le persone morivano o si ammalavano non dimostra che all’epoca le persone vivessero meglio ed in simbiosi con la natura, adattamento poi dovuto alla necessità di sopravvivere. E se la zona era eccessivamente sfruttata ed inquinata potevano sempre spostarsi cercando un altro posto, dato che erano in pochi. Anche oggi la migliore attenzione al problema e la migliore conoscenza dei danni non implica che il mondo di oggi sia più inquinato. Basterebbe pensare che quando ero studente di ingegneria negli anni ’80 il problema nelle città erano gli ossidi di azoto ed il monossido di carbonio, mentre l’anidride carbonica era vista come dimostrazione dell’efficienza della combustione, solo alla fine degli anni ’80 ci si è resi conto che l’anidride carbonica ed il metano erano dei pericolosi inquinanti per l’effetto serra. Oltre all’aumentata preoccupazione per il particolato che di certo è ben lontano dai valori raggiunti all’epoca del carbone. E’ proprio grazie alla scienza ed alla tecnologia se il nostro pianeta sopravvive ancora, perché con le tecnologie e conoscenze dell’ottocento lo avremmo già distrutto per le elevate inefficienze o deforestato, così come la produzione agricola sarebbe largamente insufficiente (per non parlare delle condizioni di igiene). Il problema è che l’evoluzione delle nostre conoscenze tecnologiche e scientifiche è decisamente più rapida delle evoluzioni culturali e politiche: basterebbe pensare a quanti ancora oggi siano a favore di politiche nataliste e neghino il riscaldamento climatico e l’effetto serra o vedano le politiche green come un danno per l’economia e vogliano conservare tecnologie obsolete nella convinzione che il nostro pianeta sia “infinito” e che così facendo si possano arricchire.
E’ indubbio che la scienza e la tecnologia non bastano, ma che siano necessari anche cambiamenti nei comportamenti individuali, ma è utopico pensare che senza la tecnologia e la scienza sia possibile combattere questa battaglia senza drammatici e traumatici esiti sulla qualità della vita.

GBK

Infatti qualunque vivente, nel suo piccolo, inquina mantre vive. I preistorici inquinavano, ma si spostavano ed erano pochissimi e quindi l’ambiente e il territorio si riprendevano. Se inquinavano troppo diminuivano le risorse e diminuivano di numero. Anche i grossi animali nelle riserve si devono gestire perché troppi devasano il territorio. Ovviamente 8 miliardi di devastatori sono un numero spaventoso e le conseguanze si vedono benissimo. Altro che vessare gli europei con assurde ristrutturazioni delle case.

laverdure

A fine ‘800 le citta in occidente si stavano ampliando vertiginosamente,per cui molti temevano che il moltiplicarsi dei trasporti necessari di merci essenziali,che allora avvenivano solo con traino di cavalli,avrebbe creato crescenti problemi igenici,per il gran numero di stalle necessarie e le “decrezioni” per le strade.
Come si e’ visto il problema si e’ annullato completamente grazie alla tecnologia dei mezzi a motore,che se da un lato ha creato,alla lunga, un nuovo problema con
l’inquinamento da co2,ha eliminato molti gravi problemi,grazie alla rapidita dei trasporti impensabile in precedenza.
Basti pensare a come il latte proveniente dalle campagne,per la lentezza dei trasporti e la mancanza di refrigerazione diventava una vera arma di distruzione di massa,essendo un facile vettore di germi patogeni,di cui restavano vittime soprattutto i bambini.
Un pericolo ora eliminato da refrigerazione e tecniche di pastorizzazione.
E questi sono solo alcuni degli esempi di come problemi un tempo temibili nati dal diffondersi della civilta siano stati eliminati dalla tecnologia,e come quelli nuovi possano essere affrontati solo sviluppando nuove tecnologie,necessariamente piu’ sofisticate.
Altro che tornare a vita semplice e naturale !

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