Il pontificato del “papa teologo” Benedetto XVI si è caratterizzato per integralismo e confessionalismo. Tanto che la sua figura, anche dopo le dimissioni, è rimasta un riferimento per gli ambienti più retrivi della Chiesa cattolica. Con la morte, è partita la celebrazione mediatica e tanti cercano di fare revisionismo storico sul suo ruolo. Un’analisi sull’eredità di Ratzinger, tutt’altro che apologetica, di Valentino Salvatore sul numero 2/23 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Il 2022 si è chiuso, anche simbolicamente, con la dipartita del papa emerito Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger. La sua morte ha visto un profluvio di celebrazioni mediatiche, in particolare da parte del servizio pubblico.
Non solo: anche nei giorni precedenti, quando si affollavano le voci sull’aggravamento delle condizioni del prelato novantacinquenne, i giornali già alimentavano l’apprensione, con gli inviati davanti al Vaticano che fungevano da bollettino sanitario, magari segretamente sperando di cogliere in diretta lo scoop della ferale notizia.
Proprio il 31 dicembre, giorno della scomparsa, il Tg1 dedica una lunga edizione straordinaria celebrandone la figura («dalle 10.46 alle 12.22», snocciola in maniera puntigliosa il sito della Rai). La programmazione di telegiornali e programmi viene piegata all’ossequio per Ratzinger. La piattaforma RaiPlay dà risalto in home page agli speciali e ai documentari dedicati all’ex papa.
Viene cambiata in corsa la programmazione di Rai1. Tra le perle, dopo il telegiornale abbiamo il documentario di Rai Vaticano – struttura che è il corrispettivo dell’innesto della Santa Sede dentro lo stato italiano – intitolato Ratzinger, la roccia di Dio. Segue verso le 15 un altro tg speciale e alle 16 la diretta del programma confessionale A Sua immagine, che si adatta all’evento. In campo anche due altri speciali del Tg1, dalle 17 alle 18.45 e dalle 20.45 alle 21.30. In mezzo, il programma L’eredità condotto da Flavio Insinna: un fugace ritorno al palinsesto consueto, marcato però dalla scritta in sovraimpressione che specifica che il programma è registrato.
Non sia mai che venga giudicato troppo “frivolo” o fuori luogo visti gli accadimenti. Per fortuna, va in onda il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che prevedibilmente non si esime dal ricordare papa Benedetto XVI. Dopo L’anno che verrà, programma di Amadeus per la vigilia di capodanno, il 2023 si apre con altri speciali papali del Tg1 che soppiantano Uno mattina in famiglia. Di nuovo il tg di Rai1 dalle 17:20 al posto del programma Da noi… a ruota libera, poi di sera Giorgia Cardinaletti conduce un altro speciale papale.
Se la rete ammiraglia è quella che dedica più spazio, non mancano anche speciali per Benedetto XVI sul Tg2 e sul Tg3, tra le 12 e le 13 del 31 dicembre. Il primo gennaio il Tg2 manda un altro approfondimento. Anche Rai Cultura, per rendere omaggio al papa, cambia la scaletta. Su Rai Storia, per Passato e Presente, il giornalista Paolo Mieli e lo storico cattolico Alberto Melloni analizzano la figura di Ratzinger.
Va anche in onda lo speciale celebrativo di Antonia Pillosio Benedetto XVI, un rivoluzionario incompreso, con gli storici Elio Guerriero, Andrea Riccardi e don Roberto Regoli, i vaticanisti Andrea Tornielli e Sandro Magister, i cardinali Gerhard Ludwig Müller e Gianfranco Ravasi, l’ex direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi e lo storico dell’arte ed ex direttore dei Musei vaticani Antonio Paolucci.
Un titolo che è già tutto un programma dell’accorta rivisitazione intellettuale che vuole rivalutarne la figura retriva partendo dal presunto «gesto rivoluzionario» delle dimissioni. In serata Rai 5, in onore della passione di Ratzinger per la musica classica, propone Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms, suonato nel 1985 dalla Wiener Philharmoniker Orchestra diretta da Herbert von Karajan. Segue il concerto di Natale del 2018, diretto alla Scala di Milano da Diego Fasolis. Questo per citare a spanne solo le prime due giornate.
C’è un ritorno di fiamma con l’apoteosi dei funerali del 5 gennaio in Vaticano, giornata in cui il governo conservatore di Giorgia Meloni proclama il lutto nazionale, con bandiere italiana ed europea a mezz’asta in tutte le strutture pubbliche. Dopo il Tg1 dedicato, parte uno speciale diretto da Monica Maggioni per trasmettere in diretta le esequie.
Una serie di trasmissioni a corollario dei funerali di Ratzinger arriva, a intervalli, fino alla sera. Rai3 chiude la giornata con un pensoso Ezio Mauro che per il programma La scelta intervista monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Ratzinger, in particolare per avere la sua versione sulle dimissioni del papa emerito nel 2013.
La televisione pubblica italiana, come di consueto e stavolta anche di più, si distingue per la deferenza per la chiesa cattolica e Ratzinger in particolare. Su Mediaset ci sono invece meno stravolgimenti nella programmazione. Sui media esteri la notizia ha meno spazio e le tonalità sono più variegate. In Germania, patria del papa, il canale pubblico Deutsche Welle manda un documentario di tre quarti d’ora e i giornali ne ricordano pure polemiche e controversie. Nella laica Francia le trasmissioni seguono il loro corso normale.
Sono invece soprattutto le emittenti all news estere a concentrarsi sugli approfondimenti, ma mai come l’ineguagliata nostrana RaiNews24. Oltre a riconoscere il peso intellettuale del teologo Benedetto XVI, negli altri paesi non si sorvola sul suo rigido conservatorismo da defensor fidei o sulle tensioni e sugli scandali in Vaticano durante il suo pontificato. La prona lettura giornalistica italiana invece tende a essere reticente, o a giustificare Ratzinger come una sorta di genio incompreso da media (quali?) e opinione pubblica freddi, impegnata a esaltarne la figura soprattutto come teologo e a livello intellettuale.
Non poteva mancare in questo clima un sentore di vittimismo, ad esempio con la rilettura confessionale dello “scandalo” della Sapienza tra 2007 e 2008. I più ricorderanno che l’allora rettore dell’Università Sapienza di Roma Renato Guarini ebbe la geniale idea di invitare il papa in carica, Benedetto XVI, a tenere una lectio magistralis per inaugurare l’anno accademico.
L’invito in un ateneo pubblico e laico al rappresentante della confessione religiosa, responsabile di frequenti e pesanti ingerenze a livello politico e sociale, suscitò la protesta di molti docenti e studenti. Nonostante le risibili difese come la garanzia della “libertà di espressione” (a un papa che ha uno stuolo di sostenitori e megafoni in istituzioni e media a riprenderne le dichiarazioni, quindi di certo non viene censurato), proprio leggendo il testo della sua famosa allocuzione ci si rende conto di quanto l’invito fosse fuori luogo.
Si tratta infatti di una sottile apologia della fede cattolica, con un “invito” a ragione, scienza e ricerca di farsi guidare da questa, come era ai bei tempi nel medioevo: una riproposizione del concetto di philosophia ancilla theologiae caro a Tommaso d’Aquino, aggiornato al contesto scientifico e accademico.
Qualche settimana dopo la morte di Ratzinger, per suo volere, uscirà il libro Che cos’è il cristianesimo, una raccolta di scritti composti dopo le sue dimissioni e curato da Elio Guerriero e monsignor Georg Gänswein, con sottotitolo Quasi un testamento spirituale. È l’occasione per un ritorno di fiamma delle doglianze dei sodali di Ratzinger.
In una lettera a Guerriero così si lamentava l’ex papa: «Non voglio più pubblicare nulla. La furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino». Nel libro critica alcuni vescovi, in particolare statunitensi, che «rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una nuova, moderna cattolicità».
Addirittura «in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio», i suoi libri «venivano celati come letteratura dannosa» e «per così dire letti solo di nascosto». Non potevano mancare stoccate post mortem alla rivoluzione del sessantotto (che all’epoca, in cui era un azzimato e giovane professore, lo traumatizzò) e alle persone lgbt+: «in diversi seminari si formarono “club” omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari».
Come avvenuto per altri pontefici, la celebrazione mediatica di Ratzinger diventa un modo per fare revisionismo storico sul suo impatto politico e sociale e sulle sue responsabilità. Cogliendo l’occasione del lutto condiviso dai fedeli e il rispetto umano da tributare a una influente persona scomparsa, se ne addolcisce la figura: d’altronde era un uomo mite, brillante e studioso, amante della musica classica e dei gatti, ci viene ricordato. Curioso che gli stessi media che si sono distinti per i salamelecchi al papa quando era in vita cerchino di dipingere, con una punta di vittimismo, un clima ostile a Benedetto XVI.
Così si mette da parte la sua ottusa crociata contro lo spauracchio del relativismo etico, la propaganda contro laicità e non credenti, la volontà di sottomettere la scienza (e la politica) alla teologia con i sottili sofismi intellettuali ma soprattutto con una pressante ingerenza istituzionale. Come il suo essere stato fin da giovane, per decenni, prima uno dei più promettenti poi uno dei più influenti intellettuali “organici” della chiesa cattolica, contribuendo a foggiarne l’ideologia conservatrice e confessionalista che impera tuttora.
Nonché addentro alle strutture di potere del Vaticano, con tutte le responsabilità morali e materiali che ne conseguono. Compresi i profili potenzialmente penali, in particolare sulla questione degli abusi sessuali coperti dalla chiesa cattolica.
Per anni Ratzinger, da cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant’uffizio e ancor prima ex inquisizione), non solo venne a conoscenza, durante il papato di Giovanni Paolo II, del fenomeno della pedofilia clericale (di cui accusava il sessantotto), ma si prodigò per farla trattare in maniera riservata con processi canonici.
Nel 2001 firmò pure, con il cardinale Tarcisio Bertone, la lettera De delictis gravioribus, con cui si aggiornavano le disposizioni del documento Crimen sollicitationis per gestire internamente i casi di abusi. Tanto che nel 2005 Ratzinger venne pure chiamato in causa dalla corte distrettuale della contea di Harris, in Texas.
Ma non dovette risponderne, poiché il Dipartimento di stato Usa aveva accolto la richiesta di concedere al nuovo papa l’immunità diplomatica. E pure nel 2022 era stato lambito dallo scandalo degli insabbiamenti di preti abusatori nelle diocesi tedesche. Tanto da essere stato convocato dal tribunale provinciale di Traunstein in Germania, dichiarandosi persino disposto a difendersi. Vale la pena di ricordarlo, dato che ben pochi lo fanno: certe notizie sono sparite dai radar nel corso delle luttuose giornate. Anzi, in tv non sono apparse praticamente mai.
Il ciclo di celebrazioni mediatiche per Ratzinger si esaurisce – forse in maniera un po’ deludente – con il riaffiorare di un altro culto che infiamma gli italiani, quello calcistico. La scomparsa del campione Gianluca Vialli, il 6 gennaio 2023, prende il testimone e diventa l’argomento principale su radio, giornali e tv.
Passata la dovuta deferenza per la morte del papa, sembra che persino i media clericalizzati abbiano cercato di archiviarne la scomoda e arcigna eredità, che mal si sposa con l’attitudine solare e a tratti sguaiata del suo successore Francesco, su cui puntare per dare oggi una facciata più accettabile della chiesa cattolica. Pure tra coloro che si dichiarano cattolici.
Valentino Salvatore
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Difficile pensare che la Curia lo abbia costretto alle dimissioni (non penserete fossero spontanee,vero ?)perche temessero iniziative troppo “innovative da parte sua.
Da uno come lui ?
Semmai puo’ darsi che fosse poco disposto perfino ai cambiamenti di “pura facciata”sempre piu’ necessari per tenere in piedi la baracca di fronte a problemi e critiche crescenti dal mondo esterno.
Ma forse la spiegazione e’ semplicemente che aveva dato prova,con quella faccia da “mastino”,di essere inadatto al ruolo di “show man” che nel mondo moderno,
immerso nell’informazione multimediale in tempo reale, e’ divenuto il ruolo principale della carica di Papa.
Non dimentichiamo che fino al XX secolo la stragrande maggioranza dei fedeli il Papa lo aveva visto solo dipinto nei santini,o al massimo nelle (scadenti)foto dei giornali,e la sua voce avevano avuto l’onore di sentirla solo i privilegiati che avevano potuto assistere di persona alle sue apparizioni in pubblico.
Le tecniche audiovisive sono state un salto epocale nelle public relations” della Curia,imponendo pero’ nuovi criteri nella scelta dei ricopritori della carica.
Segnalo un articolo non osannante pubblicato su critica Liberale:
https://criticaliberale.it/2023/01/05/contro-ratzinger/
Se si guardava in Germania o Austria si trovavano parecchi articoli critici ed anche con la sua morte non si sono lasciati andare a troppi elogi ed erano preoccupati che le vittime della pedofilia dopo il rapporto della chiesa di Monaco potessero non avere giustizia per la sua morte.
Anche i suoi ultimi interventi sono stati di basso livello dal negare falsamente suoi coinvolgimenti alle sue penose giustificazioni. L’uso del vittimismo è il classico mezzo retorico di chi non ha argomenti. Forse se non leggono più i suoi scritti è perchè non sono più obbligati a farlo: Ratzinger è stato a capo dell’ex inquisizione dal 1981, è stato il braccio destro e repressivo di GP II ed ha punito e fatto fuori chiunque gli si sia opposto ed ha nascosto cose che oggi lentamente vengono a galla. Difficile poterlo criticare quando era potente, quando tutti erano obbligati a riverire lui che appena arrivò al papato si comportò come un principe-vescovo di altri tempi.