Giornalista e saggista, Cinzia Sciuto ha sempre seguito da vicino i temi legati alla laicità e al multiculturalismo. L’abbiamo intervistata sul numero 2/23 di Nessun Dogma per fare il punto su certe istanze che a volte nel mondo dell’attivismo femminista trovano poco spazio o vengono affrontate in modi che fanno discutere. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Il tuo ultimo libro, Non c’è fede che tenga, si propone apertamente come un Manifesto laico contro il multiculturalismo. Si può ancora parlare di “femminismo”, al singolare, nel momento in cui anche in questo mondo c’è una crescente divisione tra (usando le categorie francofone) le attiviste “identitariste”, particolarmente sensibili alle istanze delle minoranze etnico-religiose, e quelle “universaliste”, che continuano invece a rifarsi al principio dell’uguaglianza di tutti e di tutte?
Nel libro sostengo che il femminismo – come del resto tutti i movimenti di emancipazione – o è laico e universalista, o non è. Le «istanze delle minoranze etnico-religiose» non sono un valore in sé. Ce ne sono di emancipatorie e ce ne sono di reazionarie. Il fatto di provenire da minoranze non fornisce in sé un contenuto normativo positivo a queste istanze. Le persone oggetto di discriminazione vanno protette non in quanto appartenenti a questo o quel gruppo, ma in quanto persone.
Che il femminismo perda di vista il suo faro universalista, lasciandosi accecare da istanze relativiste, di norma portate avanti dalle frange più reazionarie dei vari gruppi, è molto grave. Naturalmente capisco il senso di alcune osservazioni circa il fatto che quello che viene “spacciato” per universale è in realtà il punto di vista bianco e occidentale. Quello che si vuole evitare è il rischio che il femminismo stesso diventi razzista. Giusto. Ma bisognerebbe anche preoccuparsi che l’antirazzismo non diventi misogino.
Sei molto impegnata contro gli eccessi del “politicamente corretto”. Come incide questa impostazione ideologica sulle tante lotte che meriterebbero un impegno femminista?
Anche in questo caso una giusta preoccupazione – quella che il linguaggio sia epurato da espressioni inutilmente razziste, omofobe, misogine – rischia di far perdere di vista le lotte concrete e di capovolgere l’ordine delle priorità, convincendo molti che basta qualche intervento di pulizia linguistica qui e lì per risolvere i problemi.
Non voglio però cadere nella trappola del “benaltrismo”, perché naturalmente è possibile portare avanti diverse istanze contemporaneamente. Temo però che per molte persone – in particolare quelle che occupano posizioni di potere – quella del “politicamente corretto” possa essere usata come una scorciatoia per mettersi a posto la coscienza e pensare di aver fatto la propria parte, senza in concreto cedere di un millimetro il proprio potere.
Quale bilancio possiamo trarre oggi dall’esperienza del movimento Me too? Non ti sembra che la protesta non abbia mai sfiorato le realtà religiose, nonostante discriminino ancora oggi platealmente le donne, manifestando talvolta persino orgoglio nel farlo?
Terrei distinte le due cose. Il movimento Me too è nato in un preciso contesto – quello del mondo dello spettacolo – e non avrebbe senso attribuire a esso il fatto di non aver intaccato il mondo religioso. Sul Me too in sé io penso che abbia avuto un ruolo fondamentale per far emergere pratiche talmente cronicizzate che parevano normali, e che invece normali non sono (o meglio: non dovrebbero essere). Dire che il re è nudo è il primo passo per destabilizzare il re. E se il Me too fosse servito anche solo per far venire qualche scrupolo in più a qualche produttore cinematografico, ben venga.
Quanto alla seconda parte della domanda, non c’è dubbio che i contesti religiosi siano fra quelli più misogini in assoluto e un bel Me too al loro interno avrebbe un potenziale esplosivo. Evidentemente però la misoginia interna ai contesti religiosi è introiettata dalle donne stesse, per questo diventa particolarmente complicato svelarla.
La reazione del mondo femminista alla rivoluzione in corso in Iran non si caratterizza né per il respiro cosmopolita, né per una riflessione sull’imposizione del velo. Qual è la tua opinione?
La cosa che trovo in assoluto più scandalosa è che mentre le donne iraniane scendono in piazza a bruciare i loro veli, alcune femministe occidentali si precipitano a sottolineare come però le donne in Iran non combattono contro il velo in sé ma per la libertà di portarlo o meno. Disquisizioni che naturalmente ci possiamo permettere noi qui. Le donne iraniane non hanno tempo di discettarne perché hanno l’urgenza della libertà.
E poiché il velo è il simbolo più evidente e più feroce dell’oppressione della donna in quel regime non esitano a toglierselo e bruciarlo. Il fatto che nel mondo libero diverse musulmane lo portino liberamente, non cambia di una virgola il valore simbolico che il velo ha per i regimi islamisti. E se qualcuna delle donne che ha il privilegio di poter scegliere se portarlo o no avesse scelto di toglierselo in solidarietà con le sorelle iraniane sarebbe stato un gesto di autentica sorellanza universale.
Un altro fronte aperto è rappresentato da quelle femministe (non raramente anche lesbiche) contrarie alla gestazione per altri. Con la loro azione hanno creato una frattura laica col mondo gay, attirandosi nello stesso tempo le simpatie delle gerarchie ecclesiastiche…
Non c’è dubbio che bisogna prestare grandissima attenzione al rischio di essere strumentalizzate da destra, ma questo rischio in sé non può rappresentare un argomento dirimente. Anche nella critica all’islam politico si corre il rischio di essere schiacciati “a destra”, per così dire. Per evitare questo rischio basta essere molto chiari nelle proprie argomentazioni.
Nella discussione sulla gestazione per altri gli elementi che meritano attenzione sono tanti: la libertà di disporre del proprio corpo ha un limite? Possiamo completamente ignorare il rapporto fisico che si crea fra il corpo che porta in grembo il bambino e il bambino stesso? Il desiderio di genitorialità è legittimo e comprensibile, ma è anche in sé un diritto? Sono tutte questioni sulle quali varrebbe la pena interrogarsi con serenità, possibilmente senza lanciare anatemi a destra e a manca.
Per contro, c’è anche una contrapposizione accesa tra alcune donne (J.K. Rowling in testa) e alcune frange del movimento trans. La contesa, che inizialmente sembrava limitata alla definizione di donna, sembra ora trascendere anche in altri ambiti culturali, e persino alla biologia. Cosa ne pensi?
Anche in questo caso vedo una contrapposizione ideologica che non aiuta. Se da un lato mi preoccupa molto la messa in discussione della realtà fisica e biologica – se non abbiamo neanche più un mondo materiale condiviso il dibattito pubblico diventa davvero complicato – dall’altro la risposta non può essere quella di alzare un muro fra le diverse categorie di persone.
Da un lato quindi non capisco come possa essere d’aiuto alle persone trans negare la realtà biologica dei due sessi (si chiama dimorfismo sessuale e riguarda la grande parte dei mammiferi, fra cui gli esseri umani): mi pare una discussione assurda che non avvicina di un millimetro la fine della discriminazione nei confronti delle persone trans; dall’altro francamente fare come se oggi il pericolo maggiore per i diritti delle donne venisse dal mondo trans mi pare come minimo un’esagerazione.
In un mondo ancora fortemente strutturato attorno a un patriarcato duro a morire, in cui i totalitarismi religiosi rialzano la testa, pensare che il pericolo per la libertà delle donne venga dalle donne trans che vogliono usare le toilette femminili mi pare come minimo fuori fuoco.
Insomma, mi parrebbe in questo caso molto più sensato un atteggiamento pragmatico che parta da due dati di fatto incontestabili: 1) le differenze biologiche esistono e negarle non serve a niente e a nessuno; 2) le persone trans subiscono sistematicamente discriminazioni e violenze.
Sediamoci attorno a un tavolo e cerchiamo di capire in ogni singolo contesto come affrontare il problema.
«Bisognerebbe anche preoccuparsi che l’antirazzismo non diventi misogino»
Mai sottovalutare il potere delle donne.
Intervista a Cinzia Sciuto
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