Soldi (pubblici) benedetti

Il mondo cattolico riesce a fare man bassa anche dei contributi per l’editoria. Quali testate sono e quanto percepiscono? Approfondisce il tema il giornalista Federico Tulli, sul numero 3/23 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Sostenere il pluralismo dell’informazione, che altrimenti sarebbe concentrata nelle pagine di un nucleo molto ristretto di potenti gruppi editoriali, è il punto cardine della cosiddetta legge sull’editoria (decreto legislativo 70/2017). In base a questa norma il Dipartimento per l’informazione e l’editoria presso il Consiglio dei ministri eroga ogni anno decine di milioni di euro alle testate giornalistiche che rientrano nei parametri previsti.

L’ultimo giorno dello scorso febbraio è stato reso noto l’ammontare totale dei contributi diretti maturati nel 2021. Dopo la rata di anticipo versata durante l’estate del 2022, il saldo 2021 è stato erogato a marzo 2023. Complessivamente, tra anticipo e saldo, la fetta più grossa, pari a 72 milioni e 300 mila euro, è stata versata a 117 imprese che editano altrettante testate giornalistiche a diffusione nazionale o locale (quotidiani, periodici e testate online).

Poco più di 12 milioni e 200 mila euro sono stati invece corrisposti a dieci «quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche». Dal decreto legislativo 70/17 sono stati infine previsti altri quattro tipi di contributi: alle imprese editrici di quotidiani italiani diffusi all’estero (sei testate, somma complessiva 1.737.000 euro), a periodici editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero (15 testate, 546mila euro circa), a periodici editi dalle associazioni dei consumatori e degli utenti (7 testate, 297mila euro circa) e all’editoria speciale periodica per non vedenti e ipovedenti (28 testate, 746mila euro circa).

Dunque, 183 giornali si sono spartiti contributi pubblici per una somma pari a 87.842.795 euro. Considerando che i media ad ampia diffusione (e potere) come Corriere, Repubblica, Sole24ore, Nazione, Stampa, Messaggero non usufruiscono dei contributi diretti del decreto legislativo 70/17, una prima sommaria lettura dei dati e delle caratteristiche dei beneficiari potrebbe dare l’idea che il pluralismo dell’informazione – per lo meno quella cartacea – in Italia sia in qualche modo garantito dal sostegno economico che lo Stato riconosce alle ben 183 testate che rientrano nei seguenti parametri previsti dalla legge: le cooperative giornalistiche; le imprese editrici il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti senza fini di lucro; gli enti senza fini di lucro ovvero le imprese editrici il cui capitale è interamente detenuto da tali enti; le imprese editrici che editano quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche.

La prospettiva cambia, e il pluralismo diventa meno evidente, nel momento in cui si entra più nel dettaglio andando a indagare sull’ideologia di riferimento dei giornali e dei periodici in questione (nb: dal 2017 i giornali di partito non ricevono più finanziamenti pubblici). Ci si accorge infatti che l’indipendenza, la varietà delle voci e delle opinioni rappresentate nei media finanziati dallo Stato non è poi così… indipendente e varia.

Di cosa stiamo parlando? Basta un solo dato per rendere immediatamente l’idea. Tra i 117 giornali e periodici che si dividono la fetta più grossa della torta dei contributi, ben 55 (pari al 47,01%) sono testate e riviste di chiara matrice cattolica se non addirittura organi di stampa che fanno capo ad alcune delle 226 diocesi italiane. In pratica quasi un giornale su due finanziato dallo Stato ha come editore di riferimento la Chiesa.

Quello stesso soggetto, cioè, come documenta puntualmente l’inchiesta della Uaar I costi della Chiesa, che già incamera ogni anno almeno sei miliardi dai contribuenti italiani attraverso vari meccanismi ad hoc, primo tra tutti l’otto per mille. In soldoni abbiamo calcolato che su 72 milioni e 300mila euro, i 55 beneficiari di orientamento cattolico incassano 25 milioni e 915mila euro, cioè il 35,84% del totale.

Sul podio della classifica troviamo Famiglia cristiana (6 milioni), Avvenire (5 milioni e 573mila euro) e Il cittadino (1.424.000 euro), una testata diocesana del Lodigiano e del sud di Milano nata, come si legge sul sito, nel «1890 come settimanale dei cattolici di Lodi e provincia per diventare, nel 1989, giornale quotidiano di sei numeri settimanali». (Breve nota a latere: in pratica metà della torta “cattolica” se la spartiscono in tre).

Tra i giornali e le riviste a diffusione nazionale e locale, beneficiari del contributo pubblico, che afferiscono al mondo religioso cattolico oltre a quelli già citati ce ne sono alcuni su cui vale la pena soffermarsi, come ad esempio Città nuova. Questo mensile tra il 2022 e il 2023 ha incassato 361mila euro di contributi maturati nel 2021 e risulta edito dalla “Pia associazione maschile opera di Maria”.

Dietro questo nome che ai più non dice nulla c’è in realtà il Movimento dei focolari fondato nel 1943 da Chiara Lubich. Di recente, il Movimento, sulla scia del documentatissimo libro-inchiesta di Ferruccio Pinotti La setta divina (Piemme, 2021) è finito al centro di alcune inchieste giornalistiche su presunti abusi di natura fisica, psicologica ed economica subiti negli anni da numerosi focolari (donne, bambini e uomini).

In un documento ideato ed elaborato dal giornalista e scrittore Gordon Urquhart (un ex focolarino britannico) e sottoposto da Oref (Organizzazione di ex focolari) il 30 luglio 2022 al Sinodo della Conferenza episcopale italiana è possibile leggere numerose testimonianze raccolte da Oref circa questi abusi. Si va dalla manipolazione affettiva (che comprende anche matrimoni combinati e separazioni forzate tra membri) all’uso di metodi settari di proselitismo, all’obbligo di reprimere ogni manifestazione di sofferenza (forzando il volto al sorriso e trattenendo ogni lacrima).

Stando alle testimonianze raccolte da Oref nel rapporto intitolato Abusi subiti nel Movimento dei focolari, pesa inoltre l’impossibilità di gestire liberamente le proprie risorse, poiché gli stipendi e i beni devono essere donati al Movimento, senza possibilità di decisione autonoma e soprattutto senza possibilità di determinazione democratica della destinazione delle risorse raccolte.

«Non viene retribuito il lavoro svolto per il Movimento, né garantita assistenza o previdenza sociale soprattutto se poi si esce dal cammino» denuncia Oref. «Alcuni di noi si sono infatti trovati in stato di indigenza ed è stata negata la pensione perché nessuno aveva pagato i contributi». Fatta salva la doverosa presunzione d’innocenza, tutto ciò fa molto pensare giacché il giornale del Movimento dei focolari riceve cospicui contributi pubblici.

Abbiamo pertanto cercato senza successo di raccogliere informazioni quanto meno sulla gerenza di Città nuova per individuare oltre al direttore responsabile (Aurora Nicosia) i nomi dei giornalisti sotto contratto e rivolgere loro qualche domanda. Sul sito di Città nuova non c’è quasi nulla di pubblico rispetto alla struttura del giornale, nemmeno il numero di registrazione in tribunale della testata, e l’unico modo per verificare consiste nell’abbonarsi alla rivista cartacea (di quella digitale, sebbene sul sito compaia il link a un presunto pdf, non c’è traccia), pertanto torneremo sull’argomento non appena entreremo in possesso di una copia nelle prossime settimane.

Del lungo e ricchissimo elenco di testate di riferimento del mondo cattolico che godono dei finanziamenti pubblici all’editoria fa parte da qualche anno anche Tempi, una delle riviste “vicino” a Comunione e liberazione. Dal 2018 Tempi è editato da una cooperativa di giornalisti e in base al decreto legislativo 70/17 ha iniziato a maturare il diritto ai fondi pubblici dopo due anni. La prima tranche di 155mila euro relativa all’anno 2020 è stata incassata nel 2022. Nel 2021 il “diritto” è lievitato a 212mila euro circa e il saldo è stato liquidato nelle scorse settimane. Prima di essere editato da una cooperativa, Tempi non aveva accesso a finanziamenti pubblici.

Chi invece da sempre rientra nei parametri della legge sul finanziamento all’editoria è il quotidiano Dolomiten, che potremmo definire la superstar dei 183 media sostenuti economicamente dalla presidenza del Consiglio. Con 6.176.996,03 euro maturati nel 2021 questo storico quotidiano altoatesino edito da Athesia druck srl è in cima alla classifica generale degli incassi. Più di Famiglia cristiana, più di Avvenire. La storia di Dolomiten è molto articolata.

Fondato nel 1882 con il nome Der Tirolen, prese l’attuale nome nel 1923 e venne inserito nella lista di pubblicazioni legate all’Azione cattolica dell’arcidiocesi di Trento (di cui la città di Bolzano ha fatto parte fino al 1964). Dal 1929 rientrò quindi tra le pubblicazioni tutelate dal Concordato. Pochi mesi prima della fine della seconda guerra mondiale, a metà marzo del 1945, il governo militare degli alleati concesse alla casa editrice Athesia, guidata dal presbitero austriaco Michael Gamper, la licenza per la pubblicazione del giornale.

Il 19 maggio dello stesso anno il Dolomiten riprese l’attività con il sottotitolo Tagblatt der Südtiroler (Quotidiano del Sudtirolo) e da allora è sempre in edicola dal lunedì al sabato. Di orientamento cattolico-conservatore Dolomiten è il quotidiano in lingua tedesca più letto dell’Alto Adige ed è una delle dieci testate che rientrano nei parametri del decreto legislativo 70/17 previsti per i «quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche».

In un saggio pubblicato su La comunicazione. Il dizionario di scienze e tecniche, Saverio Gaeta scrive che «gli ultimi decenni del novecento ci hanno fatto assistere al consolidamento del fenomeno della stampa cattolica non legata all’ufficialità ecclesiastica, ma sorta da movimenti ecclesiali o da gruppi editoriali religiosi che operano liberamente all’interno della Chiesa».

Diverse testate che rientrano in questa descrizione usufruiscono di fondi pubblici: i già citati Famiglia cristiana dei Paolini e Città nuova del Movimento dei Focolari; Il messaggero di sant’Antonio dei Francescani di Padova (100mila euro); Il regno dei Dehoniani di Bologna (159mila); La civiltà cattolica dei Gesuiti (oltre 287mila euro); Tracce (Comunione e liberazione, 408mila euro).

All’elenco si aggiungono alcuni dei 191 periodici diocesani editi in Italia, che sono «sempre più espressioni della comunità ecclesiale a ogni livello» scrive Gaeta. Abbiamo già citato Il cittadino (diocesi di Lodi) e, solo per citare i primi in ordine “d’incasso”, ricordiamo qui L’eco del Chisone (diocesi di Pinerolo, 715mila euro), Il biellese (diocesi di Biella, 566mila euro), La Valsusa (diocesi di Susa, 359mila euro). Seguono numerosi altri.

Per finire, una menzione speciale va a Migranti press. Questo mensile edito dalla Fondazione Migrantes ha maturato nel 2021 fondi pubblici per poco più di 34mila euro. Tutto sommato si tratta di una cifra decisamente inferiore rispetto a quella di altre pubblicazioni nominate fin qui. Cos’è allora che un poco, secondo noi, stona? Migranti press è definita nella gerenza «Rivista di informazione e di collegamento della Fondazione Migrantes».

Ebbene, forse non tutti sanno che la Fondazione Migrantes è un organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana. Fin qui non ci sarebbe nulla da eccepire, ci mancherebbe, se non fosse che una delle tre direttrici fondamentali di spesa del miliardo di euro circa incassato mediamente ogni anno dalla Chiesa con l’otto per mille è proprio quella “culto e pastorale” (le altre due sono: sostentamento dei sacerdoti diocesani, carità in Italia e nei Paesi in via di sviluppo).

Sicuramente Migranti press rientra nei parametri previsti dal decreto legislativo 70/17 in quanto rivista edita in Italia e diffusa all’estero insieme ad altri quattro periodici afferenti a organizzazioni cattoliche: Il messaggero di sant’Antonio (100mila euro), Santo dei miracoli (33mila), Scalabriniani (18mila) e Studi emigrazione (22mila euro). Ma dato che alla Cei i soldi, a fiumi, entrano anche da altri canali, proprio non si potevano risparmiare ai contribuenti italiani almeno i 34mila euro di Migranti press?

Federico Tulli

 


Iscriviti all’Uaar Abbonati Acquista a €2 il numero in digitale

Sei già socio? Entra nell’area riservata per scaricare gratis il numero in digitale!

2 commenti

RobertoV

Francamente non capisco a che titolo Avvenire e Famiglia Cristiana prendano soldi pubblici. Famiglia Cristiana ha una tiratura superiore di diverse volte a quella di quotidiani nazionali che non vi accedono, mentre Avvenire una tiratura parecchie volte inferiore a Famiglia cristiana, ma simile a quella di giornali che non vi accedono, e riceve in pratica gli stessi soldi di Famiglia Cristiana. Entrambi dipendono dall’estero, visto che Avvenire dipende dalla CEI che è controllata dal Vaticano ed è stata voluta da Paolo VI nella versione attuale, dopo che aveva rischiato il fallimento, ed era in parte di proprietà della Democrazia Cristiana, quindi può essere configurata come un organo di partito, mentre Famiglia Cristiana è stata fondata con l’obiettivo dell’evangelizzazione, cioè della propaganda e negli anni ’90 era stata commissariata dal Vaticano che quindi può controllarla. All’epoca di B XVI pubblicava casualmente la rubrica “il teologo” scritta direttamente dal papa emerito, chiaramente una informazione libera ed indipendente….

RobertoV

Leggo anche che durante la Repubblica di Salò Famiglia Cristiana fu una delle poche riviste a proseguire nelle pubblicazioni, giusto per evidenziare quanto fossero “perseguitati” i cattolici durante il fascismo e contro la dittatura.

Commenti chiusi.