Fede e politica in Scozia. Il ruolo dell’appartenenza religiosa nell’elezione di un primo ministro

In Scozia ormai un terzo della popolazione si dichiara non credente, ma le recenti elezioni hanno visto confrontarsi esponenti politici fieri della propria appartenenza religiosa. Daniele Labartino esamina i rapporti tra laicità, religione e politica nel contesto scozzese sul numero 3/23 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


In una conferenza stampa del 15 febbraio, Nicola Sturgeon, primo ministro della Scozia e leader dello Scottish National Party (Snp), ha annunciato le sue dimissioni. In carica in questo duplice ruolo dal novembre 2014, Sturgeon ha dichiarato di volersi fare da parte per motivi personali e per consentire alla persona che le sarebbe succeduta di proseguire le battaglie dell’Snp con rinnovato vigore.

Da allora, lo scenario politico scozzese si è complicato, soprattutto in seguito a investigazioni da parte della polizia circa sospette frodi sulle raccolte di fondi dell’Snp. Ma al di là delle difficili acque in cui il partito si trova a navigare, vogliamo qui delineare un ritratto dei pretendenti che si sono proposti come successori di Nicola Sturgeon.

A scendere in lizza sono state tre note figure dell’Snp, che hanno ricoperto ruoli di rilievo nel recente passato: Humza Yousaf, Kate Forbes e Ash Regan. Roviniamo la sorpresa al lettore che non lo sapesse già: Yousaf è uscito vincitore da questa sfida ed è oggi alla guida della nazione. Con Ash Regan relegata al ruolo di “underdog” (candidato sfavorito), aveva preso forma un testa a testa tra gli altri due candidati, entrambi fieri delle loro fedi religiose.

Kate Forbes, la più giovane dei tre, è stata eletta al parlamento scozzese per la prima volta nel 2016 e in tempi recenti ha ricoperto il ruolo di segretaria all’economia, prima di dimettersi al termine della corsa per la poltrona di primo ministro. Figlia di due missionari della Chiesa Libera di Scozia, ha vissuto per alcuni anni in India, dove il padre era impegnato in iniziative caritatevoli di stampo religioso.

E l’impronta della fede nel pensiero di Kate Forbes è facilmente riscontrabile, così come alle sue convinzioni si deve, almeno in parte, il suo debutto in politica. Nel Regno Unito opera “Care” (Christian Action Research and Education), un gruppo di pressione (“lobby group”, si direbbe nelle terre di Sua Maestà) che con il suo “Leadership Program” assicura a neolaureati delle posizioni di assistenti nei gruppi di lavoro di membri dei parlamenti britannici (per lo più presso conservatori, il che non stupisce).

Forbes sarebbe diventata probabilmente il più importante successo per Care se fosse riuscita a diventare primo ministro in Scozia. L’obiettivo di Care è quello di portare l’approccio biblico in politica (sic), con le posizioni che si possono immaginare: ad esempio, una ferma contrarietà al suicidio assistito e al diritto all’aborto.

Non sorprenderà l’avversione alle campagne per i diritti Lgbt+, con tanto di sponsorizzazione di eventi per “educare” persone omosessuali (etichettate come “sexually broken”, da convertire e riportare sulla retta via). In linea con queste posizioni, Forbes ha dichiarato che se fosse stata in parlamento nel 2014, quando è stata approvata la legge che ha aperto il matrimonio a persone dello stesso sesso, avrebbe votato contro.

Si è anche espressa sul sesso prima del matrimonio, definendolo “sbagliato” secondo il suo credo; d’altronde, ha ammesso lei stessa, non ha mai cercato di nascondere la sua fede, che ritiene una parte essenziale di sé. È probabile che buona parte della popolazione scozzese non fosse a conoscenza di queste sue convinzioni, né dell’importanza e della forza della fede nell’indirizzare le sue idee.

Ma quando queste e altre dichiarazioni sono state rese note sui giornali durante la campagna elettorale per la scelta del successore di Nicola Sturgeon, Kate Forbes ha visto ridursi considerevolmente l’appoggio alla sua candidatura. Alcuni colleghi di partito hanno preso le distanze e i Verdi Scozzesi, il partito che forma la maggioranza in parlamento con l’Snp, hanno paventato l’ipotesi di una rottura a causa dell’incompatibilità di vedute: «un serio impegno verso valori progressisti non può essere un optional nella scelta del primo ministro», hanno sottolineato durante il loro congresso.

Kate Forbes da un lato ha apertamente detto di non avere bisogno dei Verdi per governare (sebbene si sarebbe trattato di un governo di minoranza, in quel caso), e dall’altro ha cercato di minimizzare il problema, sostenendo che non si sarebbe adoperata per rimuovere alcun diritto civile, malgrado le sue convinzioni religiose.

Il censimento che si è tenuto in Scozia nel marzo del 2022 (posticipato di un anno a causa della pandemia) fornirà dati più precisi quando i risultati verranno resi pubblici, tra qualche mese; ma già nel 2011 oltre un terzo della popolazione si dichiarava non religiosa, ed è lecito supporre che oggi si tratti di una fetta ancora più cospicua della popolazione, in linea con l’andamento che vede le fedi in declino nel mondo occidentale, specialmente tra i giovani.

Non è quindi difficile immaginare che anche se Forbes avesse tentato dei passi indietro sui diritti civili, il calo di consensi avrebbe decretato la morte politica di qualsiasi iniziativa scaturita e giustificata da convinzioni religiose.

Humza Yousaf proviene da un contesto completamente diverso. Anch’egli impegnato nell’Snp fin da giovane, ricopriva il ruolo di segretario alla salute al momento delle dimissioni di Nicola Sturgeon. Padre pakistano e madre nata in Kenya da una famiglia originaria del sud dell’Asia (Punjab), Humza Yousaf è stato da subito paragonato a Rishi Sunak, l’attuale primo ministro britannico; anch’egli figlio di immigrati, provenienti dall’Africa ma di origini indiane, è il primo britannico-asiatico a ricoprire questo ruolo.

Se Sunak è indù, Yousaf è musulmano; e se il primo è leader dei conservatori (i “Tories”), promotori della Brexit, l’altro milita da anni nel partito che più strenuamente ha difeso il legame tra Regno Unito e Unione Europea. Ben poco in comune, si potrebbe dire. A parte il fatto che anche Yousaf è un “primo nella storia”: il primo musulmano a guidare un Paese occidentale.

Come si concilia questo con le politiche di un Paese che negli ultimi anni ha fatto notevoli passi in avanti su temi come i diritti Lgbt+ e la difesa del diritto all’aborto? C’è il rischio che la fede del primo ministro scalfisca o abbatta la modernità che si va affermando nella nazione?

Di certo è sconsigliabile cercare nelle religioni (in generale, e abramitiche in particolare) il trampolino di lancio per raggiungere, per esempio, la completa emancipazione femminile. La religione islamica «si è sempre implacabilmente opposta alla libera scelta delle donne di disporre del proprio corpo e del proprio destino», affermava già una quindicina di anni fa Stephen Fry, celebre attore, regista, comico, scrittore e presentatore televisivo britannico.

Uno sguardo alla condizione delle donne in molti Paesi islamici di certo non indebolisce questa osservazione, ed è lecito supporre che gran parte dell’elettorato abbia ben chiare le limitazioni e le imposizioni che la religione può portare nella società.

Ma Humza Yousaf è ben lontano dall’assumere posizioni che possano far temere passi indietro in questo o in altri ambiti. Cavalcando l’indignazione popolare in seguito alle dichiarazioni di Kate Forbes circa la sua avversione all’aborto, Humza Yousaf ha lanciato un Manifesto delle donne, che comprendeva «la protezione e l’avanzamento dell’accesso all’aborto».

Ha anche sottolineato come i recenti passi indietro sul tema fatti negli Stati Uniti e in Polonia debbano tenere tutti in guardia dal rischio che simili iniziative tentino di prendere piede anche altrove. Si è impegnato a sostenere l’imprenditoria femminile e il ritorno nel mondo del lavoro in seguito alla maternità, premendo perché si trovino le coperture per offrire posti gratis negli asili nido.

Promesse da campagna elettorale, unite al bisogno di marcare il distacco da Kate Forbes per ampliare il proprio supporto, certamente. Ma se a questo si aggiunge qualche dettaglio della sua vita privata, come un matrimonio in seconde nozze, il quadro che si evince è quello di un musulmano molto moderato, che non induce al momento timori di alcun tipo per quanto riguarda le conquiste su temi come interruzione di gravidanza o diritti Lgbt+.

Una piccola nota su quest’ultimo punto: Kate Forbes, come accennato sopra, ha dichiarato che avrebbe votato contro la legge che ha introdotto il matrimonio tra le persone dello stesso sesso nel 2014, se fosse stata in parlamento. Humza Yousaf, già parlamentare all’epoca, non si recò a votare perché impegnato in un incontro con il console del Pakistan; all’ordine del giorno, la vicenda di un cittadino britannico (Mohammad Asghar, pensionato affetto da schizofrenia che nel 2010 aveva lasciato Edimburgo per tornare nella Repubblica Islamica) accusato di blasfemia in quel Paese.

Non una cosa di poco conto, ovviamente, visto che la blasfemia è punibile con la pena di morte in Pakistan. Ma già allora qualcuno chiese conto a Yousaf della sua assenza in aula, palesemente sospettando che fosse un pretesto per non inimicarsi la comunità musulmana, tradizionalmente chiusa sul tema dell’omosessualità. Accuse rimandate al mittente da Yousaf, che ha fatto notare come ogni dubbio circa il suo appoggio alla comunità Lgbt+ sia fugato dalle sue innumerevoli dichiarazioni e prese di posizione nel corso degli anni.

È sempre deprimente assistere alla resa della ragione, alla volontà di procedere spinti dalla sola fede, la quale altro non è che la giustificazione che un individuo si concede per credere in assenza di prove. E il nuovo primo ministro, in quanto musulmano, è probabilmente convinto che un profeta abbia cavalcato un destriero alato e che un dio abbia diviso la luna in due parti, come insegna il suo testo sacro.

Non si tratta di un caso isolato nel panorama internazionale, dove capi di Stato e di governo non credenti di certo non abbondano. L’ormai dilagante secolarismo umanista della società scozzese si vedrà un giorno riflesso in una classe dirigente che ne condivida appieno la visione del mondo, scevra di entità soprannaturali. Ma, sebbene i tempi siano maturi, quel giorno non è ancora giunto, e per adesso possiamo solo tirare un sospiro di sollievo nel constatare che, salvo repentini cambi di rotta, la fede non caratterizzerà l’azione di governo del nuovo primo ministro.

Daniele Labartino


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Un commento

Mixtec

Musulmano, pakistano e Primo Ministro della Scozia.
Ricordo anche, in pieno XIX secolo, un ebreo di origini italiane Primo Ministro dell’Imperatrice dell’ India.

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