La carriera alias serve a tutelare le persone transessuali nei percorsi scolastici e accademici in Italia. Ma recentemente ha subito attacchi da integralisti e politici clericali. La referente nazionale Uaar per le questioni Lgbt+ e di genere Maria Angela Fatta spiega, sul numero 3/23 di Nessun Dogma, perché in Italia c’è bisogno anche di questo strumento contro le discriminazioni. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Nell’aprile del 2023 due delegati di FdI inviavano una mail alla dirigente dell’istituto d’istruzione superiore Marco Polo di Venezia chiedendo di abolire la carriera alias, attivata per tutelare studenti trans. A questa la dirigente scolastica rispondeva prontamente e pubblicamente ribadendo il principio di autonomia scolastica e denunciando la grave ingerenza della politica nel percorso scolastico avviato. A questo evento sono seguite critiche e si è innescato un duro dibattito.
Ma cosa è la carriera alias e perché è tanto detonante al punto di far esporre dirigenti di partito e scatenare la canea di critiche e attacchi da parte dei gruppi pro-family e degli integralisti religiosi? L’identità sessuale viene definita come interazione complessa tra aspetti bio-psico-socio-culturali, ed è costituita da quattro principali componenti: identità di genere, orientamento sessuale, espressione di genere e il sesso assegnato alla nascita. Tutte e tutti possediamo, ovviamente, un’identità sessuale, ma solo le persone Lgbt+ proprio a causa di essa, nel nostro Paese, vengono ancora discriminate e continuano a non avere piena cittadinanza.
Secondo la Rainbow Map and Index 2022 dell’ente Ilga Europe, che analizza l’impatto delle leggi e delle politiche di ciascun Paese sulla vita delle persone con identità di genere e orientamento sessuale minoritari, l’Italia si attesta al 33° posto su 49 Paesi europei per uguaglianza e tutela delle persone Lgbt+.
Per quanto riguarda l’uguaglianza e la non discriminazione, l’Italia è 26esima su 27 Paesi; per il riconoscimento giuridico delle famiglie arcobaleno, l’Italia è 20esima su 24 Paesi; e in merito ai discorsi d’odio siamo ultimi, non avendo nessuna legge contro l’omotransfobia, insieme a Bielorussia, Polonia e Repubblica Ceca.
L’Italia inoltre si posiziona tra i primi Paesi in Europa con il maggior numero di omicidi di persone transgender.
Si stima che in Italia ci siano circa 400.000 persone transgender e uno studio pubblicato sul Journal of Psychopathology, organo ufficiale della Società italiana di psicopatologia (Sopsi), condotto su un campione di 402 persone trans provenienti da tutto il mondo, riporta che il 59,5% ha subito violenze e abusi; lo studio condotto su 149 persone trans italiane ha riportato che le forme più frequenti di stigma subite da queste nel nostro Paese sono l’abuso verbale (86,6%), problemi di accesso al lavoro (66,4%), maltrattamenti fisici (57%), problemi di accesso ai servizi sanitari (38,9%), abusi sessuali (31,5%), problemi a ottenere casa in affitto (28,9%), licenziamenti (24,2%), rapine (21,5%) e un basso grado d’istruzione (15,4%), dati che sembrano essere strettamente connessi ai tentativi di suicidio e ai suicidi delle persone trans.
Le persone trans subiscono frequentemente stigmatizzazione e spesso non vengono riconosciute nella loro affermazione di genere in vari ambiti della propria vita, da quello familiare, a quello sanitario e lavorativo. In particolare per le persone trans più giovani l’ambito che risulta essere più arduo e carico di ostacoli è proprio quello che riguarda i percorsi formativi, essendo la loro condizione poco conosciuta e socialmente connotata da stereotipi negativi.
La legge 164/1982 che in Italia regola i percorsi di affermazione di genere, riconosce alle persone transgender la possibilità di ottenere la rettifica anagrafica ma soltanto a fronte di una sentenza passata in giudicato e di un iter legale che nei tribunali può durare anni.
La legge però risulta oggi obsoleta perché obbliga le persone trans a rimanere in un limbo (sic!) durante il percorso di transizione, costringendole a utilizzare documenti che le espongono a continui coming out forzati e all’obbligo di fornire spiegazioni circa l’incongruità di tali documenti anagrafici con l’espressione di genere e con l’aspetto fisico, condizione che finisce spesso per costituire un ostacolo a volte insormontabile nell’accesso ai servizi.
Mentre in Spagna, Danimarca, Olanda, Malta, i documenti rettificati vengono dati subito alle persone trans, in Italia la loro condizione continua a essere annoverata come disturbo mentale, richiedendo quindi una perizia psichiatrica per accedere all’iter di transizione.
Va ricordato che fino al 2005 in Italia la prassi dei tribunali era di chiedere la sterilizzazione per approvare la rettifica anagrafica, ed è proprio con la sentenza n. 221/2015 che la Corte costituzionale ha stabilito che «L’esclusione del carattere necessario dell’intervento chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica appare il corollario di un’impostazione che – in coerenza con supremi valori costituzionali – rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere» rendendo di fatto una scelta, e non un obbligo, l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso al fine dell’ottenimento della rettifica anagrafica.
Molti adolescenti trans, circa il 43%, abbandonano gli studi perché non sono accolti o sostenuti nei percorsi di studio e sono troppo spesso sottoposti a misgendering e a situazioni umilianti.
È proprio con l’obiettivo di superare queste barriere e attuare politiche inclusive, che la Conferenza nazionale degli organismi di parità delle università italiane, nel documento Le linee guida per gli Atenei Italiani sull’implementazione della Carriera Alias, afferma che: «Il dispositivo della carriera alias, un’identità transitoria, si colloca nell’ambito della tutela dei diritti fondamentali e incontra il bisogno di garantire condizioni in cui il riconoscimento dell’identità di genere è fattore dirimente rispetto al benessere e alla qualità di studio e di lavoro» e viene attuata «nell’ambito delle azioni per garantire ambienti inclusivi e rispettosi delle differenze, anche in tema di identità di genere, al fine di promuovere il benessere fisico, psicologico e relazionale delle persone che studiano e lavorano».
Giuseppe (nome di fantasia), studente trans dell’Università di Palermo, racconta che «A Palermo dal 2019 è attivata la carriera alias, dove, assolto l’obbligo di presentare la documentazione necessaria (relazione di presa in carico da parte dello psicologo e/o endocrinologo attestante il percorso medicalizzato di transizione) vengono avviate le procedure di modifica della documentazione universitaria con il nome di elezione.
Rimangono i problemi per le persone non binarie, perché l’Università di Palermo obbliga comunque a scegliere tra i pronomi maschili o femminili. Ho attivato la carriera alias perché già avevo cominciato il percorso di affermazione di genere mentre ero iscritto all’Università. Il mio percorso di coming out avviene durante il periodo degli studi universitari e la mia iscrizione era subordinata ai documenti anagrafici ancora al femminile. La carriera alias mi ha aiutato ad affrontare gli studi».
Poiché il percorso di transizione di genere è lungo e costoso non tutte le persone trans possono sostenere economicamente questi costi, e non sempre i tempi di attesa per l’affermazione di genere sono congrui e coerenti con la vita che si vuole vivere, pertanto la carriera alias diventa uno strumento importante per le persone trans permettendo loro di non abbandonare gli studi.
La carriera alias nasce su richiesta della comunità trans che trova difficoltà di accesso nei percorsi di studio e nasce inizialmente circa 15 anni fa nelle università e già da un paio di anni comincia a essere attivata anche nelle scuole di secondo grado.
È valida solo dentro le università che attivano le Linee guida e nelle scuole che la riconoscono, per cui nei tirocini esterni all’università o in ambito non scolastico non viene riconosciuta e questo espone le persone trans a pregiudizi, a giudizi o stereotipi negativi e violenza verbale, circostanze che possono anche talvolta accadere durante gli esami, motivo per il quale molte persone trans rinunciano agli studi.
La carriera alias agisce dunque per contrastare i fattori stressogeni che colpiscono le persone trans durante i percorsi scolastici e accademici, riconoscendo l’autodeterminazione di genere e non subordinandola al percorso di transizione, consentendo alle persone trans di affrontare in maniera più serena gli studi.
Christian Leonardo Cristalli attivista trans, socio Uaar, formatore e consulente Dei (Diversità, equità, inclusione) afferma: «La carriera alias non ha valenza legale, è un dispositivo che accompagna le persone trans ad affrontare con maggior serenità i percorsi formativi, accademici, lavorativi poiché consente alla persona di essere riconosciuta nella sua identità sociale laddove il documento non la supporti nei propri rapporti quotidiani.
La carriera alias ha validità interna solo dove vengono applicati i protocolli d’intesa. Al di fuori degli atenei o delle scuole che la applicano, le persone trans riscontrano maggiori difficoltà, ostilità e vengono ancora discriminate subendo outing. In particolare a scuola è necessario che docenti e personale scolastico non docente siano formati sulla varianza di genere in età evolutiva. Per questo è necessario fare formazione, non solo in ambito scolastico e accademico ma soprattutto anche a operatori delle professioni sanitarie e in particolare in ambito pediatrico.
Ricordiamoci che in Italia non esiste una legge contro i discorsi d’odio e contro le terapie riparative, i minori necessitano di un approccio affermativo e accogliente che rafforzi la loro autostima e non li faccia sentire sbagliati, ancora troppi professionisti utilizzano approcci controproducenti nel tentativo di ‘correggere’ questi ragazzi e tutto ciò non fa altro che aumentare il livello di stress cui sono sottoposti.
La compressione identitaria a cui si dà luogo cercando di cambiare l’identità di questi ragazzi è potenzialmente pericolosa, potrebbe esporre i ragazzi a comportamenti autolesionistici o ideazioni suicidarie. Le policies per l’inclusione delle persone trans, oltre a essere attivate in una sessantina di atenei e circa 200 scuole di secondo ordine e grado, cominciano a diffondersi anche in alcuni ambiti lavorativi, sportivi e sociali.
Le stiamo protocollando noi in tutta Italia in quanti più ambiti possibili, per tutelarci da una lacuna politica e legislativa che lascia le persone esposte con documenti anagrafici incongruenti con la propria identità sociale. La carriera alias viene utilizzata in ambito sportivo da società ed enti nazionali come la Uisp (Unione sport per tutti), unitamente alle linee guida per l’utilizzo degli spazi e aree comuni, è utilizzata nelle aziende per promuovere la parità di genere e la creazione di ambienti di lavoro più inclusivi per lavoratori e lavoratrici transgender e in generale per ciascuna identità.
Anche un’azienda di trasporti come la Start Romagna ha adottato l’abbonamento alias, e in alcuni casi anche nella pubblica amministrazione stiamo riuscendo a istituire questa policy per buone prassi. Per esempio come a San Lazzaro di Savena, dove il Comune ha protocollato la carriera alias come strumento delle pari opportunità; o come a Milano e Lecce, dove sarà presto attivato il Registro di genere, ispirato al Gender Register di Malta, previsto nella loro legge per l’autodeterminazione di genere».
Conclude Cristalli: «Con la diffusione della propaganda anti-trans, clericalista e di destra centrata sull’inesistente bufala dell’‘ideologia gender’ le persone trans sono state disumanizzate e ridotte a un’ideologia o ad argomento di dibattito.
La stessa esistenza delle persone transgender mette in discussione l’essenzialismo biologico, l’idea di due soli modelli di corpi corrispondenti a soli due generi, lo stereotipo della ‘famiglia tradizionale’ laddove esistono famiglie omo e trans genitoriali, la fissità dei ruoli di genere previsti in questa società patriarcale assegnati alla nascita.
La piena agibilità e un’esistenza serena per le persone trans è un diritto che non ci viene riconosciuto ma con cui siamo nate, troppo spesso ci viene tolto il diritto a esistere per come siamo, in tutta la complessità che portiamo. La carriera alias ci permette di presentarci per quello che siamo in ambiti ancora limitati rispetto alle leggi di questo Paese, ma proprio per questo diventa necessaria e inderogabile».
Maria Angela Fatta
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