Buone novelle laiche

Non solo clericalate. Seppur spesso impercettibilmente, qualcosa si muove. Con cadenza mensile vogliamo darvi anche qualche notizia positiva: che mostri come, impegnandosi concretamente, sia possibile cambiare in meglio questo Paese.

La buona novella laica del mese di luglio è la presa di posizione del Garante per i diritti dell’infanzia della Regione Calabria, Antonio Marziale, per contestare la decisione (poi revocata) dell’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova Fortunato Morrone di nominare quale amministratore parrocchiale un prete prescritto per reati di pedofilia. «Intendiamoci, lo Stato Vaticano è sovrano e le sue leggi sono da rispettarsi, ma quand’esse abbiano ricadute sui territori italiani, in questo caso reggini, calabresi, l’istituzione che rappresento, sollecitata da segnalazioni, deve porsi il problema a tutela dei propri minori, della loro sicurezza», ha puntualizzato Marziale, ricordando le intenzioni di papa Francesco per contrastare il fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa. «Essendo cattolico, grato alla Chiesa per avere contribuito alla mia formazione spirituale, umana, sociale e culturale, non posso non conferire al tema degli abusi all’infanzia in ambito ecclesiale una connotazione anche morale, come tutti i cattolici suppongo, dicendomi disorientato dal doppio binario sul quale viaggia il Vaticano», ha aggiunto il Garante.

La Corte Costituzionale ha emesso una sentenza sul fine vita che definisce in maniera più ampia i criteri per l’accesso al suicidio assistito e che sprona la politica – come già aveva fatto nel 2019 – a legiferare. I giudici hanno confermato la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale tra le condizioni per accedere al suicidio assistito: la novità è che si intendono come tali – contro il parere restrittivo del governo, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato – trattamenti da cui dipende la vita di un paziente e che questi ha il diritto di rifiutare, a prescindere da quanto siano invasivi, compresi ad esempio evacuazione manuale, inserimento di cateteri o aspirazione del muco. A decidere caso per caso dovranno essere i medici ed eventualmente i giudici. La Corte esprime il «forte auspicio che il legislatore e il servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione dei principi fissati dalla propria precedente sentenza». I giudici ricordano che va garantito anche l’accesso alle cure palliative e nel pronunciamento cercano di bilanciare la tutela della dignità e quella della vita, temendo che una «legislazione permissiva non accompagnata dalle necessarie garanzie sostanziale e procedimentali» spinga persone più fragili «a farsi anzitempo da parte» credendosi un “peso”. Il caso riguardava Massimiliano, malato di sclerosi multipla accompagnato in Svizzera dall’Associazione Luca Coscioni per il suicidio assistito. Gli attivisti si erano autodenunciati, la procura di Firenze aveva chiesto l’archiviazione ma il gip aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale. 

Il pronunciamento dei giudici ha già effetti concreti e si prevede possa sbloccare situazioni che si trascinano da mesi per inerzia delle istituzioni. La Ausl Toscana Nord Ovest, dopo aver negato per settimane la richiesta al suicidio assistito di una 54enne paralizzata per una sclerosi multipla, ha dato parere favorevole. La paziente infatti ha i requisiti previsti dalla sentenza 242 del 2019 (quella relativa al caso di Dj Fabo), come ridefiniti dal recente pronunciamento, dato che non ha alcuna autonomia. La segretaria dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo, ha spiegato che si tratta della «prima applicazione diretta della sentenza numero 135 della Corte Costituzionale che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale». 

Intanto il tribunale di Trieste ha condannato un’Azienda sanitaria locale del Friuli Venezia Giulia per aver snobbato la richiesta di accesso al suicidio assistito di Martina Oppelli, affetta da sclerosi multipla e non più autonoma dal 2012. I giudici hanno chiarito che l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina deve effettuare una «rivalutazione delle sue condizioni per verificare se soddisfa o no il requisito del trattamento di sostegno vitale». L’azienda infatti aveva negato che la donna fosse dipendente da un trattamento di sostegno vitale, sebbene non sia in grado di nutrirsi, muoversi o assumere farmaci autonomamente. Oppelli aveva espresso l’intenzione di accedere al suicidio assistito in Svizzera, sostenuta dall’Associazione Luca Coscioni. Intanto, passati 8 mesi dal diniego dell’Asugi, le sue condizioni continuano a peggiorare. Il tribunale dà all’azienda sanitaria 30 giorni per fare una nuova verifica, poi dovrà pagare 500 euro al giorno più le spese di giudizio. 

La Corte Costituzionale si è pronunciata anche su questioni importanti relative alla vita delle persone transgender. I giudici hanno dichiarato incostituzionale l’obbligo di chiedere l’autorizzazione del tribunale per chi vuole fare un intervento per la riassegnazione del sesso ma ha già iniziato una terapia ormonale su prescrizione del medico e ottenuto la rettifica dei documenti. Il caso riguarda una persona trans di Bolzano che aveva chiesto l’inserimento del genere “non binario” nei documenti e voleva sottoporsi a un intervento. La Corte ha però negato l’introduzione di una terza dicitura nei documenti, diversa da “maschile” e “femminile”, perché ciò avrebbe «un impatto generale» nello stato civile e richiederebbe un adeguamento legislativo e burocratico.

Il Comune di Roma apre finalmente una nuova sala del commiato per funerali laici nella Capitale, che si aggiunge al Tempietto Egizio nel cimitero del Verano: uno spazio al cimitero Laurentino, che dispone di 27 posti a sedere e di attrezzatura audio e video. L’assessora ad Agricoltura, ambiente e ciclo dei rifiuti di Roma Capitale, Sabrina Alfonsi, il presidente dell’azienda municipalizzata per i rifiuti Ama Bruno Manzi e il direttore generale dell’Ama Alessandro Filippi hanno inaugurato la sala. Un’iniziativa di certo meritoria, ma del tutto insufficiente per le esigenze delle persone non cattoliche in una città di quasi tre milioni di abitanti. La nostra associazione continua a impegnarsi con progetto Cerimonie Uniche per valorizzare la cultura delle cerimonie laico-umaniste e per sollecitare le istituzioni affinché mettano a disposizione di tutti degli spazi per celebrazioni non religiose. 

Critiche da diversi politici alla proposta del senatore forzista Maurizio Gasparri di un disegno di legge per garantire un “reddito di maternità” di mille euro al mese, per cinque anni, alle donne (italiane) con basso reddito che ne facciano richiesta. Per la senatrice pentastellata Alessandra Maiorino «il reddito di maternità è offensivo dopo lo stop al Reddito di cittadinanza» perché «comprano il diritto delle donne». La senatrice Pd Cecilia D’Elia ha affermato: «non si affronta così lo scarto tra figli desiderati e realizzazione dei progetti di genitorialità. Stiamo parlando di gravidanze indesiderate e la scelta delle donne va rispettata, non indotta economicamente». Luana Zanella (capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra) ha spiegato: «pensare che bastino pochi soldi erogati a donne povere che scelgono di abortire per sostenere la maternità è un’offesa all’intelligenza delle donne e un ulteriore espressione di misoginia di certa classe politica». Il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia ha commentato: «Non so se è la solita provocazione a cui ci ha abituato Gasparri ma certo la sua proposta ha dell’aberrante: chi ha cancellato il Reddito di cittadinanza ora parla di reddito di maternità promettendo denaro a chi non abortisce». Boccia ha definito la proposta «una invadenza perversa nella vita delle donne»: «quello che propone Gasparri è un ricatto economico sulla pelle delle donne. L’aborto non è mai una scelta facile ma è un diritto». Infine ha chiosato: «Forse Gasparri non ha letto l’intervista di Marina Berlusconi ma con questa proposta sta trasformando FI in un partito confessionale». 

La Giunta di Bologna ha diffuso una nota stampa per contestare la proiezione del documentario anti-abortista “Baby Olivia”, organizzata dall’associazione integralista Pro Vita & Famiglia su un maxischermo in Piazza XX Settembre. L’intento del gruppo no-choice sarebbe quello di «incuriosire i passanti e sensibilizzare, soprattutto i giovani, sulla Vita e sul suo inizio». L’iniziativa clericale ha ottenuto il sostegno del centrodestra ma è stata duramente contestata da una manifestazione in piazza. «Esprimiamo sdegno per chi usa gli spazi della democrazia per veicolare intolleranza e attaccare la salute e l’autodeterminazione delle donne», si legge nel comunicato dell’amministrazione: «Bologna, grazie ai suoi movimenti femministi, per i diritti civili e laicità dello Stato nei servizi pubblici, è da sempre schierata a favore della libertà di scelta delle donne sul proprio corpo. Esprimiamo il nostro sostegno alle cittadine e ai cittadini che stanno manifestando il loro dissenso alla campagna di Pro Vita & Famiglia».

Il gruppo integralista ha lamentato un «attacco alla democrazia» per le intemperanze di alcuni manifestanti. Le consigliere democratiche Mery De Martino e Giulia Bernagozzi, presenti in piazza, hanno risposto: «Se ci sono stati cori violenti ce ne dissociamo, pur non avendoli ascoltati. Quel che è certo invece è che la violenza che abbiamo percepito proveniva da un attacco che in quanto donne sentiamo di aver subito nella nostra libertà di scelta e autodeterminazione. Il diritto all’aborto non toglie i diritti a nessuno, ma li garantisce a noi stesse, mentre ieri degli uomini, gli stessi che ora fanno le vittime, hanno voluto imporci cosa dobbiamo fare con il nostro utero». Anche Detjon Begaj, consigliere di Coalizione Civica e presente alla mobilitazione, ha spiegato: «La violenza che ho potuto testimoniare è quella di un gruppetto composto prevalentemente da uomini, che hanno montato un maxischermo che a volumi altissimi trasmetteva propaganda antiscientifica contro i diritti delle donne, colpevolizzandole per le scelte che fanno sul proprio corpo, tra il disprezzo dei passanti e le proteste delle donne presenti che hanno democraticamente preso parola contro quello scempio alla propria dignità». Per Matteo Hallissey, segretario di Radicali Italiani, la proiezione è stata «un insulto alle donne, la becera espressione di un’associazione reazionaria che vuole solo colpevolizzare l’aborto. Mentre la Francia introduce il diritto all’aborto nella Costituzione, noi siamo ancora al medioevo, con lettere scarlatte spedite via web contro il diritto all’aborto».

Anche diversi politici, come Gianna Pentenero (PD), Alice Ravinale (AVS) e Sarah Disabato (M5S) hanno partecipato alle proteste davanti all’ospedale Sant’Anna di Torino contro il sostegno (anche finanziario) della Regione Piemonte alle organizzazioni integraliste no-choice. 

Una ragazza di origine nordafricana che viveva in provincia di Palermo ha dovuto lottare contro la famiglia integralista per poter proseguire gli studi. I genitori, musulmani fanatici, sostenevano infatti sulla base della sharia che una donna non potesse studiare e sottoponevano la giovane a vessazioni e violenze. La ragazza, dopo l’intervento delle forze dell’ordine, si è potuta diplomare e frequenterà l’università, accolta in una struttura protetta fuori dalla Sicilia.

Tre pakistani, cittadini italiani residenti in provincia di Brescia, sono stati condannati per maltrattamenti nei confronti di quattro sorelle, vessate dalla famiglia perché non considerate “brave musulmane”. Gli indagati (padre, madre e figlio) dopo la sentenza della Cassazione risultano però irreperibili, forse fuggiti nel Paese d’origine. Le donne venivano percosse «ad ogni minima disubbidienza o al rifiuto di studiare ogni giorno il Corano e di praticare le cinque preghiere rituali al giorno sin dalle 4 del mattino», riporta la sentenza. Per giunta, erano state minacciate di «fare la fine di Sana Cheema», giovane cittadina italiana di origini pakistane residente a Brescia e uccisa in Pakistan nel 2018 dopo essersi opposta a un matrimonio combinato.

In Lombardia e Abruzzo prosegue la discussione delle proposte di legge regionale di iniziativa popolare “Liberi Subito” per l’autodeterminazione sul fine vita. In commissione Affari istituzionali del Consiglio regionale lombardo è in discussione la proposta presentata dalla Coscioni e sottoscritta da 8 mila cittadini. A febbraio l’ufficio di presidenza aveva dato il via libera formale alla discussione. La proposta ha il sostegno anche di alcuni consiglieri di centrodestra, oltre che degli eletti del centrosinistra. Il presidente della Regione Attilio Fontana, a livello personale, si era espresso favorevolmente. Giulio Gallera di Forza Italia ha affermato: «Da liberale credo nella libertà di ogni cittadino di autodeterminare anche la propria fine, quindi sostengo con forza questa proposta di legge. Non sono l’unico nella maggioranza. All’interno di Forza Italia ci sono altri colleghi e mi sembra che ci saranno anche all’interno della maggioranza, però questo verrà fuori nel dibattito e nel voto». Marco Cappato, esponente della Luca Coscioni, ha colto l’occasione della sentenza per sollecitare la Regione Lombardia a intervenire per rendere certi i tempi e le modalità per le richieste di accesso al suicidio assistito. 

Anche in Abruzzo il Consiglio regionale ha confermato la decisione della quinta commissione Sanità, condivisa da maggioranza e opposizione, di approfondire una analoga proposta di legge. Luciano D’Amico, per conto dell’opposizione, ha spiegato: «abbiamo ribadito la necessità di fare tutto quanto necessario per dotare la Regione Abruzzo di una legge in tal senso e di lavorare con solerzia per farlo nel più breve tempo possibile». Dal canto suo Paolo Gatti, presidente della commissione, ha parlato della «necessità di un approfondimento serio su una materia delicata, sul versante anche della forma: va verificata la concreta possibilità da parte della Regione di andare a normare».

La redazione

Un commento

RobertoV

Spero che la polizia e le associazioni siano ben organizzate per aiutare queste ragazze, e non solo, in genere in ambito mussulmano, abusate e perseguitate dalle famiglie. Spesso devono abbandonare tutti i famigliari e amici ed anche lasciare la città e cambiare i dati anagrafici per sfuggire alla loro vendetta per “salvaguardare l’onore delle famiglie”. Ci vuole un notevole coraggio per difendere il loro diritto di vivere.

Bene che anche le istituzioni laiche non tollerino che la chiesa cattolica faccia i comodi propri coi preti pedofili. Magari lo facessero più spesso. Però le dichiarazioni del Garante Marziale dimostrano quanto la propaganda cattolica e l’indottrinamento siano efficaci: non è grazie alla sua educazione cattolica che la pedofilia è riconosciuta come un problema anche dalla chiesa, ma civile e laica e i ringraziamenti al papa parolaio e venditore di fumo sono fuori luogo, basterebbe vedere che già in diverse occasioni ha confermato sacerdoti e vescovi chiacchierati fregandosene dei fedeli e come ha affrontato la questione in Italia con l’indagine farsa. Solo dove non poteva fare diversamente si è esposto un po’ a parole.

Commenti chiusi.