Cinque cerchi di bufale e polemiche

Durante le Olimpiadi di Parigi la nostra classe dirigente si è distinta per gli attacchi contro minoranze sessuali e libertà di espressione. Il punto del direttore Raffaele Carcano sul numero 5/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Prima dell’inaugurazione dei giochi olimpici di Parigi era diffuso il timore di subire un attentato terroristico, come accaduto in precedenti edizioni. Non ci sono stati, ma nessuno lo ha fatto notare. In compenso, è stato criticato, enfatizzato e manipolato quasi tutto il resto.

A cominciare dalla stessa cerimonia d’apertura. A essere presa di mira è stata soprattutto la scena in cui è comparso un uomo seminudo dipinto di blu, con una corona di frutti e fiori sul capo. Per quanto kitsch e incongruo, il possesso di un minimo di cultura classica avrebbe dovuto far pensare a Dioniso/Bacco, come peraltro confermato in diretta dagli stessi organizzatori. Ai sempre più numerosi provocatori cattolici ha fatto invece pensare a un’ottima occasione per buttarla in caciara.

Naturalmente, qualunque tavolo con dietro (e soltanto dietro) delle persone fa pensare anche all’ultima cena, e i coreografi lo sanno benissimo. Ma il fatto che alle spalle di Dioniso ci fossero un tavolo e numerose persone (ben più di tredici, e non tutte di sesso maschile) con un look “eccessivo” è stato astutamente spacciato come una presa in giro appositamente orchestrata.

I politici clericali nostrani si sono tuffati a pesce nella vittimistica difesa dei valori cristiani: Salvini ha definito la rappresentazione «disgustosa», l’ineffabile Sangiuliano «un volgare dileggio», il leghista Vannacci uno «sberleffo della fede e della cristianità». Il loro ideologo sembra essere diventato l’arcivescovo tradizionalista Carlo Maria Viganò, che ha a sua volta detto la sua, approfittandone per accusare il presidente francese Macron di «spacciare impunemente come propria moglie un travestito».

Le reazioni italiane hanno spinto alcuni leader esteri a rilasciare commenti simili, da Trump a Erdogan, da Orban fino al populista di sinistra Mélenchon. Con una settimana di ritardo si è poi aggregata la Santa sede, che «è rimasta rattristata e non può che unirsi alle voci che si sono levate che deplorano l’offesa fatta a tanti cristiani e credenti di altre religioni».

Se anche ci fosse stata un’intenzione “blasfema” non ci sarebbe stato nulla da censurare, perché la libertà di prendere in giro una religione non è (più) reato. Ma un’intenzione del genere non sembra proprio che ci fosse. D’altro canto noi laici, proprio perché laici, proprio perché ci offendiamo infinitamente meno, non abbiamo contestato l’evocazione di un dio greco.

Ovvio, le drag queen disturbavano i cattolici, che però non hanno (più) la capacità di attaccare direttamente la loro presenza. Resta il fatto che 63 anni fa il festival di Cannes veniva vinto da un film, Viridiana di Luis Buñuel, che si concludeva con un’autentica parodia dell’ultima cena. È facile constatare quanto indietro stia tornando tanta parte della politica contemporanea.

Nessuno, naturalmente, ha ricordato che nelle olimpiadi antiche, che si tennero dal 776 a.e.v. al 393 e.v., i concorrenti gareggiavano nudi. E che il “buco” di quindici secoli va attribuito alla loro soppressione, decretata dal cristianissimo imperatore Teodosio e mantenuta da tutti i suoi zelanti successori. In compenso, sia il direttore artistico della cerimonia, Thomas Jolly, sia la dj Barbara Butch hanno ricevuto minacce di morte.

I fanatici del terzo millennio hanno cercato di attaccarsi proprio a tutto, facendo anche figure barbine. Sono riusciti a scambiare la statua bronzea di un toro (risalente al 1937) per un vitello d’oro sacrilego, nonché il buco nella calza di un ballerino per un testicolo. Sui social è circolata la foto di vere nuotatrici sul cui costume, all’altezza della vagina, era stato malamente aggiunto con Photoshop uno slogan antitrans, e persino un video, generato con l’intelligenza artificiale, in cui Macron baciava sulla bocca un uomo.

Sono piovute tante critiche fuori misura su quasi ogni aspetto organizzativo, e in particolare sulla balneabilità della Senna, dove si sono svolte alcune gare: in diverse grandi città europee si è investito per poter nuotare nei fiumi che le attraversano, anche con eccellenti risultati, ma probabilmente gli esponenti della maggioranza non ne sono nemmeno a conoscenza.

L’ultrabigotto Simone Pillon, celebrando Novak Djokovic (che ha ringraziato Dio per la vittoria, facendosi il segno della croce), ha definito i giochi «le macroniadi neopagane woke». Macron non è certo di sinistra, ma gli italici pasdaran lo vogliono far passare per un demone ultralaico.

Il loro livello, già bassissimo, si è inabissato a profondità infime con il caso dell’algerina Imane Khelif. Una bomba a orologeria innescata dall’Iba, la corrotta federazione di pugilato, finanziata dalla Gazprom e guidata da un putiniano di ferro. Da tempo non riconosciuta dal comitato olimpico internazionale, lo scorso anno escluse Khelif dai mondiali (e con lei la taiwanese Lin Yu-ting) con una procedura arbitraria, cambiando le regole a competizione in corso ed effettuando test ad personam di cui si è saputo ben poco.

Il sorteggio per il primo turno olimpico ha poi opposto a Khelif l’italiana Angela Carini. La macchina del fango è stata immediatamente accesa, sostenendo che la nostra pugile avrebbe affrontato «un trans» (Santanché, Salvini, La Russa), un’avversaria «con caratteristiche genetiche maschili» (Meloni) o addirittura «un uomo» tout-court (il quotidiano incomprensibilmente denominato La Verità).

Fors’anche per le pressioni ricevute, Carini si è ritirata dal match appena 46 secondi dopo il suo inizio. Giorgia Meloni è corsa a farsi scattare una foto insieme a lei, in cui le dava una carezza materna. Finite le olimpiadi, Carini si è rivelata essere una delle testimonial della campagna pubblicitaria di Webuild, la partecipata pubblica incaricata di realizzare il ponte sullo Stretto. Da notare che Khelif si era preparata in Italia, insieme alle nostre pugili. Ma nessuno aveva sollevato obiezioni sul suo status, allora.

Una volta di più si è scatenata una gazzarra planetaria, con il solito Trump a lamentarsi più volte dell’iniquo scontro tra un uomo e una donna. Ma la bufala ha avuto ben più ampia risonanza, purtroppo. E non solo perché sono intervenuti notori agitatori antitrans quali J.K. Rowling ed Elon Musk. Ma l’hanno fatta propria anche alcuni new atheists che combattono da tempo la battaglia culturale sulla binarietà, quali Richard Dawkins, Jerry Coyne e Michael Shermer.

Una battaglia che, a ben vedere, potrebbe risolversi in un confronto razionale. L’input riproduttivo è indiscutibilmente binario: o gameti maschili, o gameti femminili. L’output è invece più variegato a seconda di quali elementi si considerano, ed è attestato che una parte della popolazione umana (1-2%, secondo le stime) presenta caratteristiche di entrambi i sessi. Sarebbe opportuno prendere sempre atto di queste due realtà. C’è invece chi considera solo l’output e chi, come Dawkins, considera solo l’input. La polarizzazione comunicativa premia queste posizioni estreme, gettando quindi ulteriore benzina su polemiche sterili.

Non che, sportivamente parlando, la questione non sia aperta e delicata. Lia Thomas, un nuotatore che si è dichiarato donna, ha suscitato negli ultimi tempi molta eco per le sue vittorie nelle competizioni femminili: ma non le è stato permesso di competere a Parigi, perché ha cominciato la transizione di genere dopo i dodici anni.

Come riconoscere a tutti il diritto di praticare sport agonistico, garantendo al tempo stesso una gara equa? Non è un problema nuovo, ed è evidente che ogni vincitore ha quasi sempre “qualcosa in più” rispetto agli altri concorrenti e all’essere umano medio. In alcuni sport donne e uomini gareggiano insieme, in altri (come il tiro con l’arco) lo fanno atleti disabili e non-disabili, in altri ancora (come gli scacchi) si discute se abbia senso mantenere la separazione.

Creare ulteriori categorie? E allora perché non organizzare tornei olimpici di basket riservati agli under 150 (centimetri) o agli over 95 (anni)? Al momento, non è nemmeno chiaro per quali motivi i maschi abbiano mediamente prestazioni migliori delle femmine. Le regole vanno sempre considerate in divenire, sulla base delle evidenze raccolte, come scienza richiede. Di certo, nessuna soluzione può essere individuata pubblicando contenuti isterici sui social.

Rimane il fatto che Imane Khelif rientrava nei limiti di testosterone previsti dai regolamenti, ha (forse) soltanto un’alterazione cromosomica, non risulta sia intersex, è stata considerata donna alla nascita e ha sempre vissuto da donna, non ha mai subito alcun cambiamento di sesso né ha mai avviato qualche percorso in questa direzione (in Algeria, poi, dove l’omosessualità è vietata per legge).

Chi la contesta le sta in pratica chiedendo di dimostrare che è una donna. Una donna a cui tocca essere giudicata per il suo aspetto fisico soltanto perché non somiglia alla Madonna – e non cerca nemmeno di somigliarle, a differenza di Giorgia Meloni.

Persino la prima medaglia d’oro vinta dal team dei rifugiati è stata oggetto di commenti idioti, perché è stata conquistata da una lesbica, la camerunense Cindy Ngamba. Invece, alle successive paralimpiadi c’è stato un caso che avrebbe potuto creare molto più rumore, ma non è accaduto: una quarantaseienne, nata uomo, ha partecipato ai 400 metri femminili nella categoria riservata alla disabilità visiva.

Anch’essa ha ricevuto diverse minacce online, e la solita Rowling l’ha definita «un imbroglione». Però, in questa occasione, a parte qualche dichiarazione di esponenti minori sui loro canali social personali, l’oliatissima macchina propagandistica del nostro governo ha preferito restare zitta. Il motivo è presto detto: l’atleta si chiama Valentina Petrillo, è italiana, e non si voleva dare l’impressione di essere “complici”.

Negli stessi giorni, un silenzio analogo è calato anche su Jannik Sinner, blandamente sanzionato per l’assunzione di clostebol. Che è un derivato del testosterone che, mezzo secolo fa, veniva somministrato a pioggia per “mascolinizzare” le sportive dei Paesi dell’est.

A conti fatti, paradossalmente, è grazie ai nostri ruspanti machos da tastiera che atlete extraeuropee sono assurte a simbolo della presunta “decadenza” occidentale – e dire che la peculiarità dell’occidente è semmai che non si muore più per vilipendio, proprio quello lamentato dai neo-super-bacchettoni.

Per carità: qualche momento Eurovision ai giochi si è anche visto, in particolare la viralissima performance della breakdancer australiana Raygun, con tanto di imitazione di un canguro: ha ottenuto zero punti, e si è poi scoperto che è una ricercatrice universitaria proprio sulla sua disciplina (che, a parere di chi scrive, non ha granché di sportivo).

Ma per molti altri versi sono state olimpiadi tradizionali, a partire dalla cerimonia interreligiosa in cui il presidente del comitato olimpico Bach ha dichiarato che «lo sport non è una religione e non può rispondere alle domande ultime sul significato della nostra esistenza; solo la fede può dare risposte alle domande veramente esistenziali». Senza dimenticare l’odiosa squalifica dell’altra rifugiata Manizha Talash, “rea” di aver esposto la scritta «Free Afghan Women».

I giochi olimpici di Parigi sono diventati lo specchio di un mondo in cui la laicità e la ragione fanno sempre più fatica a trovare spazio. Un mondo in cui l’opinione pubblica viene orientata dalla Russia, esclusa per la seconda volta consecutiva dai giochi (la prima per doping, la seconda per l’invasione dell’Ucraina).

Un mondo in cui il giornalismo è sempre più scadente perché insegue a sua volta i social, e in cui a una discussione tv sulla sessualità partecipa Vannacci, che in diretta sembra smaniare di mostrare il suo pene. Un mondo che è capace di trasformare persino le olimpiadi in una gara di rutti, nella quale l’Italia ha sicuramente stravinto. Un mondo in cui si sta creando un’internazionale antimoderna, una sacra alleanza 2.0 che vuol farci tornare indietro di mezzo millennio. E forse dovremmo seriamente cominciare a preoccuparci.

Raffaele Carcano

 


Iscriviti all’Uaar Abbonati Acquista a €2 il numero in digitale

Sei già socio? Entra nell’area riservata per scaricare gratis il numero in digitale!

Lascia un commento