Preti in corsia: il Policlinico dell’Università di Bologna raddoppia con le suore

Le figure religiose cattoliche sono strutturalmente presenti all’interno degli ospedali italiani e molte Regioni, Emilia-Romagna compresa, hanno stipulato accordi con le locali Conferenze episcopali. Questa prassi viene giustificata dagli obblighi presenti nel nuovo concordato del 1984, tra i quali il fatto che «la degenza in ospedali» non può «dar luogo ad alcun impedimento nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici».

Ma è completamente contraria ai principi di laicità dello Stato, antitetica ad una corretta gestione delle risorse pubbliche e discriminatoria nei confronti delle altre religioni e filosofie di pensiero, perché privilegia la confessione cattolica e offre tutele speciali solo ai pazienti cattolici.

Le convenzioni stipulate tra le Aziende USL e le diocesi locali definiscono le modalità di presenza dei religiosi negli ospedali e i benefici di cui godono. Mentre l’assistenza spirituale è il compito principale assegnato, i religiosi scelti dal vescovo possono beneficiare di alloggi, vitto, uffici, cappelle, libero accesso ai reparti e contributi economici a carico della collettività in quanto stipendiati al pari degli infermieri di 7° livello.

Ma a Bologna si è andati oltre alla normativa regionale, oltre alla convenzione per i “preti in corsia”: un secondo accordo firmato dall’ospedale sant’Orsola prevede infatti un’ampia gamma di servizi a favore di un ordine religioso, quello delle suore della Congregazione di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea.

Le convenzioni stipulate dal Policlinico universitario sant’Orsola di Bologna con l’Ordine Diocesano e con la Congregazione delle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione non sono liberamente consultabili, è stato necessario procedere con un accesso civico.

Nella risposta pervenuta viene specificato che «tali documenti non sono oggetto di pubblicazione obbligatoria», che vengono pubblicati sull’Albo pretorio online solo per un una quindicina di giorni e che «scaduto tale periodo i documenti non sono più consultabili».

Uno strano concetto di trasparenza, attuato purtroppo da molte pubbliche amministrazioni che sembrano essere rimaste ai tempi in cui gli atti venivano stampati e affissi e di conseguenza era indispensabile recuperare spazio fisico per nuove affissioni.

Sono tristemente già noti gli oneri a carico dei contribuenti che ritroviamo nella convenzione con l’Ordine Diocesano: l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna deve riconoscere all’arcidiocesi ogni anno e solo per l’ospedale sant’Orsola 102.341,07 euro per il servizio di «assistenza religiosa cattolica» svolto da quattro persone scelte dalla curia (un assistente ogni 200 posti letto), deve mettere a disposizione dieci luoghi di culto nell’area del Policlinico oltre a sacrestie, bagni, studi e altri locali per un totale di 1.132,62 m².

Per questi spazi provvede anche alle «spese di ordinaria e straordinaria manutenzione, comprese le spese di ordinario esercizio» tra le quali arredi, suppellettili, illuminazione, riscaldamento e pulizie. In più la curia può nominare ulteriori collaboratori, che assieme ai quattro assistenti religiosi retribuiti come quattro infermieri «hanno accesso ai locali di degenza delle strutture di ricovero» come se fossero davvero personale sanitario, e poi a sale riunioni, alla mensa aziendale a tariffa agevolata e ai servizi informatici. Pure l’imposta di bollo sull’atto è a totale carico del Policlinico.

Ma veniamo alla sorpresa, alla convenzione ulteriore e non giustificata dalla normativa regionale che l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna stipula con le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione. Per l’alloggio di sei religiose vengono concessi locali arredati al secondo piano dei padiglioni 16 e 19, per un totale di 17 vani oltre a servizi, ampi corridoi e chiesa interna.

L’AOU di Bologna, nei locali ceduti con contratto di comodato d’uso gratuito, si farà carico della manutenzione ordinaria e straordinaria, delle utenze, delle pulizie e della raccolta rifiuti, della fornitura di generi di prima necessità per la predisposizione dei pasti nonché del detersivo per il lavaggio dei capi.

Curiosamente, a differenza dell’accordo con l’Ordine Diocesano, non viene evidenziato che per i locali di proprietà pubblica messi a disposizione non è dovuto alcun canone. Lo schema regionale d’intesa, invece, lo prevede esplicitamente se i locali costituiscono alloggio.

Ma questa seconda convenzione è aggiuntiva e al di fuori degli accordi regionali, per cui viene dribblato anche quel minimo dovere di corrispondere un canone d’affitto in cambio di centinaia di metri quadri e godendo gratuitamente anche di utenze, pulizie, cibo e detersivi.

Cosa offrirebbero le suore all’ospedale pubblico? Nella convenzione leggiamo che si tratterebbe del «Servizio di umana solidarietà ai pazienti ricoverati», tramite collaborazione con gli assistenti religiosi (ossia i “preti in corsia” dell’accordo sottoscritto con l’arcidiocesi) per l’«animazione e la preparazione della liturgia domenicale, per la distribuzione dell’Eucarestia ai pazienti nei reparti e per la cura delle cappelle interne al Policlinico».

Sia chiaro, nessuno vuole negare ai pazienti che lo desiderano la possibilità di ricevere la visita di religiosi e praticare il culto cattolico. Ma perché la sanità pubblica deve privarsi di spazi e usare risorse solo per esigenze di una parte dei pazienti? Forse gli altri ricoverati non meritano analoghe attenzioni?

La definizione di «Servizio di umana solidarietà» risulta poi essere una mistificazione: si tratta di conforto cattolico e di atti di culto cattolici. Sullo stesso piano il riferimento al beneficio che questo servizio avrebbe per i ricoverati «in situazioni di disagio umano», quando invece è evidente che si tratta solo di necessità di fedeli di una determinata religione.

Per prendersi cura del disagio umano di tutti gli esseri umani la sanità pubblica dovrebbe intervenire con psicologi e con personale medico e infermieristico formato laicamente, lasciando che diocesi e ordini religiosi vengano contattati su richiesta al pari di associazioni e delle altre confessioni religiose.

Roberto Grendene, Roberto Vuilleumier

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2 commenti

RobertoV

Per quale ragione uno stato laico dovrebbe farsi carico degli oneri finanziari e delle strutture per l’assistenza spirituale negli ospedali? Una cosa è concedere l’assistenza spirituale ai pazienti ricoverati, ovviamente su richiesta e a carico della religione di interesse, un’altra è che il sistema sanitario nazionale si faccia carico dei costi e debba fornire le strutture dedicate, e addirittura assuma le persone dedicate al culto cattolico e fornisca loro alloggio e vari benefit.
Una cosa del genere ha senso solo per uno stato confessionale con una religione di stato.
Per esempio i valdesi si fanno carico dei costi e dell’assistenza e non hanno strutture dedicate all’interno degli ospedali. Con tutte le religioni che esistono se dovessero avere tutte un loro spazio e personale assunto per l’assistenza spirituale non ci sarebbe più spazio per i pazienti e soldi per le vere cure.
E’ chiaramente un privilegio per la sola religione cattolica, un abuso che sia a carico del sistema sanitario nazionale e che godano di tali privilegi all’interno degli ospedali, sottraendo soldi e spazi ad una sanità già disastrata. E questo succede nonostante la diminuzione dei fedeli e dell’interesse per la religione. Già è discutibile il fatto che i rappresentanti spirituali godano di libertà di movimento all’interno degli ospedali, quando gli stessi famigliari, il cui sostegno ai pazienti è più significativo, hanno delle limitazioni pesanti.

enrico

domanda puramente pleonastica…..esiste un ambito pubblico o privato in cui l’esercito dei parassiti non riesca ad assicursi gabelle e cagnotte. Dubito…….

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