Le mani sulla città

A Sarajevo, dopo le devastazioni della guerra negli anni Novanta, gli investimenti dal mondo arabo hanno favorito la ricostruzione ma pure una crescente islamizzazione. Arianna Tersigni affronta il tema sul numero 6/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Situata nel cuore dei Balcani, Sarajevo conta più di 300.000 abitanti; è adagiata in una valle circondata da montagne, la più elevata delle quali – il picco della catena Treskavica – supera i 2.000 metri di altezza, ed è divisa in due parti dal fiume Miljacka che percorre il centro cittadino. Proprio a Sarajevo, il 28 giugno 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, venne ucciso in un attentato che segnò simbolicamente l’inizio della prima guerra mondiale.

Appena ottant’anni dopo, la città si trovò nuovamente al centro di una guerra, quella scoppiata a seguito della dissoluzione della Jugoslavia. Durante questo conflitto Sarajevo subì uno degli assedi più lunghi nella storia contemporanea, durato 1.425 giorni, dall’aprile del 1992 al febbraio del 1996, costando alla città più di 12.000 vittime, la maggior parte delle quali civili.

Raccontare Sarajevo esclusivamente attraverso gli eventi bellici passati è tuttavia estremamente riduttivo e contribuirebbe soltanto a perpetuare la superficiale e semplicistica narrativa della polveriera balcanica. Sarajevo vanta infatti una storia complessa e interessante e può essere considerata la città multiculturale e cosmopolita per eccellenza del continente europeo; religioni e culture diverse qui si sono incontrate e hanno creato una coabitazione secolare per lo più armonica. La conformazione della città e la sua peculiare architettura sono lo specchio di diverse epoche storiche che la capitale ha attraversato.

Dal quindicesimo al diciannovesimo secolo la città fu sotto il controllo ottomano; durante questo periodo venne edificato il centro storico che nel tempo ha mantenuto perfettamente intatto il suo impianto distintamente orientale. La città vecchia è infatti un gioiello unico in Europa e passeggiando per le sue strette vie, sulle quali si affacciano bazar e moschee, si ha la sensazione di essere stati catapultati in Turchia. Tuttavia, appena usciti da questi colorati vicoli, ci ritroviamo immersi nella Sarajevo austro-ungarica.

Nonostante la breve durata della dominazione asburgica, instaurata alla fine del diciannovesimo secolo e terminata definitivamente con il concludersi della prima guerra mondiale, le impronte architettoniche lasciate sono significative. Risalgono a questo periodo infatti numerosi edifici sul lungofiume e negli immediati dintorni, alcuni dei quali ospitano importanti luoghi istituzionali e di cultura come il palazzo di giustizia, il teatro nazionale e il municipio.

Durante l’occupazione austro-ungarica vennero inoltre erette la cattedrale cattolica del Sacro Cuore e la sinagoga askenazita. La cattedrale ortodossa serba fu invece edificata alla fine del periodo di dominazione ottomana. Al periodo della Federazione jugoslava, protrattosi dalla fine della seconda guerra mondiale fino all’inizio degli anni novanta, si deve infine lo sviluppo della città verso ovest, in una zona denominata appunto città nuova e caratterizzata principalmente da uno stile architettonico socialista.

Nel quasi mezzo secolo di regime di Tito venne privilegiata la costruzione di edifici che rispondessero all’emergenza abitativa creatasi a seguito dell’industrializzazione della città, che portò la popolazione cittadina ad aumentare esponenzialmente, superando il mezzo milione di abitanti negli anni ottanta. Innumerevoli palazzi alti in cemento vennero innalzati nei nuovi quartieri, cambiando il profilo urbano della città.

Risalgono a questi anni inoltre la costruzione della sede dell’attuale parlamento nazionale e le varie strutture erette in occasione dei Giochi olimpici invernali che Sarajevo ospitò nel 1984, come per esempio il celebre hotel Holiday Inn. Anche la guerra consumatasi trent’anni fa ha lasciato segni ancora ben visibili; camminando per la città non è raro incontrare edifici che presentano tuttora fori provocati dai proiettili lanciati dai cecchini, appostati sulle montagne circostanti, che presero di mira Sarajevo e i suoi cittadini. Tra gli edifici che furono distrutti, non tutti sono stati ricostruiti; ancora oggi quelle rovine testimoniano la ferita lasciata da un conflitto che nella memoria degli abitanti fa fatica a rimarginarsi del tutto.

L’assetto urbano e architettonico di Sarajevo racconta e ripercorre le varie tappe della storia della città. Eppure, tra il ponte Latino che fu teatro dell’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando e il grande viale Zmaja od Bosne (Drago della Bosnia) che durante la guerra civile fu bersagliato ininterrottamente dai cecchini, qualcosa di curioso salta all’occhio: si tratta della presenza di alti edifici in vetro – per lo più grattacieli – che ricordano quel paesaggio urbano tipico di città artificiali come Dubai e Riyad.

Quello che si cela dietro la comparsa di questi lussuosi edifici sono investimenti esteri – provenienti soprattutto da imprenditori arabi del Golfo – che dagli anni successivi alla fine della guerra e seguendo una crescita esponenziale hanno interessato la capitale della Bosnia ed Erzegovina.

Questa sempre più capillare presenza di capitale straniero non soltanto ha dato vita a un nuovo boom edilizio ma sta pian piano mettendo in atto importanti cambiamenti nella società locale, all’interno della quale la religione islamica – storicamente professata dalla maggioranza dei cittadini – sta assumendo dei tratti sempre più radicali. Un radicalismo al quale i cittadini musulmani della Bosnia, soprattutto delle aree urbane, sono storicamente estranei, motivo per il quale è stata possibile una pacifica convivenza secolare tra musulmani, cristiani ed ebrei nella regione.

Dalla fine degli anni novanta numerosi imprenditori arabi della regione del Golfo hanno portato avanti importanti investimenti del valore di miliardi di euro nella capitale bosniaca; comprando porzioni di terreno più o meno estese a prezzi ridotti, vi hanno edificato moschee, centri culturali, ospedali, centri commerciali, strutture di ricezione turistica e immobili residenziali di lusso, contribuendo inoltre alla creazione di numerosi posti di lavoro per la popolazione locale.

La maggior parte delle compagnie – alcune private, altre statali – ad aver investito nella regione provengono dagli Emirati Arabi Uniti. Tra gli altri Paesi si contano l’Arabia Saudita, il Kuwait, il Qatar e la Giordania. Nel 2000 fu completata la costruzione della moschea di Re Fahd a Sarajevo – la più grande di tutto il Paese – interamente realizzata con finanziamenti provenienti dall’Arabia Saudita. Nel 2016 è iniziata la costruzione della città turistica Buroj Ozone da parte dell’impresa Buroj International Group con sede a Dubai, che ha stanziato più di due miliardi di euro per la realizzazione di questo villaggio turistico di lusso nella piccola municipalità di Trnovo, a 20 chilometri di distanza da Sarajevo.

Il progetto di Buroj Ozone includerebbe un centro commerciale, un ospedale, numerosi hotel, resort e ville e vari centri sportivi e ricreativi. La compagnia saudita Al Shiddi Group ha completato nel 2014 la costruzione nel cuore di Sarajevo del complesso Sarajevo City Center, che comprende un centro commerciale (al cui interno si contano all’incirca 80 negozi, 15 ristoranti e varie sale giochi), degli uffici commerciali e un hotel a 5 stelle nel quale non viene servita alcuna bevanda alcolica.

Di pari passo con i crescenti investimenti è stato registrato anche un aumento esponenziale del turismo proveniente dai Paesi arabi del Golfo, facilitato dall’eliminazione delle restrizioni in materia di visto (i cittadini di Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Oman e Qatar possono entrare in Bosnia ed Erzegovina liberamente) e dall’apertura di voli diretti tra gli aeroporti di questi Paesi e Sarajevo. Se nel 2010, per esempio, i turisti provenienti dagli Emirati Arabi Uniti erano appena 65, nel 2019 ne furono registrati 33.000. La Bosnia costituisce in tutto e per tutto un’alternativa economica e logisticamente accessibile rispetto al resto d’Europa per i cittadini provenienti da questi Paesi.

Alla luce di questi dati una domanda sorge spontanea: come è stato possibile che in un periodo relativamente breve di tempo diverse compagnie del Golfo abbiano scelto proprio la Bosnia come destinazione dei loro cospicui investimenti? Una prima spiegazione ci viene illustrata dalla situazione economica del Paese.

La Bosnia ed Erzegovina fu estremamente provata dagli anni della guerra civile, con conseguenze disastrose che si protraggono fino a oggi: l’economia post-bellica a pezzi stenta ancora a rialzarsi, gli assetti politico e istituzionale sono estremamente instabili e un’elevata corruzione dilaga in vari settori del Paese. Ogni anno sono sempre più i cittadini – per lo più giovani – che lasciano il Paese per la mancanza di posti di lavoro e salari adeguati; è stimato che tra il 2013 e il 2019 più di mezzo milione di bosniaci siano emigrati. Data questa precaria situazione economica, appare evidente quanto la Bosnia abbia un disperato bisogno di investimenti esteri, con la speranza che diano una volta per tutte una nuova spinta all’economia.

Oltre al fattore economico, però, un altro elemento risulta fondamentale nello spiegare questa importante ondata di investimenti: il comune denominatore della religione islamica. La presenza della religione musulmana nella regione risale all’epoca ottomana. A oggi, il 51% della popolazione nazionale è di fede musulmana; questa può sembrare una percentuale bassa, ma è importante tenere in considerazione che la parte musulmana del Paese – comprendente il cantone di Sarajevo – è solo una delle tre che lo costituiscono. Le altre due parti sono quella serba, a maggioranza ortodossa, e quella croata, a maggioranza cattolica.

Proprio il peculiare contesto della Bosnia ed Erzegovina ha fatto sì che la popolazione adottasse un islam secolare, distante dagli usi e costumi della maggior parte degli altri Paesi a maggioranza musulmana. Un grande ruolo nel modellare questa singolare forma di islam venne senz’altro giocato dai decenni di regime comunista della Jugoslavia.

La maggior parte dei bosniaci musulmani consumano alcol e tabacco, la carne di maiale è presente regolarmente nei negozi di alimentari e soltanto una bassa percentuale di donne indossa il velo. Molti bosniaci si professano musulmani ma non necessariamente sono praticanti. L’islam in Bosnia è sinonimo di identità nazionale; questa associazione tra religione e nazionalismo venne rafforzata a seguito dello scoppio della guerra e ha da allora avuto un ruolo fondamentale nell’esasperare le divisioni tra i popoli della penisola balcanica che fino a trent’anni fa vivevano sotto il medesimo assetto statale.

Alla luce di ciò, la presenza sempre più diffusa delle attività di imprenditori del Golfo – i cui Paesi si caratterizzano per una forma di islam più tradizionale – nei cantoni a maggioranza musulmana della Federazione bosniaca, accompagnata da una nuova vitalità assunta dalla religione musulmana a seguito della guerra civile, potrebbero impattare la società locale portando alcune fette di essa ad adottare degli elementi familiari alle forme di islam più radicali.

Non pochi bosniaci hanno espresso timore sul fatto che la crescente influenza araba possa portare a un’imposizione di pratiche religiose e usi e costumi più conservatori e avere un impatto culturale significativo. Dagli anni novanta a oggi i gruppi radicali musulmani hanno costituito una realtà – seppur in crescita – tuttavia marginalizzata.

Questa radicalizzazione potrebbe però prendere sempre più piede poiché, parallelamente a investimenti economici, molti Paesi arabi stanno finanziando scuole, centri culturali e moschee, luoghi ideali per far circolare materiale e letteratura di propaganda religiosa. La religione sta subendo un lento spostamento di posizione, da affare privato a questione sempre più presente nella sfera pubblica. Organizzazioni religiose sponsorizzate da arabi conducono attività indirizzate per lo più ai giovani, organizzando per esempio seminari, conferenze e addirittura ritiri annuali volti a promuovere l’islamismo.

Il fattore della religione comune è stato considerato, forse fin troppo superficialmente, come elemento sufficiente per instaurare dei rapporti economici di successo e proficui nel tempo. Ma la religione da sola si sta dimostrando un collante debole. Molti studiosi stanno mettendo in luce i limiti di questi investimenti e un loro probabile fallimento, dal momento che i cittadini bosniaci non hanno le risorse economiche necessarie per comprare le lussuose e moderne ville sulle alture intorno a Sarajevo; un’attività imprenditoriale senza controllo è stata messa in atto senza tenere in considerazione se a questa sarebbe corrisposta una risposta economica positiva da parte della popolazione locale.

Oltre a ciò, importanti differenze culturali hanno fatto sì che due mondi diversi – seppur entrambi appartenenti alla sfera musulmana – facciano ancora fatica a entrare in contatto tra loro. Non si possono cancellare secoli di tradizioni e pratiche culturali in meno di trent’anni.

Resta tuttavia il quesito aperto di una possibile radicalizzazione religiosa: se ciò avvenisse, questo piccolo angolo di Europa costituito da Sarajevo e dalla Bosnia dovrebbe affrontare conseguenze sgradevoli in relazione al rapporto con le due altre parti del Paese, quella serba e quella croata, e possibilmente ritrattare i negoziati in corso per l’entrata nell’Unione Europea.

Arianna Tersigni

 


Iscriviti all’Uaar Abbonati Acquista a €2 il numero in digitale

Sei già socio? Entra nell’area riservata per scaricare gratis il numero in digitale!

24 commenti

laverdure

L’articolo ispira un quesito.
Facciamo un piccolo “esperimento mentale” (cioe’ puramente teorico,per carita).
Supponiamo che compagnie con sede e capitali arabi aprano succursali in Italia,offrendo stipendi e trattamenti vari nettamente al di sopra della media,imponendo pero’ la condizione di conversione alla religione musulmana,e osservanza dei suoi precetti,per uomini e donne.
Pensate che mancherebbero i volontari ?
Quanto alle autorita politiche e religiose nostrane,quale pensate sarebbe il loro atteggiamento ?

Diocleziano

Salvini, oltre al vangelino tascabile, si doterebbe anche di coranino.
Meloni strillerebbe più forte e da più in alto di qualsiasi muezzin.
Renzi è pronto da un pezzo.
All’infallibile non schiferebbe una joint venture con il califfato…

laverdure

@Diocleziano
“All’infallibile non schiferebbe una joint venture con il califfato…”
In effetti,disporre di un “socio in affari” che dispone di mezzi cui ormai
Santa Madre Chiesa ha dovuto rinunciare,potrebbe fargli comodo.
Per combattere l’ateismo,ovviamente.

Mixtec

Per circa mezzo secolo la Bosnia, ed altre regioni balcaniche, sono state governate da comunisti atei: poi sono finiti i comunisti, ed a quanto pare anche gli atei.
Nell’Europa capitalista invece gli atei sono aumentati.
Si cercano spiegazioni dei due fenomeni.

laverdure

@Mixtec
Caro Mixtec,le ideologie non sono altro che religioni che fanno finta di non essere
tali : hanno dogmi,clero e soprattutto intolleranza, esattamente come le religioni.
La loro attrattiva per molti e’ che dispensano dal dover pensare :basta ubbidire.
Per cui che un fedele comunista,scomparsa la sua “religione” senta l’impellente
bisogno di trovarne un’altra e’ del tutto naturale.
E l’Islam assomiglia alla sua perduta fede piu’ ancora delle religioni europee,
“addomesticate” dal laicismo.
Quanto al presunto ateismo tra i giovani occidentali,non ne sarei tanto entusiasta.
Non mancano le conversioni all’Islamismo,persino tra le donne,quanto agli altri,
molti aderiscono alle varie ideologie indeterminate,spinti dalla propria insicurezza,
spesso sfruttata dai vari “influencer”.
Per altri si tratta piu’ o meno di nichilismo.
Non so quale sia peggio.

Diocleziano

“…molti aderiscono alle varie ideologie indeterminate, spinti dalla propria insicurezza…”

Insicurezza predisposta ad arte fin dall’infanzia, inculcando i fondamenti dell’irrazionalità.
Un irrazionale può sempre tornar utile alla causa dei papisti, difficile per un razionalista.

laverdure

@Diocleziano
“Insicurezza predisposta ad arte fin dall’infanzia, inculcando i fondamenti dell’irrazionalità.”
Invece,torniamo a dirlo,molti studiosi ritengono che l’istinto (irrazionale) alla fede sia innato nell’uomo,senza bisogno di condizionamenti,e che la razionalita debba essere invece insegnata.
Anche l’insicurezza non richiede certo condizionamenti per manifestarsi nella maggior parte degli individui,di qui l’Alienazione” descritta da
Feuerbach,il trasferire su una “entita” quei poteri che l’uomo rimpiange di non avere,per creare un “protettore”

Gigi

@Diocleziano
Ma crescere in una famiglia atea non vuol dire automaticamente ricevere un’educazione razionalista, infatta di atei che si convertono all’islam ce ne sono. Mi ricordo di una famiglia di atei vietato vietare che si sono installati in un quartiere sperimentale a Grenoble, tutto alternativo e accoglienza a manetta di immigrati musulmani. Risultato il quartiere si islamizzato e i figli si sono convertiti all’islam. E l’islam conservatore.
@Laverdure
Sulla questione delle conversioni cominciano ad esserci diversi studi

GBK

Nel tempo ho osservato che le ideologie sono quasi una necessitá fisiologica, forse neurologica. Altrimenti non si spiega il fatto dell’esistenza di tanti tipi di ideologie, anche non religiose. Alcuni studiosi, di cui sono sono in grado di ricordare i nomi adesso, sostengono che molti avrebbero la necessitá di appartenere a clan, con codici di credenze e di comportamenti condivisi. Quelli che criticano tutto sono rompiscatole da guardare con sospetto.

laverdure

@Gbk
“…sostengono che molti avrebbero la necessitá di appartenere a clan, con codici di credenze e di comportamenti condivisi.”
Mi sembra che sfondino l’aria.
L’insicurezza,la mancanza di spirito di iniziativa,che ovviamente sono diffusissime da sempre,a cosa possono spingere se non a cercare una guida e un rifugio,fino ad arrivare a una vera sottomissione ?

laverdure

@Gigi
“Sulla questione delle conversioni cominciano ad esserci diversi studi”
Una spiegazione(anche se non l’unica)sta in una sola parola : CONFORMISMO.
Come la gente ,specialmente ovviamente i giovani si adegua ai gusti dell’ambiente nel vestire,nei cibi,nei gadget ecc,lo stesso vale per ideologie e religioni.
Molti,e non solo le donne,finiscono per lasciarsi piu’ o meno “convertire” dal proprio partner.

Gigi

Le conversioni tramite matrimonio sono numerose in effetti. Conformismo anche. Un fenomeno particolare è il fatto che quando la religione è strettamente legata all’identità come nel caso dei cristiani di oriente immigrati in Europa le conversioni sono molto più rare.

RobertoV

In una dittatura è sempre difficile sapere cosa pensino realmente le persone, visto che non possono scegliere liberamente. Quindi il fatto che al governo ci fossero i comunisti (che, però, non significa automaticamente atei) non implica che le persone fossero in maggioranza comuniste o atee.
Magari la riposta sta nella loro costituzione: “La costituzione prevede che i tre maggiori gruppi religiosi, cioè i musulmani, gli ortodossi e i cattolici, abbiano rappresentanti nel governo e nelle Forze armate”. Non mi pare una impostazione democratica e garante dei diritti, forse gli atei sono ostacolati, visto che è il governo anche a decidere le religioni ammesse e si sa che gli atei non hanno la capacità aggregante ed organizzativa delle religioni, cioè non riescono ad agire come lobby.
Comunque noto che almeno da loro un censimento sull’appartenenza religiosa è stato fatto nel 2013, impensabile in Italia, dal quale si evince un 51 % di mussulmani, un 46 % di cristiani ed un 1 % di atei. Tra l’altro dicono che in tanti, soprattutto giovani, abbandonano il paese, magari tra loro la percentuale di atei è/era maggiore. Dal 1990 ad oggi sono passati da 4.5 milioni di abitanti a 3.2 milioni.
Laverdure, le presunte numerose conversioni alla religione mussulmana sono una classica tesi di propaganda delle destre, non supportate da dati, ma rientrano nelle normali dinamiche fisiologiche religiose, cioè sono dell’ordine di qualche migliaio all’anno. Non continuiamo a costruire tesi campate in aria basate su casi singoli come fanno le religioni.

laverdure

@RobertoV
“Laverdure, le presunte numerose conversioni alla religione mussulmana sono una classica tesi di propaganda delle destre..”
Su riviste straniere,come Le nouvel Obs si legge il contrario,e mi sembra che anche qualcuno residente in Francia e membro del forum sostenga la tesi del proselitismo.

Gigi

Veramente sono spesso gli imam e frequentatori delle moschee a vantarsi di numerose conversioni in Europa, in ogni caso esistono dei dati che non si basano solo su casi singoli è “affermare che tutto rientra nelle normali dinamiche fisiologiche religiose” che è una classica tesi della propaganda della sinistra cieca e non supportata da dati. Le conversioni all’islam degli europei o persona viventi in Europa sono nettamente più numerose rispetto alle conversioni al cristianesimo dei musulmani presenti in Europa. L’INSEE dimostra inoltre come la trasmissione della religione sia altissima nelle famiglie musulmane e molto più bassa nelle famiglie cristiane. Altri dati interessanti mostrano che le persone viventi in europa di origine africana nate in famiglie cristiane sono più suscettibili di convertirsi all’islam rispetto agli europei nate in famiglie cristiane. La propaganda di odio nei confronti dell’occidente che include l’odio del cristianesimo porta i suoi frutti. Al di là delle stime sulle conversioni, il fatto che molti rappers francesi, la musica più ascoltata in Francia, si siano convertiti all’islam non è corretto squalificarlo a fatto singolo, è un fatto sociale, anche nello sport ci sarebbe molto da dire. Ma sono cose effettivamente difficili da capire in Italia che è “indietro” di 20 anni. L’Italia ha scoperto solo qualche giorno fa le manifestazioni di odio dopo la morte di un giovane che scappava dalla polizia, durante le quali è stata attaccata una sinagoga a Bologna. Qui sono decenni che succedono queste cose.

Gigi

@laverdure
Tra l’altro che fa tutti questi studi sociologici sulle conversioni all’islam sono spesso persone di sinistra, ma per metterli in valore. Studi sociologici invece su gli apostati dell’islam non ce ne sono, anzi sono considerati “native informant” termine politicamente corretto in sociologia per trattarti di traditore alla tua comunità. Infatti quasi tutti gli apostati che fanno contenuti critici sull’islam sono all’estrema destra o ala destra radicale. Loro sono persone coraggiose anche loro vengano accusate di “odiare i musulmani”.

RobertoV

Dati, non parole o propaganda come al solito. Non hai fornito un solo dato. Non mi interessano le analisi di sociologi se non portano dati, a parole puoi inventarti qualsiasi cosa basta vedere le demenzialità che si inventano sui giovani, ne l’esempio di una famiglia di atei che dimostrano solo il classico caso singolo su cui costruisci la tua propaganda. Visto che abbiamo a che fare con milioni di persone di casi singoli ne potrai trovare anche a centinaia, ma dal punto di vista statistico sono sempre un epsilon. Ad un ingegnere devi dare dati non esempi singoli e parole senza contenuto statistico.
A me risultano 3000-4000 convertiti all’Islam in Francia all’anno e circa 3000 in Germania.
Ovviamente si tace sul processo inverso, cioè quanti l’abbandonano. Secondo un imam circa il 15 % dei mussulmani che emigrano in Europa abbandonerebbero la religione (ma certo non è bene pubblicizzarlo). In Germania ogni anno circa 2000-3000 passano dal cattolicesimo al protestantesimo e viceversa, cioè dati confrontabili
Che qualche rapper si converta fa parte dei soliti casi singoli, sui quali costruisci i tuoi castelli in aria, un po’ come quelli che si convertono a qualche setta, che guarda caso spesso erano già credenti prima. La tesi degli atei che si convertono ad una fede fa parte del classico armamentario propagandistico delle religioni.
Inoltre l’Italia non è la Francia, siamo due paesi differenti, non è indietro di 20 anni. Se mai lo è sul piano tecnologico, ma questo è un altro discorso. L’altro giorno la stessa Roccella diceva che anche gli stranieri fanno pochi figli, mentre la natalità in Francia è decisamente più elevata.

Gigi

No, raccontano che tu sei pronto a credere, far finta di credere, alle fake news di un sito cattolico e a quelle di un imam di cui non sei nemmeno in grado di fare il nome. Se è per questo il direttore dell’istituto di teologia della Grande Moschea di Parigi ha detto che i convertiti in Francia erano un milione nel 2013; le fonti le ho riportato l’INSEE dimostra che la trasmissione della religione nelle famiglie musulamane è del 91% contro il 69% nelle famiglie cristiane, altro che normali dinamiche fisiologiche religiose. Comunque non serve a niente discutere con certe persone che di razionalista non hanno proprio nulla seguono l’ideologia pre-confenzionata dalla sinistra. Ormai qui in Francia i deputati di sinistra fanno campagna nelle moschee talmente l’elettorato musulmano sia il più dinamico. Quella dell’uva certa gente non la racconta più.

Gigi

Per quanto riguarda le traiettorie migratorie dai paesi musulmani eccerto che l’Italia è indietro almeno di ventanni anzi io direi di quaranta. “Gli stranieri fanno pochi figli” ma quali stranieri? Perché che gli immigrati dai paesi dell’est ma anche dal sudamerica facciano pochi figli non lo mai messo in dubbio nessuno. Altro discorso è per i migranti che vengono dai paesi musulmani io i dati per la Francia li avevo dati, tu non sei MAI riuscito a trovare i dati relativi all’indice di fecondità delle migranti provenienti dai paesi musulmani in Italia, solo un indice di fecondità di tutti i migranti che non vuol dire nulla. Comunque io non ho mai detto che gli atei in particolare si convertono all’islam, tu continui a attribuirmi affermazioni di sana pianta che io non ho mai fatto, per tentare di discreditarmi un atteggiamento classico di chi tenta di nascondere i problemi relativi all’islamizzazione. Metodi particolarmente disonesti. Anzi ho detto chiaramente che i convertiti da famiglie crisitane africane sono in proporzione più numerosi rispetto a quelli da famiglie europee cristiane o atee che siano. Con il tuo atteggiamento ideologico e censorio, impedisci una discussione razionale su un argomento complesso e tutto per nascondere i problemi relativi all’islamizzazione. Su un sito di atei razionalistici.

Gigi

Ah dimenticavo il 20% dei nomi dati ai nuovi nati è arabo-musulmano in Francia, altro che battesimi che sono in caduta libera

Moderazione

Gigi e RobertoV, vi chiedo per favore di evitare attacchi personali. L’argomento può sicuramente essere affrontato con una sana dialettica.

laverdure

@Gigi
Ricordiamolo per l’ennesima volta :
Burghiba ( o Boumedienne,poco importa)diceva : “La nostra arma migliore
e’ il ventre delle nostre donne !”

laverdure

Un piccolo pensierino ispirato da un aforisma di Roberto Gervaso :
“Le ideologie derivano dalle idee allo stesso modo in cui la merda deriva dal cibo che l’ha prodotta !”
Insomma,anche le idee piu’ rispettabili,come pure i piu’ rispettabili precetti del fondatore di una religione,una volta applicati in “modo organizzato” finiscono per subire un degrado analogo,perche’il potere che ne deriva per gli organizzatori
incoraggia troppo l’abuso.

Commenti chiusi.