Non c’è peggior sordo di chi non vuole legiferare

Sul suicidio assistito la Corte costituzionale con una sentenza del 2024 allarga la definizione di trattamenti di sostegno vitale, ma il Parlamento rimane comunque inerte. La responsabile delle iniziative legali Uaar Adele Orioli affronta il tema sul numero 5/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Di recente la Corte costituzionale è tornata a specificare meglio quanto da lei stessa deciso ormai cinque anni fa in tema di suicidio medicalmente assistito.

sospende il processo e invia il tutto alla Consulta

Con la sentenza 135/24 è terminato quello che tecnicamente si chiama giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: nel corso di altro procedimento viene subodorata la possibilità che una o più norme che servirebbero a decidere possano essere incostituzionali; se il giudice cosiddetto “a quo” ravvisa una ragionevole possibilità della non corrispondenza alla nostra carta fondamentale – il “fumus boni iuris” – sospende il processo e invia il tutto alla Consulta.

Nel caso in questione l’articolo messo sotto esame era proprio quel 580 del codice penale così come modificato dalla sentenza della Corte numero 242/2019 (quella del caso Cappato – dj Fabo). Corte che ne aveva già quindi sancito l’illegittimità parziale nella misura in cui puniva tutti i casi di aiuto al suicidio senza considerare come il diritto all’autodeterminazione terapeutica, riconosciuto e bilanciato con il diritto alla salute tout court anche dagli articoli 2, 13 e 32 della nostra Costituzione, possa in determinati casi includere il sacrificio della propria vita.

Il nuovo caso vede imputate, oltre a Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese, tutti e tre rei di aver accompagnato in Svizzera il 44enne M., affetto da sclerosi multipla, per usufruire di quel suicidio medicalmente assistito che in Italia sarebbe stato penalmente perseguibile.

E proprio per i paletti posti dalla Consulta nel ‘19: quattro le condizioni per consentire l’aiuto al suicidio: la patologia irreversibile, le sofferenze fisiche o psicologiche reputate intollerabili, la piena capacità di intendere e di volere della persona che richiede aiuto e, qui, il nocciolo della questione, che la suddetta persona sopravviva solo grazie a «trattamenti di sostegno vitale», quali, elencava la Consulta, «la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione artificiali».

E M. non dipendeva (ancora) dalle macchine, ma “solo” in tutto e per tutto dall’assistenza di altre persone. Per lo stesso giudice a quo l’obbligo di essere attaccati alle macchine sarebbe foriero di irragionevoli disparità di trattamento e in contrasto non solo con l’articolo 3 della Costituzione ma anche con quel riconoscimento del diritto alla libertà di scelta sul se e sul come curarsi, finalmente cristallizzata nella normativa sul testamento biologico (legge 219/2017).

L’intera sentenza meriterebbe di essere analizzata passo passo per ricostruire con precisione non solo la storia giuridica ma anche quella umana che si pone alla base di questo ennesimo interpello alla Consulta.

E per sottolineare lo stridio delle posizioni ottusamente ancorate alla difesa della vita, qualunque cosa si possa intendere per tale, e il quadro vivido che esce dalla lista interminabile di procedure mediche invasive, di violazioni della propria integrità fisica e psicologica, che vanno riportate e analizzate con crudezza perché non direttamente connesse alla corrente elettrica. Si può davvero definire vita ciò che per chi la sta subendo consiste nella totale deprivazione dalla propria dignità? Va davvero difesa con quella cintura protettiva che la stessa Corte ha ritenuto inespugnabile con la precedente decisione?

Per farla breve, la Corte ha deciso a metà. Nel senso che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, ma nel farlo ha decisamente ammorbidito il paletto oggetto di discussione, quello cioè dell’obbligo di trattamenti di sostegno vitale. Il paletto di per sé rimane, ma la definizione viene allargata fino a ricomprendere anche tutte quelle operazioni assistenziali svolte anche dai caregiver o dai familiari stessi della persona malata, sempre che l’interruzione di queste pratiche determini la morte in breve tempo (aspirazione del muco bronchiale, svuotamento evacuazione manuale, inserimento di cateteri…).

Allargato anche il fronte temporale: non devono necessariamente essere già in corso, possono essere semplicemente ricomprese nel decorso ineluttabile e ineludibile della patologia.

questo trattamento non è (più) sotto il loro controllo

La Corte ci tiene comunque a ribadire come «non ha riconosciuto un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile, fisica o psicologica, determinata da una patologia irreversibile»; piuttosto, ha esteso l’accesso al suicidio assistito a quelle persone che già sulla base del diritto riconosciuto dalla legge 219/2017 potrebbero decidere di rifiutare il trattamento necessario ad assicurarne la sopravvivenza se non fosse che, appunto, questo trattamento non è (più) sotto il loro controllo.

Tutto sommato, meglio di niente. Molte persone alle quali è stata rifiutata la procedura eseguita dalla asl per la rigidità del requisito potranno invece ora usufruirne, o perlomeno dovrebbero.

Ma. Un “ma” accompagna questo rimpallo fra Corti e sentenze ormai da troppi anni e che la stessa Consulta, accorata, sottolinea anche questa volta.

Manca il legislatore. Se il governo era presente sulle posizioni di integralisti no choice, il parlamento suona a vuoto nonostante innumerevoli e istituzionali appelli.

Già il caso di dj Fabo aveva fatto inventare ai poveri giudici costituzionali l’ordinanza “predittiva”: sospeso il giudizio lo avevano di fatto anticipato in un atto non definitivo, in pratica supplicando il legislatore di intervenire prima della loro sentenza.

Adesso, capiamoli, non sanno davvero più cosa inventarsi per supplire all’evidente assenza di una normativa. Hanno persino dato le istruzioni di drafting e tecnica legislativa, suggerendo allo spirito della legge, qui nel senso stretto di fantasma non pervenuto, di non toccare il codice penale e piuttosto di ampliare la legge sul testamento biologico. Ma nulla.

Senza legge le asl agiscono nella totale discrezionalità, i pazienti oncologici restano esclusi, gli encomiabili atti di disobbedienza civile e i processi che ne conseguono evidenziano ma non possono certo sistemare a botte di Svizzera e precedenti giurisprudenziali la tragica e instabile condizione dei diritti del malato italiano.

Si andrà avanti a toppe e toppette, perché alla classe politica non pare interessare l’argomento se non in trucide arene televisive. A nessuno dell’emiciclo, salvo sparute eccezioni, sembra il caso di prendere posizione, scontentando gerarchie ecclesiastiche e oltranzisti della vita da un lato, il proprio stesso elettorato dall’altro, confermando la distanza sempre maggiore fra ideologie teoriche e avanzamento del diritto all’autodeterminazione.

Perché non è questione di destra e sinistra e nemmeno, a guardar bene, di religione, se torna scomoda oltre le apparenze («Lasciatemi andare alla casa del Padre», rantolò Wojtyla: e così fu). Chiunque abbia avuto a che fare con la sofferenza inenarrabile di determinate patologie, con la violazione sistematica della dignità umana a fronte di un necessario e preziosissimo progresso scientifico che però si fa a volte inopportuno nell’ostinazione, riconosce il diritto al soggetto e involontario passivo oggetto di tali torture di potervi porre fine.

Per converso è ovvia la necessità di tutelare da possibili eccessi e sfruttamenti di quello che è il netto ma sottile discrimine tra vita e morte. Servono verifiche serie e procedure certe e uguali per tutti, nessuno auspica il Far West dell’eutanasia di zie danarose.

E anche per tutelare quella vita di cui ci si riempie così tanto a sproposito la bocca quando non è la propria serve una legge. Ma per quella, come detto, serve anche una classe politica.

Adele Orioli

 


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Diocleziano

Il lato grottesco di tutto questo, cioè la sofferenza che si infligge a poveri individui sofferenti, è che gli impedimenti sono sollevati da ottuse, immaginarie gerarchie convinte di eseguire il volere di immaginarie entità divine. Altro aspetto grottesco è che le supposte entità divine in tutto questo nulla possono: le soluzioni sono sempre affidate alla scienza (inaccessibile alle suddette divine entità). E, qui, dio non è nemmeno nudo!

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