L’influencer ex musulmano Apostate Aladdin racconta le difficoltà causate dai tabù religiosi sulla sessualità, un tema su cui raramente maschi etero cresciuti in un contesto islamico hanno il coraggio di esporsi, nell’intervista di Paolo Ferrarini sul numero 1/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Apostate Aladdin è un giovane influencer ex musulmano che gestisce un popolare canale YouTube dove condivide, con linguaggio chiaro, argomentazioni ragionate e toni affabili, opinioni ed esperienze di chi come lui si è emancipato definitivamente dalla religione ricevuta.
Tra i vari video di contenuto filosofico, di confutazione dell’islam o di commento politico-sociale – tutti temi interessanti ma ampiamente affrontati da diversi altri blogger – ce n’è uno di natura più personale che ci è parso particolarmente autentico e unico nel suo genere, in cui Aladdin approfondisce con candore e onestà le difficoltà che ha avuto con la sessualità crescendo in un ambiente intriso di tabù religiosi.

Se fiumi d’inchiostro sono stati versati sulla questione della repressione femminile nei regimi patriarcali musulmani, ed esiste ormai anche una corposa letteratura lgbt+, più rare sono le voci dal mondo musulmano di maschi eterosessuali che hanno il coraggio di esporsi nella propria fragilità su una tematica tanto delicata. Abbiamo pensato di riportare la sua storia.
«Preciso innanzitutto che non ho abbandonato l’islam a causa dei problemi che ho avuto con la sessualità. Sono cresciuto in Arabia Saudita in una famiglia ragionevolmente liberale e istruita, dove comunque si recitavano tutte le preghiere, si studiava il Corano, e non era insolito guardare programmi religiosi in tv. Avevamo una sveglia impostata per gli orari delle preghiere e si andava in visita a Mecca e Medina ogni anno, anche più volte.
Tuttavia, a casa eravamo liberi di guardare cartoni animati e film, o leggere libri di contenuto mondano. Quasi tutti attorno a me erano musulmani, e l’intera morale che avevo appreso aveva connotazioni religiose. Rubare, per esempio, era considerato haram. Ma c’era un altro concetto fondamentale, in arabo indicato con la parola ’ib (difettoso, vergognoso o riprovevole agli occhi della famiglia, degli amici, o di Dio) che si applicava ad azioni e situazioni meno esplicite che rubare. Ad esempio, per i ragazzi il fatto di stare in compagnia delle ragazze era considerato ’ib.
Peccato che nessuno spiegasse mai per quale motivo certe cose fossero haram o ’ib: tutti gli argomenti considerati tabù erano sempre liquidati come haram o ’ib, oppure semplicemente come argomenti di cui è maleducazione anche solo parlare. Fin da bambino, quindi, ho immediatamente e senza motivo associato alla vergogna il fatto di trovarmi in presenza del sesso opposto. Una volta scrissi per gioco un bigliettino d’amore – senza neanche sapere cosa significasse “amore” – a una compagna di scuola. Le avevo anche disegnato una rosa, niente di scandaloso.
Avevo tenuto il biglietto in casa in attesa di trovare il coraggio per consegnarlo alla bambina. Purtroppo, mia mamma l’ha trovato per prima, e me l’ha sbattuto sotto il naso, facendomi sprofondare di vergogna e imbarazzo. ’E se fosse finito nelle mani del padre di quella bambina?’ Non ci avevo pensato, ma immagino che il padre si sarebbe arrabbiato con me. È in quell’occasione che ho imparato che interagire con le ragazze è una cosa ’ib, vergognosa. Ero confuso.
Se le cose stavano così, a che punto della vita sarebbe stato accettabile cominciare a parlare con le ragazze? Per me era importante scoprire l’amore in modo halal, religiosamente ineccepibile. Già a partire da metà delle elementari, le classi hanno cominciato a essere fortemente segregate: aule diverse, entrate separate, aree dedicate per la ricreazione. I maschi venivano trattati come sospettati, mentre le femmine erano considerate fragili e da proteggere.
È il genere di mentalità che poi si traduce in una profezia autoavverante: proprio perché ai ragazzi viene inculcato di essere animali arrapati che pensano solo al sesso, completamente privi di autocontrollo, essi finiscono poi col sentirsi autorizzati a diventarlo davvero. E nel momento in cui le molestie vengono considerate inevitabili, l’unico modo per impedirle è la segregazione.
I ragazzi, socialmente maladattati e sessualmente repressi, diventano potenziali predatori perché invece di poter frequentare le ragazze e farsi idee sane e realistiche sul sesso opposto, interiorizzano questo concetto malsano e non sanno come reagire nel momento in cui si sentono eccitati dalle caratteristiche femminili.
È più facile anzi che la rimozione delle ragazze dalla loro sfera sociale li porti a eccitarsi ossessivamente per minuscoli dettagli, come i capelli, la voce, i contorni di un corpo… E come maschi, fin da bambini viviamo nella paura: la paura di noi stessi, la paura di non riuscire a controllare le azioni drastiche che ci viene detto che da grandi vorremo inevitabilmente mettere in atto, in quanto animali.
La pubertà, ci insegnano, inizia quando crescono i primi peli e si fa un “sogno speciale”, senza meglio specificare quale. A questo punto diventa ancora più importante imporre la segregazione, perché ora il maschio non solo è diventato un vero animale, ma è anche totalmente responsabile delle proprie azioni agli occhi di Dio, con tutto ciò che ne consegue come punizioni: a 14 anni, se muori dopo aver commesso una serie di peccati, puoi finire all’inferno.
Ecco perché molti affermano che preferirebbero morire da piccoli, prima che si apra per loro la possibilità della condanna eterna. E da musulmano è normale idealizzare la morte, perché secondo la religione è solo a quel punto che inizierà la vita vera. Manco a dirlo, a scuola non si fa nessun tipo di educazione sessuale.
Addirittura, a lezione di biologia si salta l’apparato riproduttore fino all’università. Tutto questo viene invece lasciato nelle mani delle famiglie e degli sheikh, la cui lezione principale è che il sesso prematrimoniale e la masturbazione sono fra i peggiori peccati possibili e immaginabili. Per quanto mi riguarda, il terrore inculcato per la masturbazione è probabilmente ciò che ha maggiormente danneggiato il mio sviluppo sessuale. In arabo, la masturbazione è chiamata “abitudine segreta” e anche se tutti la praticavano, nessuno lo ammetteva, anzi, se uno era sospettato di avere questo vizio veniva pesantemente insultato.
Da una parte, sentivo argomenti pseudoscientifici, per esempio che toccarsi danneggia la salute, indebolisce le ginocchia e la vista, cosa che mi avrebbe impedito di praticare sport. E per effetto “nocebo” a volte mi capitava davvero di sentirmi più debole. Ma la paura inculcata dalla religione era ben peggiore. Gli sheikh affermavano che Dio mi osservava in ogni momento e in ogni luogo, che nel giorno del giudizio le diverse parti del corpo avrebbero testimoniato contro di me, denunciando le mie colpe, che era peccato anche solo usare l’immaginazione per eccitarmi, e che dopo aver peccato le mie preghiere non sarebbero state accettate per 40 giorni.
Una volta, a un pellegrinaggio, ricordo il terrore provato nell’incertezza che non fossero passati 40 giorni dall’ultima masturbazione: mi sentivo tremendamente in colpa che i miei avessero buttato dei soldi per un pellegrinaggio reso inutile da un vergognoso peccato. Purtroppo, da adolescente, non c’è argomento medico o minaccia d’inferno che possa tenere a freno certi impulsi biologici. Qualsiasi cosa mi eccitava: non solo i dettagli femminili, ma anche elementi a caso come la temperatura dell’acqua in piscina.
Ironicamente, mi eccitavo con il Corano, leggendo i versetti che parlavano delle Uri, le prostitute create appositamente per il godimento dei bravi musulmani in paradiso. Da una parte cercavo di razionalizzare, aggrappandomi per esempio a una fatwa secondo cui la masturbazione è permissibile se serve a impedire un male più grande, come il sesso prematrimoniale, dall’altra facevo tanta palestra perché si diceva aiutasse a distrarre la mente dai pensieri impuri.
In realtà l’esercizio fisico aumentava il mio testosterone, e quindi il desiderio, nonché il mio sex appeal. Ovviamente era inutile rivolgersi a Dio e pregare, e la mia frustrazione si traduceva in una colpevolizzazione delle donne che mi portava ad accettare gli argomenti per rimuoverle dalla vista e velarle. Una volta, di notte, mi sorpresero a chattare con una ragazza online. Tra l’altro stavo solo augurando buon compleanno a suo fratello.
Per questo, mi spaccarono il telefono e mi picchiarono. Il giorno dopo, a scuola ero coperto di lividi, ma dovevo fingere che non fosse successo nulla per evitare l’umiliazione pubblica. Storie purtroppo molto comuni, perché l’islam condona le punizioni corporali nei confronti di donne e bambini, e nessuno comunque interviene nelle questioni di famiglia, totale prerogativa del pater familias. Non potendo parlare in sicurezza con nessuno, né a casa, né a scuola, né con i compagni, la confusione adolescenziale si è protratta per anni, anche nell’età adulta.
La mia goffaggine nei rapporti sentimentali è emersa in tutta la sua drammaticità quando finalmente ho avuto modo di uscire dall’Arabia Saudita per studiare in un Paese non a maggioranza musulmana, dove non esistevano più barriere fra me e le ragazze, se non le mie stesse atrofizzate abilità sociali.
Inizialmente aspiravo ancora a essere un musulmano perfetto, ad avere una vita halal, a trovare una moglie halal, e per questo non avrei dovuto parlare con le ragazze se non lo stretto necessario, senza guardarle negli occhi o stringere loro la mano. Mi sforzavo in quel periodo di evitare fantasie sessuali sulle ragazze che conoscevo, limitandomi a immaginare star della tv o della pornografia, che appartenevano a una categoria diversa, quella di persone irreali o comunque già destinate alla perdizione.
Ero sinceramente preoccupato che le mie fantasie proiettate su ragazze reali sarebbero state contate come peccati contro di loro. Ma il senso di colpa non mi abbandonava: a questo punto ero convinto che masturbarmi fosse un atto di autosabotaggio, di autolesionismo, di odio contro me stesso. Avevo concluso di essere una brutta persona, e chiunque fosse stato al corrente dei miei vergognosi segreti sarebbe stato d’accordo con questa valutazione.
Finché un giorno ho avuto il mio primo rapporto. Niente di premeditato: i pianeti si sono allineati, ed è successo tutto con semplicità, ma senza la maturità per poter spiegare all’altra persona come mi sentivo realmente. Subito dopo, sono regredito in uno stato di shock. Mi sembrava di avere ucciso qualcuno: me stesso, o almeno la versione più pura di me. Avevo sacrificato la mia salvezza per un po’ di intimità? Mi sentivo macchiato, rovinato, condannato.
Pentirsi ormai era inutile. Pensavo a un versetto di una sura che avevo memorizzato fin da piccolo, in cui si dice che i fornicatori sono condannati a 100 frustate. Un credente che ha modo di approfondire la religione inevitabilmente finisce per interiorizzare e ossessionarsi con questi pensieri. Per questo vorrei che la smettessero di insegnare questa spazzatura ai bambini, perché produce gravi danni psicologici.
Anche se nessuno mi avrebbe frustato fuori da uno Stato islamico, sentivo dentro di me di meritarlo. Ho addirittura provato a frustarmi da solo, per sgravarmi di questo peso insopportabile. Ma farsi del male non è mai la risposta giusta. E poi ero insicuro, geloso, ossessionato dall’idea di purezza sessuale.
Nella mia cultura, un uomo deve rifiutare una donna che è stata toccata da un altro. Per questo la gelosia contaminava tutti i miei rapporti con le ragazze. Mi ingelosivo quando una ragazza flirtava con me, perché significava che probabilmente aveva già flirtato con qualcun altro. Mi ero messo cercare una compagna fra le ragazze musulmane che capivano il mio bisogno di evitare rapporti prematrimoniali, sentendomi moralmente superiore a coloro che peccavano liberamente.
Nel frattempo, la mia fede aveva cominciato a incrinarsi, per tutta una serie di motivi filosofici. Ma il fatto di sentirmi sporco e peccatore mi riempiva di angosce e per questo non mi ritenevo titolato a mettere in dubbio il Signore. Avrei già dovuto ripudiare l’islam, ma ero troppo occupato a puntare il dito contro me stesso per capirlo.
In conclusione, per la maggior parte della vita non sono riuscito a provare un orgasmo senza sentirmi male per questo. Mentirei se dicessi di non avere rimpianti. Rimpiango di aver fatto del male ad alcune partner a causa del mio rapporto confuso e danneggiato con il sesso, rimpiango gli anni sprecati a odiare me stesso, mentre avrei dovuto godermi la giovinezza e sviluppare sani rapporti umani. Oggi però non penso più alle mie partner come donne macchiate, o di seconda mano, o senza valore.
Non categorizzo più le donne come tentatrici. Decostruire le credenze religiose ha fatto da catalizzatore, fornendomi un metodo da applicare ad altri ambiti della vita, come la sessualità. Ho anche imparato a chiedere aiuto psicologico, ad altre persone o a professionisti. Esporsi nella propria vulnerabilità è qualcosa di inedito, nel mondo da cui provengo. Moltissimi uomini provano le stesse difficoltà che ho provato io, e pensano di essere soli e senza speranza. Ma vi garantisco che non siete soli, e sicuramente non siete senza speranza».
Intervista ad Apostate Aladdin Paolo Ferrarini
Approfondimenti
- Link al canale di Apostate Aladdin: tr.ee/OYiWB2XHJq
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