Cinque anni di banca dati ministeriale “Dat” alla mano

Nel 2020 è divenuta operativa la banca dati nazionale delle Dat, ma molti Comuni non trasmettono correttamente i dati, compromettendo l’effettiva tutela del diritto al fine vita. Affronta il tema Massimo Maiurana sul numero 1/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Il mese di gennaio del 2020 è stato particolarmente significativo nella strada per il riconoscimento dei diritti sul fine vita in Italia. Cinque anni fa, infatti, entrava finalmente in funzione una banca dati nazionale per la raccolta di tutte le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) che i cittadini hanno depositato nei modi e nei luoghi previsti dalla legge 219 del 2017.

Non che prima dell’entrata in vigore di quella legge fosse impossibile mettere per iscritto le proprie volontà; diversi Comuni avevano già adottato in autonomia dei registri per la raccolta di quelli che a suo tempo venivano denominati testamenti biologici, ma appunto si trattava di egistri la cui portata era limitata a quella del Comune di residenza dell’interessato e il cui funzionamento variava da un Comune all’altro.

Con la legge del 2019 la materia è stata invece regolamentata a livello nazionale, i testamenti biologici hanno assunto il nome di Dat e le modalità di raccolta dei documenti diventavano uguali in tutta Italia. La procedura più pratica è quella di depositare le proprie Dat presso l’ufficio di stato civile del proprio Comune, ma non è l’unica; ci si può in alternativa rivolgere a un notaio, il quale potrà autenticare le Dat se redatte come scrittura privata o redigere un atto pubblico, oppure si può ricorrere a una struttura sanitaria nelle Regioni che lo consentono, o ancora a un ufficio consolare italiano nel caso si sia domiciliati all’estero.

Dopo un’attesa di quasi tre anni, il ministero della salute alla fine del 2019 ha finalmente emanato il decreto numero 168 di istituzione della banca dati, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 17 gennaio 2020, rendendo così pienamente operativa la legge. Secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale i soggetti alimentanti la banca dati, cioè quelli di cui sopra che raccolgono le Dat, sono tenuti a trasmettere quanto ricevuto alla banca dati «senza indugio».

Non c’è quindi un termine perentorio per farlo ma bisogna comunque che ci si attivi nel più breve tempo possibile. Un termine esiste invece per la trasmissione delle Dat raccolte prima dell’entrata in vigore della legge, ovvero i vecchi biotestamenti: dovevano essere trasmesse entro 180 giorni dall’entrata in funzione della banca dati.

Del resto le Dat sono realmente utili solo se chi ha bisogno di consultarle è messo nelle condizioni di poter reperirne una copia in tempi ragionevoli e in qualunque luogo si trovi, non limitatamente al territorio comunale. A suo tempo un altro ministero, quello dell’interno, diramò anche una circolare per informare tutte le prefetture della piena operatività della banca dati e delle modalità per utilizzarla, circolare che ai prefetti era richiesto di inoltrare a tutti gli uffici di stato civile nel loro territorio di competenza.

Inutile dire che non ci si è mai aspettata particolare celerità da parte soprattutto delle istituzioni comunali. Per questo l’Uaar nell’agosto del 2021 ha lanciato la campagna “Che fine hanno fatto le nostre Dat?” con l’obiettivo di raccogliere direttamente le testimonianze dei cittadini che avevano già depositato le proprie Dat.

Al cittadino non era richiesto altro che accedere alla banca dati con il proprio Spid e verificare che le sue Dat fossero realmente presenti, per poi naturalmente farcelo sapere. Dai dati pervenuti, comunque non sufficienti per un’analisi di rilevanza statistica, emerge che circa il 45% delle persone che hanno inviato una segnalazione non hanno trovato le loro Dat sul portale ministeriale.

Recentemente è stata poi inviata una richiesta di accesso civico al ministero della salute per conoscere il numero di Dat trasmesse alla banca dati per ognuno dei 7.896 Comuni italiani. I dati ottenuti sono stati poi confrontati con quelli che l’Associazione Luca Coscioni (Alc) ha richiesto direttamente ai Comuni, sempre con istanza di accesso civico, e pubblicato sul suo sito. Il quadro che ne risulta è contrastante e a volte desolante. Vediamolo in dettaglio.

Il ministero ha dichiarato che le Dat depositate in banca dati erano in tutto 367.586. L’Alc dal canto suo ha ricevuto riscontro solo da poco più di 6.100 Comuni, il che significa che quasi un Comune su quattro (per la precisione il 22,7%) non ha risposto all’istanza di accesso civico nonostante ciò sia un preciso obbligo di legge.

Dai dati forniti da chi ha risposto all’Alc viene fuori che quei Comuni hanno ricevuto in totale 231.219 Dat ma ne hanno trasmesse alla banca dati solo 198.979; in molti casi ciò è dovuto al fatto che quegli uffici non hanno semplicemente fornito il secondo dato richiesto, quello appunto del numero di Dat trasmesse, ma 1.221 di essi hanno proprio dichiarato di non aver trasmesso nessuna delle 3.697 Dat che hanno nel complesso ricevuto e molti altri ne hanno trasmesse meno di quelle ricevute, non adempiendo così a un loro dovere.

Tra quelli con nessuna Dat risultante in banca dati spiccano i seguenti: Gela (Cl) con 508 Dat, Caltanissetta con 291 e Avellino con 254 hanno dichiarato di non averne trasmesse; Pozzuoli (Na) con 340, Corato (Ba) con 174 e Adrano (Ct) con 126 non hanno invece fornito il numero di Dat trasmesse; Vittoria (Rg) con 243 e Caivano (Na) con 164 hanno dichiarato di aver trasmesso tutte quelle ricevute, sebbene sul portale ministeriale non ne risultino.

Impossibile non notare che il meridione domina questa triste classifica, anche oltre le prime posizioni appena elencate. Al contrario è nel settentrione che troviamo i comuni con il maggior numero di Dat in rapporto agli abitanti: in cima al podio si piazza Colle Santa Lucia (Bl), che con una popolazione di appena 353 abitanti è censito in banca dati con 32 Dat, cioè 90,65 Dat ogni mille abitanti; il primo con più di 20 mila abitanti è Cassano Magnago (Va) che ha un rapporto di 38,15; sopra i 100 mila abitanti svetta Bolzano con 16,83 Dat per 1.000 abitanti. A livello di provincia i primi tre posti sono tutti intorno alla Romagna con Pesaro-Urbino (15,41) Ravenna (12,4) e Forlì-Cesena (12,26), mentre la prima delle regioni è il Trentino-Alto Adige (10,16) seguito da Emilia-Romagna (9,78) e Marche (9,39).

C’è anche un altro dato interessante che potrebbe in parte spiegare alcune incongruenze: 10.425 Dat presenti nella banca dati non sono associate a nessun Comune, il che significa che il meccanismo di trasmissione delle Dat non prevede sorprendentemente un controllo sulla compilazione di questo campo che a parere di chi scrive dovrebbe essere obbligatorio.

Facendo poi le dovute proporzioni, e tenendo comunque presente che tra l’ultima rilevazione dell’Alc e i dati forniti dal ministero all’Uaar sono intercorsi circa otto mesi, emerge che le Dat effettivamente depositate sarebbero quasi 40 mila in più rispetto a quelle che i Comuni hanno dichiarato di aver trasmesso, cioè circa il 170% che diventa un 146% se si prendono invece come base di calcolo le Dat ricevute dai Comuni.

Questo potrebbe essere ragionevole; non dimentichiamo che gli uffici di stato civile non sono i soli soggetti alimentanti, ci sono anche i notai e le Asl, quindi è logico che le Dat ricevute dal ministero siano in numero superiore a quelle dichiarate dai Comuni. Semmai è la forbice a stupire, poiché ci si aspetterebbe che il ruolo di notai e Asl sia inferiore a quello che appare.

È chiaro che c’è ancora parecchio lavoro da fare. A livello locale le istituzioni non hanno evidentemente chiari quelli che sono i loro doveri a riguardo: alimentare correttamente la banca dati trasmettendo in tempi tecnici ragionevoli tutte le Dat che ricevono dai cittadini e procedere immediatamente alla trasmissione di quelle già acquisite finora.

Occorre che gli stessi cittadini li sollecitino in tal senso, ma anche i prefetti dovrebbero attivarsi per verificare che nel loro territorio la legge sia rispettata. A livello nazionale il portale va migliorato con meccanismi di controllo adeguati affinché vengano correttamente compilati tutti i campi dati richiesti. Possiamo dire, vista la situazione, che l’istituzione della banca dati non è da intendersi come punto di arrivo ma piuttosto come punto di partenza per un pieno riconoscimento dei diritti riguardo al fine vita.

Massimo Maiurana

 


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