Nel nostro Paese, ritenuto tradizionalmente e compattamente cattolico, sempre più persone abbandonano la Chiesa (e la religione). Affronta il tema Valentino Salvatore sul numero 3/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Se un alieno sbarcasse sulla Terra e decidesse di fare un viaggio nel Belpaese crederebbe che l’Italia è una devotissima nazione cattolica. Sontuose chiese ovunque, un patrimonio artistico e culturale religioso millenario, tv che parlano costantemente di papi e prelati, politici e istituzioni sempre ossequiosi e in prima fila durante le cerimonie, forme di devozione tradizionale di massa per santi patroni e altri semidei del pantheon locale, riti di passaggio scanditi dalla liturgia cattolica per gran parte dei giovani.
Ma questa percezione si incrina se si guardano dati e comportamenti concreti degli italiani. Anche il nostro Paese da decenni sperimenta la secolarizzazione, come avviene in Occidente ma non solo. Almeno dagli anni Sessanta ci si interroga sui grandi cambiamenti sociali e nei costumi, corredati da conquiste come quelle su divorzio, aborto, diritto di famiglia, che hanno allontanato molte persone dalla pratica religiosa.

Ma non, almeno formalmente, dall’appartenenza: il cattolicesimo era un riferimento imprescindibile per la quasi totalità della popolazione. Nel nuovo millennio si accentua anche in Italia un fenomeno prima microscopico: tantissime persone abbandonano anche il cattolicesimo, e in gran parte dei casi abbandonano del tutto la religione.
Una recente ricerca del Pew Research Center, importante istituto di ricerca statistica statunitense che esplora anche tendenze religiose, ha pubblicato un’analisi su 36 nazioni che evidenzia una fuga generalizzata della religione di “nascita”. E tra queste spicca proprio l’Italia.
Il 24% degli italiani adulti ha cambiato categoria religiosa – compresa quella dei non affiliati – in cui è cresciuto, con un 21% che oggi si definisce ateo, agnostico o simili (di cui solo l’1% proveniva da altre religioni e l’altro 20% era cristiano). Se in Occidente ed Estremo Oriente (in quel caso rispetto al buddhismo) il fenomeno è marcato, l’Italia sorprende per il più alto rapporto tra apostati e convertiti: per 28 adulti che abbandonano il cristianesimo solo uno ci entra, e per 28 che diventano non affiliati a una religione solo uno è folgorato sulla via di Damasco.
In sostanza quasi tutti gli italiani che abbandonano il cattolicesimo finiscono per diventare atei o agnostici. Un quadro quindi ben diverso rispetto all’enfasi lirica dei media sulle storie dei vip convertiti. Seguono Germania e Spagna (con un rapporto di 19 a 1) e molto più in basso (8 a 1) la Francia, il Paese della laicità dipinto come “anticlericale” per eccellenza.
A trainare il cambiamento in Italia sono i giovani: il 44% di quelli tra i 18 e i 34 anni ha cambiato religione (e più del 40% l’abbandona del tutto), mentre nelle fasce tra i 35 e i 49 anni e gli ultracinquantenni rispettivamente si assesta sul 16% e il 17% (e anche in questo caso, quasi tutti non si convertono ad altra fede). Sulla tendenza pesa anche il grado di istruzione: il 33% di quelli che hanno fatto almeno le superiori abbandona la religione in cui è cresciuto, dato che scende al 21% tra gli altri. Gli italiani sono più apostati delle italiane: 28% contro 19%.
La ricerca stima al 94% coloro che sono stati cresciuti come cristiani in Italia, ovvero quasi tutti cattolici. In età adulta il 22% ha abbandonato la Chiesa e l’1% è entrato nel gregge. I cattolici sono quindi calati di circa un quarto in pochi decenni: tendenza coerente con altre ricerche, come quelle Doxa (commissionate dall’Uaar nel 2014 e nel 2019) e di altri istituti. Quasi tutti i non affiliati italiani (92%) sono cresciuti in un contesto religioso – il dato più alto dei paesi censiti – mentre solo l’8% viene da famiglie non religiose.
Solo in tempi recentissimi si notano segnali opposti in alcuni Stati più secolarizzati dell’Italia, anche se è prematuro parlare di controtendenza. Un’altra recente ricerca sugli Stati Uniti sempre del Pew Research Center, il Religious Landscape Study 2023-2024, parla di stabilizzazione di cristiani e non affiliati rispettivamente al 63% e al 28% dopo anni di declino cristiano.
Tornando alla Francia, l’ultima Pasqua sono stati battezzati 17 mila catecumeni (di cui almeno 10 mila maggiorenni): un’impennata, anche se i battesimi totali sono crollati da più di 400 mila nel 2000 a meno di 200 mila nel 2020. Su questi fenomeni incidono diversi fattori. In parte, come ha evidenziato Giovanni Gaetani nello scorso numero, molti giovani – in particolare maschi – trovano nel conservatorismo religioso risposte alle proprie ansie. Ma c’è anche un uso spregiudicato, pop e invitante dei social da parte della “bolla” devota e un aggressivo marketing politico che batte sul confessionalismo.
Lo scollamento degli italiani dal cattolicesimo risalta pure da una ricerca del Censis commissionata dai vescovi per l’assemblea sinodale del novembre 2024. Questa indagine stima i cattolici al 71,1%, divisi tra «praticanti» (solo il 15,3%), «occasionali» (34,9%) e «non praticanti» (20,9%), mentre i non credenti sono al 18,9%. Tra i giovani fino a 34 anni l’appartenenza religiosa è ancor meno marcata: il 58,3% si dice cattolico e solo il 10,9% praticante.
Se in teoria tanti si professano cattolici, pochi sentono affinità con la Chiesa. Meno di quattro italiani su dieci si riconoscono nell’istituzione ecclesiale. Il fervore è scarso ma resiste il legame con la religione: il 79,8% definisce la propria base culturale di ispirazione cattolica (vale anche per il 62,8% dei non credenti). Invece solo il 5,5% avrebbe una base culturale «contraria al cattolicesimo».
La devozione per la pletora di santi e Madonne è sentita rispettivamente dal 32,5% e dal 41% e ancor meno lo sono le forme di devozione. Le feste come Natale e Pasqua coinvolgono il 60,8%, ma pochi (27,8%) rimpiangono i «bei riti di una volta (processioni, canti, pellegrinaggi)».
Il giudizio degli italiani sulla Chiesa è tiepido. Il clero è screditato a causa degli scandali per due terzi degli italiani (e la maggioranza dei cattolici stessi) e la Chiesa è ritenuta «un’istituzione maschilista» dal 43,6%. La metà degli italiani è convinta che la Chiesa non sappia parlare al mondo contemporaneo, anche se solo il 20,1% la vede come «un’istituzione del passato che presto non esisterà più».
La figura del prete perde autorevolezza: solo il 37,5% si farebbe consigliare. La Chiesa è anche accusata dal 49,2% di aver «emarginato molti fedeli validi» e viene spronata dal 60,8% ad adattarsi al mondo contemporaneo. Pure la prospettiva di un partito politico cristiano convince solo un italiano su dieci e la difesa dei valori religiosi sarebbe un punto programmatico prioritario per meno di un terzo.
Virando sul mistico, al 66% capita di rivolgersi a dio o altra entità superiore (anche all’11,5% del gruppo atei e agnostici), il 58% crede alla vita dopo la morte (17,3% non credenti). Se la spiritualità è ritenuta importante, praticarla è un altro conto: la coltiva partecipando ai riti religiosi solo il 28,6% e con la preghiera il 22,8%, mentre leggere i libri sacri o andare in pellegrinaggio rimane appannaggio di meno del 6%. Il cammino interiore è per la maggioranza un’esperienza individuale.
Anche un’analisi dell’esperto di dati Lorenzo Ruffino sulle percentuali della pratica religiosa fornite dall’Istat mostra una crescente disaffezione. La quota di italiani che non è mai andata a messa nel 2023 è salita al 31,5%, mentre calano al 18% coloro che vanno almeno una volta a settimana. Nel 2001 le proporzioni erano invertite: 16% contro 36%. I giovani sono in prima fila nel disertare le chiese: il 49% di coloro che hanno dai 18 ai 24 anni non ci va mai. La differenza spicca a livello geografico: al Centro-Nord almeno un terzo non frequenta le chiese (con picchi in Emilia-Romagna, Liguria e Toscana), nel Sud e nelle Isole circa il 20%.
Già nell’ottobre del 2023 un’altra indagine per la rivista cattolica Il Regno a cura dei sociologi Arturo Parisi (già ministro e politico del centrosinistra cattolico prodiano) e Paolo Segatti, presentata durante un convegno al monastero di Camaldoli sulla “questione cattolica”, aveva messo in luce il declino della fede tra gli italiani. Rispetto al 2009 – anno di una precedente ricerca per la rivista e usata come metro di paragone, curata anche da Segatti – i cattolici sono calati dall’81,2% al 72,7%, mentre i non credenti sono aumentati dal 6,2% al 15,9%.
Da notare che sono più coloro che si dichiarano formalmente cattolici rispetto a chi afferma con una certa sicurezza di credere in dio (questi ultimi sono calati dal 72% al 57%). Diminuisce anche la percentuale di chi va a messa tutte le domeniche, dal 28% al 18%, e cresce molto quella di chi non la frequenta mai (dal 19% al 37%). Anche la preghiera come abitudine individuale cala (dal 74% al 61%) e arriva a un terzo chi non prega. La Chiesa perde credibilità: la quota di coloro che dice di avere molta o abbastanza fiducia passa dal 68% al 58%.
L’Italia ama rappresentarsi come un Paese tradizionalmente cattolico, ma la pratica religiosa si affievolisce e ripiega nell’individualismo, la Chiesa è ritenuta sempre più lontana (nonostante l’epidermica simpatia che poteva suscitare papa Francesco) e la religione viene usata come contenitore identitario.
Tutto ciò nonostante la costante propaganda apologetica sui media, l’educazione familiare in gran parte cattolica, l’abituale clericalismo delle istituzioni “laiche”, dai politici che ostentano la fede o si lanciano in dichiarazioni adoranti verso papi, prelati e preti fino alla sequela di messe, benedizioni, visite “pastorali” nelle scuole.
Proprio le scuole sono un emblema del contrasto tra conformismo cattolico di facciata e concreta disaffezione dalla fede, specie tra i giovani (e infatti cala sensibilmente pure la frequenza all’ora di religione). Il Belpaese vive quindi una profonda apostasia silenziosa, di cui lo sbattezzo targato Uaar è solo la punta dell’iceberg.
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Il Cristianesimo è in declino soprattutto nei paesi europei (ma anche in altri continenti si avvertono segnali di declino): forse qualcuno avrà letto qualche libro di Renan, Loisy e di altri critici più recenti di critica neotestamentaria. Come si chiama quello pubblicato da Nessun Dogma? Ehrman?
E’ vero sono cambiate tante cose ricordo che una volta, così mi raccontava mia nonna, le persone malate andavano nascoste perchè sicuramente erano colpite da una punizione divina. Per alcune contadine ucraine, tallonate a vista dai loro preti la maledizione si estende fino alla quarta generazione dei loro parenti responsabili di gravi peccati. La chiesa ha sempre cavalcato alla grande su ignoranza, superstizioni e fragilità dei più deboli culturalmente ed economicamente. Oggi è un pò più difficile, almeno da noi, e dunque sono cambiate le strategie di mercato. L’impero economico di vaticaglia è rivolto alla classe media avida di incarichi benessere a buon mercato, senza curarsi di etica e moralità. Quanto è radicata questa invasione silenziosa ma diabolica. Andrebbe studiata…..