L’epifania di Batman

Milano è stata spesso ribattezzata Gotham City dai suoi detrattori, ma che Batman, con tanto di costume da ordinanza, si aggirasse nella sua metropolitana è cosa del tutto nuova, di cui si è di conseguenza occupata di recente la stampa. Nelle foto a corredo si notava che Batman non indossava la consueta maschera (controvoglia e solo per non incutere soverchio timore, beninteso) e che a interpretarlo non erano né Clooney né Bale né Affleck.

L’attore nei panni dell’Uomo Pipistrello era infatti un meno noto professore ordinario di psicologia, tale Francesco Pagnini, nel bel mezzo di un esperimento sul campo a mero scopo di ricerca. Come ha spiegato egli stesso ai giornalisti, si trattava di cercare di rompere la routine quotidiana dominata dalla distrazione con l’irruzione di una presenza insolita, per verificare se così la consapevolezza del contesto presente aumentasse favorendo comportamenti altruistici tra gli astanti. L’esito, numeri alla mano, è parso confortante.

Resta il fatto che lo straordinario si manifestava nei panni di Batman. Gli occasionali seguaci del Cavaliere Mascherato in metropolitana potevano far pensare a quei bambini che, benché abbiano ormai capito benissimo che Babbo Natale non esiste, si aspettano che porti loro i regali. È quella propensione all’autoinganno speranzoso che i buontemponi riassumono con la formula “non è vero ma ci credo”.

Forse avrebbe funzionato anche qualunque altra presenza inattesa? Che si trattasse di un uomo in costume, di un supereroe e di Batman in particolare è irrilevante? Non sarebbe cambiato nulla se nel vagone della metropolitana fossero entrati Wonder Woman o il Pinguino, Shrek o Alien? Joker non avrebbe al contrario rischiato di aizzare le folle in modo disfunzionale? Ma poi Joker è davvero cattivo o sono gli altri che lo disegnano così?

Il Fatto Quotidiano al proposito titola: Occhio al pipistrello: se c’è lui nella metro il nostro comportamento migliora: cos’è l’effetto Batman. Poi insiste: «Anche nella metro di Milano l’ombra di Batman spaventa i cattivi e incoraggia i buoni, facendoci tutti comportare un po’ più civilmente».

Pure La Repubblica azzarda che «Trovarsi di fronte, all’improvviso, un “supereroe”, ci rende più altruisti». E a sua volta titola: Effetto batman, più altruisti se ci appare un supereroe. Tanto che persino Pagnini alla fin fine deve concedere alla testata che «È anche possibile che la figura del supereroe abbia potenziato la rilevanza dei valori culturali, dei ruoli di genere e delle norme di aiuto cavalleresco, in linea con la ricerca sull’effetto “innesco” correlato ai supereroi: la figura di Batman potrebbe cioè svolgere un ruolo di innesco prosociale».

Avvenire approfondisce con proprie riflessioni, richiamandosi a due antropologi che in un recente saggio «analizzano il “costume da supereroe” come oggetto antropologico, mediando tra finzione e realtà, tra corpo e identità, tra “maschera” e “ruolo”. In quest’ottica il costume diventa una specie di “armatura simbolica”. Dal punto di vista antropologico, i supereroi [sono] figure mitiche che funzionano come modelli di comportamento e moralità».

Colpisce pure un altro particolare che Pagnini ci tiene a rimarcare nell’intervista rilasciata al Corriere della sera: «Il 44 per cento di chi ha ceduto il posto nella condizione sperimentale ha affermato di non aver notato Batman. Ma in qualche modo, che stiamo analizzando, la mia presenza ha cambiato l’ambiente sul vagone e promosso una maggiore pro-socialità, cioè il sintonizzarsi maggiormente sui segnali sociali che abbiamo intorno e magari agire con altruismo».

Questo aspetto non è molto chiaro (come ammette per primo lo stesso studioso). C’è una misteriosa perturbazione di campo? Una oscura tendenza all’emulazione e al conformismo? Si viene contagiati dall’aumento di consapevolezza e “magari” dall’attenzione per i bisogni altrui e dalla propensione ad aiutarli?

Anche se il professore col mantello asserisce di non essersi ispirato a nessuno, non possiamo esimerci dal sollevare delle altre questioni non nuove, incoraggiati dal fatto che egli insegna all’Università Cattolica del Sacro Cuore e che il quotidiano dei vescovi è più volte tornato sul suo esperimento proprio al principio del calendario dell’Avvento (secondo il dichiarato punto di vista dell’antropologia ovvero, stando a Feuerbach, il medesimo della teologia).

L’esistenza di un essere superiore, buono per definizione, dovrebbe indurre al bene? Bisogna che questo essere sia anche un giustiziere inesorabile? Basta che la sua presenza sia solo rappresentata da figure fittizie o evocata da persone bizzarramente abbigliate? Occorre al proposito una credenza profonda o almeno pubblicamente dichiarata? Oppure è sufficiente che appaia essere avvertita o allusa da chi ci sta vicino? Cambia qualcosa se in cuor proprio si è persuasi che in realtà non esiste alcun essere del genere? Forse in quest’ultimo caso si è malvagi o etichettabili come tali dalla comunità? O si è pure davvero in qualche modo più inclini a condotte asociali?

Com’è ovvio, su argomenti del genere è già disponibile una letteratura specialistica ma qui ci permettiamo di ignorarla come nulla fosse (mentre lo studio in questione nelle note bibliografiche deve rinviare almeno all’articolo God is watching you: priming god concepts increases prosocial behavior in an anonymous economic game, con tra gli autori quell’Ara Norenzayan che pure i lettori di lingua italiana conoscono per Grandi dei. Come la religione ha trasformato la nostra vita di gruppo).

Persino nell’ambito della teologia e della morale cattolica una influente tradizione ha insistito che il bene autentico si opera senza secondi fini, per amore del bene in sé, e non certo per timore di una punizione divina. Per salvare capra e cavoli anche i semplici parroci postconciliari hanno sempre ammonito i bimbi che bisognerebbe fare il bene per amor di Dio, Egli Stesso Bene e Amore.

Torna tuttavia in mente una drastica affermazione di un illustre studioso, sia pure versato in tutt’altre materie, Steven Weinberg: «La religione rappresenta un insulto alla dignità umana. Con o senza di essa, ci sarebbero sempre buoni che farebbero il bene e cattivi che farebbero il male. Ma perché i buoni facciano del male, occorre la religione».

Chissà che ne pensa il professor Francesco Pagnini e chissà se un giorno o l’altro potrà rivelarcelo francamente.

Andrea Atzeni

 

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