L’Europa è laica. Non è fuori luogo ricordarlo quando da Ventotene il presidente Giorgio Napolitano rilancia gli ideali europei. In un momento in cui i governi sono sollecitati a prendere decisioni che mettono concretamente in gioco quei principi della laicità sui quali in astratto tutti si dichiarano d’accordo. L’Europa è stata pensata laica e la sua Costituzione lo riflette scrupolosamente. È un dato che non si contrappone all’evidenza storica di un’Europa che ha «radici cristiane». Ma le radici cristiane sono storicamente diventate ragioni secolarizzate; sono maturate a istituzioni laiche che oggi esigono la loro piena autonomia e sovranità. A torto quindi le decisioni dei governi europei in tema di bioetica o famiglia, ad esempio, che sono difformi da quelle indicate dalla Chiesa – in particolare il riconoscimento delle unioni omosessuali – sono accusate di spalancare abissi di immoralità pubblica in contrasto con presunte sane dottrine naturali di antica tradizione. […] La democrazia laica crea lo spazio pubblico entro cui tutti i cittadini, credenti, non credenti e diversamente credenti confrontano liberamente i loro argomenti, affermano le loro identità e vivono i loro stili morali di vita. Questi sono riconosciuti come diritti tramite procedure consensuali di decisione, senza che prevalgano in modo autoritativo alcune credenze o alcuni convincimenti su altri. A questo proposito, il Continente europeo offre un quadro diversificato. E non va sempre citata la Spagna di Zapatero o l’Olanda multiculturale. Basta guardare alla solida e tradizionale Germania che sui Pacs o su altre questioni di bioetica ha norme moderate che tuttavia la Cei considererebbe moralmente catastrofiche se adottate in Italia. I cittadini italiani hanno bisogno forse di un protettorato morale speciale? Da noi impropriamente si presume l’esistenza di una «maggioranza morale», interpretata dalla Chiesa, che si sente autorizzata a imporre – naturalmente per il bene pubblico – i suoi criteri di giudizio su minoranze diversamente orientate. La situazione si complica per il fatto che, nonostante tra i credenti ci siano significative differenze, a livello pubblico contano soltanto le posizioni ufficiali della Chiesa, per non dire della Conferenza episcopale italiana e le sue agenzie giornalistiche. Per i cattolici italiani extra ecclesiam nulla vox. […] C’è il forte sospetto che Romano Prodi abbia intenzionalmente rimosso la problematica della laicità dal suo programma. Se esplodesse, infatti, il suo governo non reggerebbe. È un punto di estrema debolezza ideale/ideologica della coalizione di centro-sinistra che tutti fanno finta di non vedere. Ma non è con la strategia dello struzzo che si affronta uno dei problemi più delicati del nostro tempo. Torniamo, per concludere, all’Europa. Non è lontano il giorno in cui l’Unione si aprirà – in una logica di cittadinanza universale – a nazioni e culture che non hanno radici cristiane, che non hanno alle spalle l’esperienza illuministica e liberale. Come nel caso dell’entrata della Turchia nell’Unione Europea. È un atto di coraggio che giustamente invita alla prudenza e alla riflessione, prima di prendere la decisione definitiva. Ma in linea di principio questa è la strada maestra da percorrere. L’Europa che si aprirà alle società e culture diverse non avrà emblemi religiosi distintivi. Sarà laica, ma non per questo dimentica delle sue radici cristiane, da cui è cresciuta sino alla sua piena maturità politica, laica appunto.
Il testo integrale dell’articolo di Gian Enrico Rusconi è stato pubblicato sul sito della Stampa