Nella sua ultima intervista aveva paragonato l’Olanda ad una matrigna. Era due settimane fa. Oggi Ayaan Hirsi Ali annuncerà il suo addio. Se ne va, la deputata di origine somala, da un Paese nel quale ormai si sentiva “incompresa e sopportata”. Da settembre si trasferisce a Washington, ad attenderla c’è un incarico di prestigio all’American Enterprise Institute, un think tank fondato nel 1943 al quale fanno riferimento parecchi membri dell’attuale amministrazione Bush. La sua vita rimarrà comunque blindata, come è stato dal 2 novembre 2004, quando Mohammed Bouyeri, olandese di origini marocchine, uccise a coltellate il regista Theo Van Gogh, “reo” di aver diretto “Submission”, un documentario di undici minuti nel quale si raccontava la vicenda di alcune donne islamiche che denunciavano le violenze subite in famiglia. Per Bouyeri, affiliato delle rete estremista “Hofstadt”, era un’offesa da lavare con il sangue. Uccise Van Gogh, tentando di decapitarlo per imitare il suo idolo Al Zarkawi. Sul coltello, lasciò una specie di “fatwa” contro la sceneggiatrice di quel film, l’allora sconosciuta deputata Ayaan Hirsi Ali. Da quel giorno, una vita sotto scorta, cambiando abitazione ogni settimana, cancellata dalla vita pubblica per motivi di sicurezza. Secondo il quotidiano Volkskrant, che ha anticipato i contenuti della conferenza stampa indetta oggi da Hirsi Ali, la donna avrebbe preso accordi con l’amministrazione americana, che la inserirebbe in un programma di protezione simile a quello riservato ai collaboratori di giustizia. […]
Il testo integrale dell’articolo di Anais Ginori è stato pubblicato sul sito di Repubblica