Una donna, sposata o meno che sia, ha diritto a interrompere la sua gravidanza entro i primi 90 giorni senza considerare il diritto alla paternità del padre del concepito. Così ha deciso il tribunale di Monza dando torto a unmarito che, dopo l’interruzione di gravidanza decisa dalla moglie senza consultarlo, aveva chiesto la separazione per colpa della donna e il risarcimento dei danni. Un marito ha chiamato in causa la moglie di fronte al tribunale di Monza per chiedere la separazione, che doveva essere a lei addebitata, in quanto avrebbe violato i doveri che derivano dal matrimonio, e per chiedere anche il risarcimento del danno. Qual era la colpa della signora? Avere abortito avvalendosi della legge 194 e perciò nel rispetto della normativa vigente, ma senza fare partecipe il marito della procedura per l’autorizzazione dell’interruzione di gravidanza. […] Ne consegue che di fronte alla decisione della moglie di abortire nel rispetto della legge 194, il marito potrà chiedere la separazione se non ha condiviso la scelta della moglie e se ritiene che la convivenza non sia più possibile. Ma certo non potrà chiedere che la separazione sia addebitata alla consorte e ancor meno che la consorte sia tenuta a risarcire il danno per la lesione al suo diritto alla paternità. È ben vero che la procreazione costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità primarie del matrimonio ma è altrettanto vero che colei che esercita un proprio diritto non può, per ciò solo, essere oggetto di un giudizio che la penalizza.
L’articolo è apparso sul Corriere della Sera